Mi sono arruolato nell’esercito per amore di Israele, ma stavo solo interpretando la parte del soldato occupante”

“All’inizio odiavo sparare agli scolari con proiettili di gomma, ma dopo alcuni mesi a Hebron, ci davamo il cinque a vicenda ogni volta che ne colpivamo uno”, scrive Dean Issacharoff.

Fonte: English Version

Dean Issacharoff – 20 febbraio 2019

Immagine di copertina: Dean Issacharoff

Breaking the Silence è un’organizzazione di veterani israeliani che parlano delle ingiustizie dell’occupazione israeliana in Palestina.

Non sopportavo Breaking the Silence la prima volta che ho incontrato uno di loro.

Avevo 19 anni quando un veterano israeliano di nome Avner venne a parlare al mio programma di differimento pre-arruolamento.

L’incontro si svolse durante un intenso anno di allenamento fisico e indottrinamento ideologico che ci  permise di “andare fino in fondo” quando arrivò il nostro momento di prepararci.

Subito dopo che Avner ebbe finito di parlare delle sue esperienze militari come comandante nei Territori Palestinesi Occupati, iniziai a mettere in discussione le sue motivazioni, cercando inconsciamente di allontanare la conversazione da una scomoda verità che non riuscivo a digerire.

Non avrei mai immaginato che otto anni dopo, sarei stato nella stessa posizione di Avner, cercando di parlare al pubblico della stessa scomoda verità: la realtà immorale dell’occupazione a cui avevo preso parte come soldato, prima in un’unità speciale di fanteria e in seguito come tenente durante i turni di servizio in Cisgiordania e durante l’Operazione Protective Edge (Margine di Protezione) nella Striscia di Gaza.

Mi sono arruolato nell’esercito per amore del mio paese. Sentivo che era il mio turno di proteggere il mio popolo, proprio come aveva fatto mio nonno mentre combatteva per l’indipendenza contro l’occupazione inglese della Palestina del Mandato Britannico.

“La mia spinta ideologica ad arruolarmi in un’unità speciale  fu ulteriormente alimentata dalle storie che avevo sentito dalle esperienze dei miei nonni come sopravvissuti all’Olocausto, che erano un terrificante promemoria di cosa potrebbe accadere se non riuscissimo a proteggerci”

Ero ambizioso, patriottico e speravo profondamente di essere accettato in un’unità speciale e di trascinare fuori i terroristi dai loro letti puntandogli contro un’arma.

È difficile descrivere quanto fossi orgoglioso di essere stato accettato nell’unità speciale della Brigata Nahal.

Una volta arruolati, ci sono voluti 15 mesi per trasformare una squadra di adolescenti idealisti in soldati pronti al combattimento.

Abbiamo marciato interminabilmente per notti intere, imparando come muoverci in un terreno impervio, mimetizzarci nell’ambiente circostante e trovare e distruggere i carri armati siriani. Una volta terminato il nostro addestramento, siamo stati inviati sulle colline a sud di Hebron, in Cisgiordania.

Non c’erano carri armati siriani da trovare lì, solo palestinesi da sorvegliare. Invece di organizzare imboscate contro combattenti nemici, abbiamo istituito posti di blocco e perquisito le famiglie palestinesi; invece che svolgere operazioni sul fronte nemico, siamo stati mandati ad arrestare adolescenti palestinesi che lanciavano pietre.

Dopo alcuni mesi ad effettuare arresti e istituire posti di blocco con la mia squadra, fui mandato a un corso per ufficiali dove mi  diplomai come primo tenente e fui assegnato al comando di un plotone di fanteria nella città segregata di Hebron.

Sebbene Hebron non sia più violenta o oppressiva del resto della Cisgiordania, è speciale in quanto è l’unica città palestinese che ha un insediamento israeliano proprio nel centro della città: 850 coloni che vivono in una città di 230.000 palestinesi.

Come risultato dell’accordo, e secondo la politica di segregazione delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), ci è stato ordinato di mantenere alcune strade “sterilizzate” dove i palestinesi non possono mettere piede.

“Ai palestinesi che vivevano in abitazioni che si affacciavano su queste strade gli venivano saldate e chiuse le porte di casa e ci si aspettava che trovassero modi alternativi per entrare e uscire dai loro alloggi”

Trascorsi quattro mesi a Hebron fino a quando siamo stati inviati a Gaza. Siamo saliti su autobus con il nostro equipaggiamento da combattimento, sapendo che stavamo per prendere parte a una vera e propria invasione di terra della Striscia di Gaza.

Le nostre istruzioni erano semplici: ci avevano detto che erano stati distribuiti opuscoli per avvertire la popolazione di andarsene, presumendo così che tutti i civili innocenti fossero fuggiti dalla zona.

“Pertanto, ci è stato detto che avremmo dovuto sparare per uccidere chiunque avesse più di 15 anni. Indipendentemente dal fatto che fosse armato o meno”

A volte sento ancora l’odore delle carcasse marce bruciate di animali da fattoria abbandonati dai loro proprietari in fuga e rimasti sotto le macerie lasciate dai nostri bulldozer corazzati.

Terminai il servizio militare nel 2015 e l’ultima cosa che volevo fare era affrontare tutto ciò che avevo vissuto. Pensavo che avrei girato il mondo e poi avrei iniziato i miei studi, finché non ricevetti una telefonata che mi ha cambiato la vita.

Il mio fratellino, allora soldato di fanteria, chiamò con orgoglio per annunciare che anche lui sarebbe stato mandato a servire nelle strade segregate di Hebron, proprio come avevo fatto io.

Fu allora che mi resi conto che l’occupazione non era finita con il mio servizio militare, ma era la realtà quotidiana di milioni di palestinesi e di migliaia di soldati da oltre 51 anni.

“Sapevo che il mio fratellino avrebbe attraversato lo stesso processo di degrado morale che tutti noi attraversiamo come soldati nei territori”

All’inizio odiavo sparare agli scolari con proiettili di gomma quando lanciavano pietre ai posti di blocco. Dopotutto, erano bambini. Ma dopo alcuni mesi a Hebron, ci davamo il cinque a vicenda ogni volta che ne colpivamo uno.

La triste verità è che i soldati vogliono colpire il bersaglio, indipendentemente da chi sia o quanti anni abbia.

È stata quella telefonata che mi ha portato a contattare Breaking the Silence e a parlare apertamente del mio servizio militare per la prima volta nella mia vita.

“Ripensandoci, ora mi rendo conto che non avevo interpretato la parte dell’eroico combattente per la libertà, come lo era stato mio nonno, quando i soldati britannici invasero la sua casa. Stavo interpretando la parte del soldato britannico”

Rompere il silenzio sul nostro servizio militare è il nostro modo per assumerci la responsabilità di ciò che abbiamo fatto e combattere per porre fine all’occupazione.

Dobbiamo impedire che un’altra generazione di israeliani venga inviata a opprimere i palestinesi e un’altra generazione di palestinesi cresca sotto l’occupazione senza diritti fondamentali.

Questo è l’unico modo per tutelare il diritto di entrambi i popoli a vivere dignitosamente.

 

Dean Issacharoff ha prestato servizio nell’esercito israeliano come ufficiale nella Brigata Nahal a Hebron e Gaza durante l’Operazione Protective Edge (Margine di Protezione) nel 2014. Ora lavora come portavoce di Breaking the Silence. Breaking the Silence collabora con Trocaire in Irlanda.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org