Le donne sono state al centro della rivoluzione libica. Dieci anni dopo, rischiano la morte nel chiedere i loro diritti

Dall’aver  giocato un ruolo di primo piano nella rivoluzione contro Gheddafi, le donne libiche sono state sempre più messe da parte nel tentativo di riportare il paese a una qualsiasi forma di stabilità.

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Bel Trew – 21 febbraio 2021

Immagine di copertina: Una donna sventola la bandiera nazionale mentre i libici festeggiano il decimo anniversario della rivoluzione del 2011, nella città orientale di Bengasi (AFP via Getty Images)

Fu solo quando vide le sue cugine, Salwa e Iman, attiviste per i diritti, condurre un’audace protesta davanti a un tribunale a Bengasi che Hala Bugaighis si rese conto che stava accadendo qualcosa di veramente enorme.

Era il febbraio 2011. Solo la settimana prima nel vicino Egitto Hosni Mubarak si era dimesso e quel fervore rivoluzionario si era riversato oltre i confini nella seconda città della Libia.

Hala Bugaighis, allora un avvocato commerciale di 31 anni, si trovava a più di 1.000 chilometri a ovest, a Tripoli, roccaforte di Muammar Gheddafi che aveva governato il paese con il pugno di ferro per più di 40 anni.

Quando  iniziarono le manifestazioni nella Libia orientale, era certa che il regime le avrebbe schiacciate rapidamente, brutalmente e con nonchalance.

E così, fu sorpresa di vedere  in esso segnali di panico.

Guardava  gli autobus governativi  pieni dei sostenitori di Gheddafi che si dirigevano verso  la piazza centrale di Tripoli per le manifestazioni che  inneggiavano al leader. Le forze armate erano state dispiegate per pattugliare le strade e monitorare tutto da vicino. Non era sicuro neppure andare al supermercato.

Dall’altra parte del paese, le sue cugine Salwa (un importante avvocato per i diritti umani) e Iman (un ortodontista) stavano guidando la rivolta nascente.

“Ero davvero preoccupata che il regime avrebbe represso la rivolta e che sarebbe stato tutto inutile,che  la gente sarebbe morta”, dice Hala spiegando come la sua famiglia fosse particolarmente preoccupata per la violenza: nell’ala bengasina  della famiglia  vi erano ben note figure dell’opposizione

“Ma poi ho visto le mie cugine partecipare alla protesta e ho pensato che stava succedendo  davvero”.

“Il mio ricordo più  vivido è l’aver pensato che quelle fossero le persone giuste per guidarle.”

La rivoluzione scoppiata in Libia esattamente dieci anni fa sfociò rapidamente in una sanguinosa guerra civile. Hala si concentrò sulla sopravvivenza mentre Tripoli veniva pesantemente bombardata durante l’intervento della NATO.

Anche dopo l’uccisione di Gheddafi nell’ottobre 2011 e il disfacimento del suo regime, le speranze di un paese migliore  furono sommerse dalle ondate di conflitti che continuano ancora oggi.

Negli anni la lotta si spostò in battaglie territoriali tra fazioni  di milizie pesantemente armate che erano  presidiate esclusivamente da uomini. Anche il numero vertiginoso di amministrazioni rivali che andavano e venivano erano dominate dagli uomini.

La voce delle donne, che avevano sempre guidato la società civile ed erano state al centro della rivolta, veniva  soffocata dalle sparatorie..

Mentre il paese diventava sempre più violento e conservatore, le donne  si resero conto che se parlavano, rischiavano la vita.

La cugina di Hala, Salwa Bughaighis,  divenne una figura di spicco nel Consiglio Nazionale di Transizione che dirigeva la Libia orientale, ma si dimise quando divenne chiaro che i politici uomini si stavano combattendo per il potere e gli islamisti stavano guadagnando terreno. Mantenne il suo attivismo politico in mezzo all’ascesa dei jihadisti armati.

Ribelli libici lanciano un razzo mentre entrano a Sirte, Libia, 10 ottobre 2011 (EPA)

E per questo sarebbe stata messa a tacere. Nel 2014, in pieno giorno,  fu assassinata da gruppi armati a casa sua.

Altre due importanti attiviste per i diritti delle donne, Fariha Barkawi e Salwa Yunis al-Hinaid, furono assassinate in rapida successione nello stesso anno nella Libia orientale.

Le donne in Libia continuavano  a essere minacciate, aggredite, violentate, rapite, scomparse e uccise per aver parlato.

A novembre, nel bel mezzo dell’ultimo round di colloqui di pace, Hanan Al-Barassi, critica accanita della corruzione e dei gruppi armati,  fu uccisa a colpi di arma da fuoco in pieno giorno nel vivace centro della città di Bengasi.

“Dal 2014  le uccisioni non si sono più fermate. C’è stata una serie di omicidi di donne che faceva temere alle donne di parlare dei diritti umani e delle donne  in spazi pubblici”, dice Hala, che nonostante i pericoli, dopo l’omicidio di Salwa ha deciso di creare il suo ente di beneficenza per i diritti delle donne chiamato Jusoor “C’è stata un’enorme repressione. Il messaggio chiaro era: i diritti umani e delle donne non  sono i benvenuti “.

Come molti difensori dei diritti delle donne, Hala ha ricevuto minacce di morte e di violenza fisica, anche se, come dice, le donne sono l’unico gruppo in Libia che non ha  le mani sporche di sangue.

Un’altra difensore dei diritti delle donne, Rida al-Tubuly, professoressa di farmacologia e consulente di diritto internazionale, temeva che sarebbe stata uccisa dopo essersi rivolta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel 2019 proprio per questo problema: la violenza contro le donne.

“Altre donne e io siamo state accusate di essere spie straniere e di cercare di distruggere il tessuto della società”, dice a The Independent.

“Le donne stavano cercando di portare le questioni dei diritti umani sul tavolo,mentre gli uomini stavano in gran parte combattendo per i loro interessi e potere. ”

Il primo passo indietro

Per Rida, tutto ciò  fu chiaro subito dopo la rivoluzione. Nel 2011   fondò “Together we build it”, una ONG che lavora per l’inclusione delle donne nel processo politico e di pace. Sognava un nuovo paese in cui “le questioni delle donne  sono questioni della Libia e le questioni della Libia sono questioni delle donne”.

Ma i suoi timori che la rivolta fosse stata “dirottata”  furono confermati pochi giorni dopo la morte di Gheddafi, durante il discorso inaugurale dell’allora leader ad interim della Libia, Mustafa Mohammed Abdul Jalil.

Avrebbe dovuto annunciare il successo della rivolta libica e la nascita di una nuova nazione. Tutti quelli che non erano fisicamente presenti erano incollati ai loro televisori.

“Tutti i libici stavano aspettando che lui parlasse di come  sarebbero state gettate le basi di un paese avanzato democratico e civilizzato”, dice.

“Ma per lui  la priorità principale fu di annunciare che gli uomini potevano  sposare quattro donne.

“Fu uno shock per tutti. Persino gli uomini ne ridevano, dicendo che se la priorità fosse stata il matrimonio di quattro mogli da parte degli uomini, si sarebbe potuta ottenere senza una guerra “.

Abdel-Jalil aveva deciso di usare quel discorso per dichiarare, tra le altre cose, che una legge dell’era di Gheddafi che imponeva restrizioni ai matrimoni multipli (un principio della Sharia islamica) sarebbe stata eliminata.

Fu un colpo spaventoso per le donne in un momento così incerto: il paese doveva ancora essere ricostruito da zero, comprese le istituzioni, la costituzione, le leggi e con ciò il posto delle donne nella nuova società.

Libici sventolano bandiere nazionali mentre si radunano nella piazza dei martiri della capitale Tripoli per celebrare il decimo anniversario della rivoluzione del 2011, all’inizio di questo mese (AFP via Getty)

Non è chiaro se Abdel-Jalil stesse dimostrando la sua devozione o se stesse cercando di placare i nuovi influenti islamisti che in Libia avrebbero continuato a detenere un potere significativo.

Rida  sentì  che quello sarebbe stato l’inizio dell’erosione dei diritti per le donne libiche, che erano tra le più istruite e alfabetizzate nella regione del Medio Oriente. Quel discorso segnò l’inizio della “lotta per preservare ciò che già avevamo”.

Come Rida, anche Hala dice che  tutto  avvenne molto rapidamente dopo il violento assassinio di Gheddafi, linciato vicino a una fogna: un’azione che  preoccupò profondamente molte donne.

“Era la prima volta che ero spaventato dalla rivoluzione”, dice Hala.

La regola della pistola

È difficile costruire un paese pacifico quando i lavori meglio pagati in città sono con le milizie.

Invece di essere smilitarizzate, le brigate di volontari armati che avevano combattuto nella guerra del 2011  furono assorbite  nei vari settori dello Stato in un disordinato sistema ad hoc. Il loro numero aumentò e scoppiarono guerre per il territorio.

L’illegalità  crebbe con l’omicidio nel 2012 di Chris Stevens, l’ambasciatore degli Stati Uniti, durante un attacco alla missione statunitense a Bengasi. Nove mesi dopo l’allora primo ministro Ali Zeidan fu rapito da dozzine di uomini armati e liberato solo quando le milizie locali presero d’assalto la stazione di polizia di Tripoli dove era detenuto.

Brigate di ex ribelli, con carri armati e missili grad, rapirono diplomatici stranieri e assediarono a intermittenza il parlamento per costringere lo Stato a soddisfare le loro richieste.

A dispetto di ciò, nel 2013 le autorità libiche di allora  spesero centinaia di milioni di dollari per finanziare i gruppi armati nel disperato tentativo di controllarli integrandoli nelle forze di sicurezza.

La politica civile era dettata dalle armi e i difensori dei diritti erano sempre più un obiettivo.

Nonostante i pericoli, Salwa era determinata a far sì che  le donne avessero ancora un posto al tavolo e assunse un ruolo guida nell’iniziativa di dialogo nazionale del paese, volta a limitare l’illegalità e la violenza. Voleva ci fossero più donne a entrare a far parte del movimento: nella primavera del 2014,  incontrò sua cugina Hala ad Amman e la incoraggiò a passare dal diritto commerciale a quello civile.

” Dissi  che non credevo nel no-profit, ma parlava così appassionatamente dello stato che sognava, era stimolante. Parlammo per quattro ore di fila “, ricorda Hala.

Salwa aveva in programma di tornare a Bengasi per votare nelle elezioni parlamentari di giugno. Incontrò Rida, una sua amica, il giorno prima del volo e  confessò di temere che potesse essere uccisa.

“Salwa mi disse, ‘Non sono  certa che sarò al sicuro lì’”  e  io le chiesi perché stava correndo il rischio”, ricorda Rida. “Lei rispose:” Devo andare a votare. ”

Le elezioni del 2014  furono caotiche. Votò meno della metà degli aventi diritto. Nella travagliata città di Derna, che in seguito sarebbe diventata una roccaforte dello Stato Islamico, non si tenne alcuna votazione perchè i seggi elettorali erano stati chiusi per motivi di sicurezza.

Almeno quattro persone, per la maggior parte membri delle forze di sicurezza,  furono uccise a Bengasi in pesanti scontri.

Nonostante ciò, Salwa pubblicò una sua  foto mentre votava. Incoraggiò altri a votare in un’intervista con una stazione televisiva locale. Poche ore dopo, un’auto armata con una bandiera nera apparve fuori dalla sua casa.

Uomini armati  vi fecero irruzione  e la uccisero a colpi di arma da fuoco, mentre suo marito scomparve. L’atto fu  terribilmente sfacciato: Salwa aveva pubblicato in diretta su Facebook  l’arrivo dei suoi assassini.

“Sapevo che aveva ricevuto minacce”, dice Hala, con voce rotta.

Ribelli libici distruggono un’immagine del leader libico Muammar Gheddafi su un pannello pubblicitario di una compagnia petrolifera a Ras Lanuf, Libia orientale, (EPA)

“La chiamai molte volte, ma non rispondeva .”

Dopo l’omicidio di Salwa, con le sue parole di incoraggiamento ancora nell’aria, Hala decise di fondare Jusoor, “un think and do tank” che ha gestito diversi progetti, tra cui nel 2018 un incubatore di donne d’affari

Ma questa seconda ondata di società civile, come la chiama Hala, stava lavorando in circostanze impossibili.

In mezzo alla crescente illegalità, la maggior parte della comunità internazionale ha lasciato il Paese “e ci siamo sentite sole”.

La luce alla fine del tunnel?

Rida ha cercato di ignorare i canali televisivi che la accusavano di essere una spia straniera e le crescenti minacce di morte da parte di persone che dicevano di sapere dove viveva.

Era difficile gestire una ONG per i diritti delle donne tra i continui cicli di guerra che presero il controllo di Tripoli nel 2014, 2017 e più recentemente nel 2019, quando il comandante rinnegato dell’Est Khalifa Hafter lanciò una sfortunata offensiva di un anno per conquistare la capitale .

Rida ha spostato la maggior parte delle sue iniziative e seminari online, a causa dei combattimenti e degli attacchi   dei conservatori, irritati dal fatto che le donne stessero cercando di  riprendersi il proprio spazio.

Ma anche questo si è rivelato complicato, data la irregolare connessione a Internet e le interruzioni di corrente in un paese che stava costantemente cadendo a pezzi.

Per lei, le minacce di morte e la cyberviolenza si intensificarono nel novembre 2019, quando  fu invitata a parlare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e sulla necessità della libertà di espressione.

“È piuttosto terrificante, in un paese dove non c’è stato di diritto e le armi sono ovunque”, dice. “Il prezzo di un proiettile è di soli 5 dinari libici (80p)”.

Una sostenitrice dei combattenti ribelli spara a un fucile AK-47 mentre reagisce alla notizia del ritiro delle forze del leader libico Muammar Gheddafi da Bengasi, 19 marzo 2011 (Reuters)

Negli ultimi due anni, dopo quasi un decennio di conflitti e cambi di potere, il paese è  finito in una guerra per procura in piena regola, con la Turchia che è intervenuta militarmente per proteggere il governo sostenuto dalle Nazioni Unite a Tripoli, mentre  paesi come Emirati Arabi Uniti, Russia ed Egitto sostengono le fazioni di Haftar a est.

Sebbene questo mese ci siano stati alcuni recenti segnali di progresso, con un nuovo governo di transizione che unifica le fazioni in guerra, le donne sono state in gran parte escluse da processo decisionale.

Nei negoziati di pace promossi dalle Nazioni Unite lo scorso anno,  in cui si è lavorato per il nuovo governo di transizione, le donne erano tristemente sottorappresentate. Dei 75 libici che hanno partecipato ai colloqui di Tunisi, solo 17 erano donne.

I nuovi leader ad interim della Libia, scelti durante l’ultimo round dei colloqui di pace a Ginevra a febbraio, sono tutti uomini, compreso il nuovo primo ministro, Abdul Hamid Dbeibah.

Il gabinetto deve ancora essere scelto e quindi Hala sta stilando una lista di potenziali candidate donne per ogni ruolo.

L’inviata libica delle Nazioni Unite Stephanie Williams, che ha lavorato per una maggiore partecipazione femminile al processo di pace, afferma che spera che le donne non siano “classificate” in ministeri come gli affari sociali o familiari.

“Dovrebbero essere nominate a ministeri sovrani”, dice a The Independent. “Dbeibah deve essere ritenuto fermamente responsabile della seria inclusione delle donne nel governo. Perché non avere un ministro degli esteri o delle finanze donna, per esempio? ”

Il fumo sale nel cielo dopo un attacco aereo della NATO a Tripoli, in Libia, giugno 2011 (EPA)

Intanto continua la minaccia di violenza contro le donne.

L’omicidio di Hanan Al-Barrassi nel novembre dello scorso anno è avvenuto appena 16 mesi dopo la scomparsa di un’altra importante attivista per i diritti e parlamentare Siham Sergewa. È stata rapita da uomini armati nel cuore della notte dalla sua casa di Bengasi, dopo che aveva apertamente criticato la guerra a Tripoli. È  tutt’ora scomparsa.

Ogni donna che difende se stessa lo fa correndo un grande rischio. Ma questo non le ha scoraggiate.

Hala spera che la sua lista di donne candidate per le posizioni ministeriali aiuterà i libici e la comunità internazionale a vedere il ruolo delle donne in modo diverso. Ironia della sorte, dice, uno dei maggiori ostacoli che le donne in Libia devono affrontare è il fatto che non sono nelle brigate e sui campi di battaglia. Ciò ha significato che “non sono viste come parte dell’equazione”.

Invece i “piantagrane e gli spoiler della pace” sono regolarmente invitati ai colloqui e  presi in considerazione per le posizioni di potere.

E così, vuole assicurarsi che le donne non siano solo dei ripensamenti simbolici, ma che venga loro giustamente assegnato un posto di primo piano nelle sale del potere.

Rida riconosce che mentre ora  “la Libia è un inferno”, c’è ancora speranza nel nuovo governo e nella determinazione delle donne a continuare a lottare per il cambiamento.

“Stiamo vedendo una luce alla fine del tunnel, ma non sappiamo quanto sia lungo”, dice.

“Nonostante il rischio, le donne libiche si stanno sacrificando per aiutare i libici a trovare una scorciatoia verso tale fine”.

 

Trad: Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” –Invictapalestina.org