Può sembrare tutto irrealizzabile o realizzabile, ma è probabile che sia più fattibile di quanto sembri. Per renderlo possibile abbiamo bisogno di una sinistra coraggiosa che inizi un dialogo.
Fonte: english version
Gideon Levy – 27 febbraio 2021
Se in Israele ci fosse una sinistra, questo è quello che farebbe se vincesse le elezioni. Alcune misure potrebbero essere attuate immediatamente, altre rappresenterebbero l’inizio di un processo. Nessuno nella sinistra ebraica neppure le propone.
Nei primi 100 giorni del suo governo immaginario, la sinistra avrebbe iniziato una rivoluzione. Principalmente, non completamente, nel suo rapporto con l’occupazione, l’argomento che definisce l’identità di Israele più di ogni altro. La prima risoluzione approvata dal governo di sinistra metterebbe fine all’assedio della Striscia di Gaza. In un giorno, come con la caduta del muro di Berlino, la Striscia sarebbe stata liberata, i suoi 2 milioni di abitanti sarebbero stati liberi. Il mare e il confine con Israele sarebbero aperti e sicuri. Allo stesso tempo, sarebbe arrivato un appello da Israele, che invitava i leader di Hamas a un incontro. Potrebbero benissimo sorprenderci. Abbiamo molto di cui parlare con loro.
Il passo successivo, da fare subito, sarebbe un ampio rilascio dei palestinesi che sono incarcerati in Israele. Tutte le migliaia di prigionieri politici e le centinaia di persone che sono trattenute senza processo, in cosiddetta detenzione amministrativa, tutti i bambini e le persone malate palestinesi detenute nelle carceri israeliane sarebbero liberate immediatamente. A guidarli sarebbe stato Marwan Barghouti, l’unica persona con la capacità di riunire i palestinesi.
Barghouti deve essere rilasciato immediatamente, proprio come F.W. de Klerk ha rilasciato Nelson Mandela poco dopo essere diventato presidente. Anche il resto deve accadere alla velocità sbalorditiva con cui sono svolti gli eventi in Sud Africa. Un Barghouti liberato verrebbe eletto presidente palestinese e per Israele sarebbe un interlocutore straordinario. La fine dell’assedio di Gaza e il rilascio dei prigionieri infonderanno speranza. Gli israeliani saranno sorpresi di quanto sia facile, senza nessun onere.
Nei suoi primi 100 giorni, un governo di sinistra avrebbe annunciato il blocco di tutte le costruzioni negli insediamenti, nemmeno un singolo balcone in un appartamento a Ma’aleh Adumim, fino a quando non fosse stato raggiunto un accordo con i palestinesi. Fino a quando ciò non accadrà, a Kiryat Arba verranno assegnati gli stessi stanziamenti di bilancio di Kiryat Shmona, nel nord di Israele, ed entrambe riceveranno insieme lo stesso importo della città araba di Taibeh. Gli insediamenti non approvati dai governi precedenti saranno evacuati immediatamente.
Poi, il bilancio della difesa. Sarà tagliato come mai prima d’ora. È impossibile stabilire uno stato sociale senza tagli significativi al bilancio della difesa, che è sovrafinanziato. Alcune delle minacce che Israele deve affrontare sono scomparse, alcune delle paure sono ingiustificate. Il bilancio della difesa dovrà ridursi di conseguenza. Le forze di Difesa Israeliane, la maggior parte dei cui avversari sono privi di risorse, non hanno bisogno di avere in dotazione ogni sistema d’arma sviluppato da qualche parte nel mondo.
La pandemia di coronavirus ci ha insegnato che un generoso bilancio sanitario è importante per la nostra sicurezza non meno di quanto lo siano i sottomarini. Istruzione, infrastrutture e previdenza sociale chiedono a gran voce i finanziamenti, destinati invece a progetti di difesa inutili. Un paese in cui le persone disabili dovrebbero sopravvivere con un assegno mensile di 3.200 shekel (800 euro) è un paese immorale. Bombardieri, sottomarini e attentatori saranno gradualmente sostituiti da accordi, che si sono già rivelati essere la migliore garanzia per la sicurezza di questo Stato. Questi accordi sono più raggiungibili di quanto siamo stati portati a credere.
Dopodiché, ai 31.000 richiedenti asilo rimasti nel paese verrà concessa la cittadinanza e lo stato e la religione saranno separati: trasporto pubblico durante lo Shabbat e matrimonio civile in un colpo solo, ed ecco, un nuovo Israele: un paese più aperto e liberale, meno violento e crudele, molto più morale e rivolto alla comunità internazionale. Il riconoscimento dal mondo, compreso il mondo arabo, sarà generoso. Basta ricordare cosa è successo dopo la firma degli accordi di Oslo. Ora Israele sarà libero di considerare il suo futuro. Scoprirà che la soluzione a due Stati, che ha sostenuto per 30 anni, non è più fattibile, e si renderà conto che deve offrire una soluzione diversa.
Per la prima volta nella sua storia, Israele inizierà a parlare di uguaglianza. Sarà un processo lungo, doloroso per alcuni israeliani e alcuni palestinesi, ma è inevitabile. Nel nuovo contesto, dovremo discutere dell’abolizione della legge dello Stato-Nazione e della legge sul ritorno e dell’adozione di una nuova legislazione egualitaria, che porterà alle prime elezioni democratiche che si terranno tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.
Può sembrare tutto irrealizzabile o realizzabile, ma è probabile che sia più fattibile di quanto sembri. Per renderlo possibile abbiamo bisogno di una sinistra coraggiosa che inizi un dialogo.
Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org