Sul colonialismo britannico, l’antisemitismo e i diritti dei palestinesi – Parte 1

Dal “ peccato originale ” del 1917 alla più recente adozione da parte del governo della controversa definizione di antisemitismo dell’IHRA, la Gran Bretagna è sempre stata fermamente schierata  dalla parte di Israele

Fonte: english version

Avi Shlaim – 1 marzo 2021

Nel dicembre 2016, il governo conservatore dell’allora primo ministro britannico Theresa May adottò formalmente la definizione operativa di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA). Fu il primo governo al mondo a farlo, segnando un’altra pietra miliare nei 100 anni di storia del sostegno britannico al sionismo e del disprezzo spietato per i diritti dei palestinesi.

Il “peccato originale”  è la Dichiarazione Balfour del 1917, che prometteva di sostenere la creazione di una “casa nazionale per il popolo ebraico”, a condizione che nulla fosse fatto per “pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina” . Nel 1917 gli arabi costituivano il 90 per cento della popolazione della Palestina; gli ebrei rappresentavano meno del 10 per cento.

La dichiarazione era quindi un classico documento coloniale: concedeva il diritto all’autodeterminazione nazionale a una piccola minoranza, negandolo alla maggioranza. Per aggiungere la beffa al danno, la dichiarazione si riferiva al 90 per cento degli abitanti del paese come “comunità non ebraiche in Palestina”, relegandoli a uno status inferiore. Sebbene grottescamente sbilanciata a favore degli ebrei, la dichiarazione includeva almeno la promessa di proteggere i diritti civili e religiosi dei palestinesi, ma anche questa promessa non fu mai mantenuta.

 La Palestina non andò perduta alla fine degli anni Quaranta, come si crede comunemente; fu persa alla fine degli anni ’30, come risultato della sconfitta della resistenza palestinese da parte della Gran Bretagna

Il mandato britannico per la Palestina durò dal 1920 fino alla mezzanotte del 14 maggio 1948, data in cui fu proclamato lo Stato di Israele. Il primo alto commissario per la Palestina, Herbert Samuel, era un ebreo e un ardente sionista. La parzialità nei confronti degli ebrei fu evidente fin dal primo giorno; la pietra angolare del mandato era negare istituzioni rappresentative finché gli arabi fossero rimasti la maggioranza in Palestina.

Alla fine, la Gran Bretagna mantenne la sua promessa ai sionisti aiutando la “patria nazionale” a evolversi in uno stato ebraico, mentre tradì la sua promessa ai palestinesi. Il tradimento della Gran Bretagna diede origine alla Grande Rivolta Palestinese del 1936-39. Questa fu una rivolta nazionalista, che chiedeva l’indipendenza araba e la fine della politica di immigrazione ebraica senza limiti e la cessazione degli  acquisti di terre.

La rivolta fu repressa con assoluta spietatezza e brutalità dall’esercito e dalla polizia britannici. La Gran Bretagna fece ricorso all’intera panoplia di misure coloniali, compresa la legge marziale, i tribunali militari, la detenzione senza processo, la fustigazione, la tortura, le esecuzioni extragiudiziali, le punizioni collettive e i bombardamenti aerei. Quasi 20.000 palestinesi furono uccisi o feriti durante la rivolta e i villaggi furono ridotti in macerie.

Nel processo di repressione della rivolta, la Gran Bretagna spezzò la spina dorsale del movimento nazionale palestinese. Le azioni britanniche indebolirono gravemente i palestinesi e rafforzarono i sionisti, mentre i due movimenti nazionali si muovevano inesorabilmente verso una resa dei conti finale.La Palestina non andò perduta alla fine degli anni Quaranta, come si crede comunemente;  fu persa alla fine degli anni ’30, come risultato della brutale distruzione della resistenza palestinese e del sostegno alle forze paramilitari ebraiche da parte della Gran Bretagna.

Razzismo anti-arabo

Una corrente sotterranea di razzismo anti-arabo   pervase l’intera gestione britannica del mandato per la Palestina. Nel 1937, il futuro primo ministro britannico Winston Churchill disse: “Non sono d’accordo che un cane in una mangiatoia abbia il diritto finale di rimanerci, anche se  fosse lì da molto tempo. Non riconosco questo diritto.

“Non riconosco ,ad esempio, che sia stato fatto un grave torto agli indiani d’America o ai neri dell’Australia. Non riconosco che sia stato fatto un torto a queste persone poiché una razza più forte, una razza di grado superiore, una razza più saggia … è arrivata e ha preso il loro posto “.

Un manifestante di Black Lives Matter aveva ragione quando, nel giugno 2020, su una statua di Churchill nella piazza del Parlamento di Londra,  tracciò con lo spray la scritta “era un razzista”. Churchill disprezzava gli arabi come razzialmente inferiori. La sua descrizione degli arabi palestinesi come un “cane in una mangiatoia” è scioccante, ma non del tutto sorprendente; il razzismo di solito va di pari passo con il colonialismo.

Mentre il mandato britannico per la Palestina si avvicinava alla sua fine ingloriosa, la Gran Bretagna persisteva nella sua posizione anti-palestinese. Quando le Nazioni Unite votarono nel novembre 1947 per dividere la Palestina in due stati, la Gran Bretagna adottò una posizione ufficiale di neutralità. Dietro le quinte, tuttavia,  si adoperò per impedire la nascita di uno stato palestinese.

Haj Amin al-Husseini, il leader del movimento nazionale palestinese,  litigò con la Gran Bretagna per la sua politica filo-sionista in Palestina e contattò Adolf Hitler durante la seconda guerra mondiale. Agli occhi degli inglesi, uno stato palestinese era sinonimo di uno stato del mufti; di conseguenza, l’ostilità della Gran Bretagna nei confronti dei palestinesi e dello stato palestinese fu un fattore costante nella sua politica estera dal 1947 al 1949.

Cancellata dalle mappe

La Gran Bretagna diede il via libera al suo protetto, il re Abdullah della Transgiordania, per inviare il suo piccolo esercito a guida britannica in Palestina alla scadenza del mandato britannico, per conquistare  la Cisgiordania – che doveva essere il cuore dello stato palestinese. I vincitori nella guerra per la Palestina furono il re Abdullah e il movimento sionista; i perdenti furono i palestinesi. Circa 750.000 palestinesi, più della metà della popolazione, divennero rifugiati e il nome Palestina fu cancellato dalle mappe.

In breve, la Gran Bretagna svolse un ruolo significativo ma poco conosciuto nella Nakba, la catastrofe che travolse i palestinesi nel 1948. Quando nel 1950 la Giordania annettè ufficialmente  la Cisgiordania, Gran Bretagna e Pakistan furono gli unici membri delle Nazioni Unite a riconoscerla.

Members of the Haganah paramilitary escort Palestinians expelled from Haifa after Jewish forces took control in April 1948 (AFP/File photo)
Membri paramilitare dell’Haganah scortano i Palestinesi espulsi da Haifa dopo che le forze ebraiche presero il controllo nell’aprile 1948 (AFP / File foto)

Sullo sfondo di Black Lives Matter, della rivalutazione del passato coloniale britannico e della spinta a decolonizzare i programmi scolastici, alcuni studiosi sono balzati in difesa dell’Impero britannico. Nigel Biggar, il Regius professore di teologia all’Università di Oxford, per esempio, difende l’Impero britannico definendolo una forza morale per il bene.

Facendo riferimento a Cecil Rhodes e alla campagna per rimuovere la sua statua dall’Oriel College, Biggar ha ammesso che Rhodes era un imperialista, “ma il colonialismo britannico non era essenzialmente razzista, non era essenzialmente sfruttatore e non era essenzialmente atroce”. La situazione dell’Impero britannico in Palestina, tuttavia, è piuttosto difficile da conciliare con la visione benevola del dotto professore.

Un’eredità vergognosa

Il Partito conservatore ei suoi leader sono i portabandiera di questa vergognosa eredità di sostegno britannico incondizionato a Israele e di indifferenza  verso i diritti dei palestinesi. Conservative Friends of Israel (CFI) è di gran lunga il più potente gruppo di lobbying pro-Israele in Gran Bretagna, e la sua composizione comprende circa l’80% dei membri Tory del parlamento. Dalle elezioni generali del maggio 2015, il CFI ha inviato 24 delegazioni con più di 180 conservatori in visita in Israele.

Gli ultimi tre leader del Partito conservatore sono stati sostenitori acritici dello Stato di Israele. L’ex primo ministro David Cameron si è descritto come un “amico appassionato” di Israele e ha insistito sul fatto che nulla avrebbe potuto rompere quell’amicizia.

 Boris Johnson ha avuto l’opportunità perfetta per bilanciare questo con un riconoscimento della Palestina come stato, ma ha ripetutamente rifiutato

Theresa May è stata probabilmente la leader più filoisraeliana in Europa durante la sua premiership. In un discorso al CFI nel 2016, descrisse Israele come un “paese straordinario … una fiorente democrazia, un faro di tolleranza, un motore d’impresa e un esempio per il resto del mondo”.Parlava  di Israele come “un paese in cui persone di tutte le religioni e sessualità sono libere e uguali agli occhi della legge”.

May riservò le sue critiche più aspre al movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS), che lavora per porre fine al sostegno internazionale all’oppressione israeliana dei palestinesi e per fare pressione su Israele affinché si conformi al diritto internazionale. Il BDS è una campagna di base globale non violenta le cui principali richieste – il diritto al ritorno dei rifugiati del 1948, la fine dell’occupazione e la parità di diritti per i cittadini palestinesi di Israele – sono fondate sul diritto internazionale. Questo movimento, affermò May, “è sbagliato, è inaccettabile, e questo partito e questo governo non avranno nulla a che fare con chi vi aderisce”.

May ricordò al suo pubblico che la Gran Bretagna stava entrando in un “periodo speciale” – il centenario della Dichiarazione Balfour – e  pronunciò un giudizio del tutto unilaterale su questo documento coloniale: “È una delle dichiarazioni più importanti della storia. Dimostra il ruolo vitale della Gran Bretagna nella creazione di una patria per il popolo ebraico. Ed è un anniversario che celebreremo con orgoglio “. Non si parlò del fallimento della Gran Bretagna nel sostenere anche i diritti minimi dei palestinesi.

Diritti nazionali

Il primo ministro Boris Johnson ha una visione leggermente più sfumata del ruolo  della Gran Bretagna come potenza coloniale in Palestina. Nel suo libro del 2014 su Churchill,  descrive la Dichiarazione Balfour come “bizzarra”, “tragicamente incoerente” e una ” acquisita fregatura del Ministero degli Esteri”. Questo è stato uno dei rari esempi di buon giudizio e intuizione storica da parte di Johnson. Ma nel 2015, durante un viaggio in Israele come sindaco di Londra, Johnson  salutò la Dichiarazione Balfour come “una grande cosa”.

Nell’ottobre 2017, in qualità di ministro degli esteri, Johnson  introdusse un dibattito alla Camera dei Comuni sulla Dichiarazione Balfour. Ripetè il mantra sull’orgoglio della Gran Bretagna per il ruolo svolto nella creazione di uno stato ebraico in Palestina.  Avrebbe  avuto la perfetta opportunità di bilanciare questo con un riconoscimento della Palestina come stato, ma si rifiutò ripetutamente di farlo , dicendo che il momento non era quello giusto. Dal momento che il Partito conservatore sosteneva una soluzione a due stati, il riconoscimento della Palestina sarebbe stato  un passo logico verso quel traguardo.

Arthur Balfour,  ministro degli esteri nel 1917, si era impegnato a difendere i diritti civili e religiosi della popolazione nativa della Palestina. Un secolo dopo, la Camera dei Comuni aggiunse anche i diritti nazionali, votando nell’ottobre 2014 – con 274 voti contro 12 – per riconoscere lo stato palestinese. Cameron  scelse di ignorare il voto non vincolante; almeno fu coerente nel suo appassionato attaccamento a Israele, che è più di quanto si possa dire del suo successore. Come per l’approccio di Johnson a qualsiasi argomento, nel suo atteggiamento nei confronti dei diritti dei palestinesi prevale l’opportunismo.

Un filo ininterrotto di miopia morale, ipocrisia, doppi standard e imbrogli collega la politica britannica sulla Palestina, da Balfour a Boris. L’adozione da parte del governo conservatore nel 2016 della definizione operativa non legalmente vincolante di antisemitismo dell’IHRA , rientra esattamente in questa tradizione di partigianeria a favore del sionismo e di Israele, e di disprezzo per i palestinesi.

La definizione afferma: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa come odio verso gli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche di antisemitismo sono dirette verso individui ebrei o non ebrei e / o le loro proprietà, verso le istituzioni della comunità ebraica e le strutture religiose “.

Esempi problematici

La definizione non menziona Israele per nome, ma non meno di sette degli 11 “esempi illustrativi” che seguono riguardano Israele. Includono “negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio affermando che l’esistenza di uno Stato di Israele è un’impresa razzista”; “Applicare doppi standard richiedendo un comportamento non previsto o richiesto a qualsiasi altra nazione democratica”; “Fare confronti tra la politica israeliana contemporanea e quella dei nazisti”; e “ritenere gli ebrei collettivamente responsabili delle azioni dello stato di Israele”.

Non esiste una legge che vieti di chiamare Israele uno stato di apartheid, e gli israeliani progressisti lo fanno sempre.

Gli 11 esempi fanno una serie di supposizioni ingiustificate su Israele e gli ebrei nel mondo. Presumono che tutti gli israeliani aderiscano alla nozione di Israele stato ebraico; che Israele è una “nazione democratica”; che Israele non è un regime   razzista; e che tutti gli ebrei condannano il paragone tra la politica israeliana e quella dei nazisti.

In effetti, Israele è una società altamente eterogenea e profondamente divisa con un’ampia gamma di opinioni su tutte queste questioni – e con una cultura politica segnata da feroci controversie e dibattiti senza esclusione di colpi.

Molti israeliani di sinistra considerano Israele un regime  razzista. B’Tselem, l’organizzazione israeliana per i diritti umani altamente rispettata, ha pubblicato a gennaio un documento dal titolo “Un regime di supremazia ebraica dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo: questo è l’apartheid”.

Ha dichiarato: “L’intera area controllata da Israele tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo è governata da un unico regime che lavora per far avanzare e perpetuare la supremazia di un gruppo sull’altro. Progettando geograficamente, demograficamente e fisicamente lo spazio, il regime consente agli ebrei di vivere in un’area contigua con pieni diritti, inclusa l’autodeterminazione, mentre i palestinesi vivono in unità separate e godono di meno diritti “.

People participate in a protest organised by the Campaign Against Antisemitism outside Labour offices in London in 2018 (AFP/File photo)
Partecipanti a una protesta organizzata dalla “Campagna contro l’antisemitismo” fuori dai Labour offices a Londra nel 2018 (AFP / File foto)

 

Gli israeliani di destra continuano a negare  calorosamente che Israele sia unregime  di apartheid e rifiutano qualsiasi paragone con il Sudafrica dell’apartheid. Ma non esiste una legge che vieti di chiamare Israele uno stato di apartheid, e gli israeliani progressisti lo fanno sempre. Anche i confronti con la Germania nazista non sono vietati dalla legge israeliana. Tali confronti sono meno comuni nel discorso politico israeliano, ma sono occasionalmente espressi negli editoriali dei giornali e persino dai politici.

Il diavolo sta nei dettagli

La comunità ebraica globale è altrettanto diversificata e controversa. Ironia della sorte, trattare gli ebrei come un gruppo omogeneo è in realtà un tropo antisemita. Sono gli antisemiti che non riescono a distinguere tra diversi tipi di ebrei e vogliono vederli tutti raggruppati in un unico posto. È su questa base che Theodor Herzl, il visionario dello Stato ebraico, predisse che “gli antisemiti diventeranno i nostri amici più affidabili”.

 La comunità ebraica globale è altrettanto diversificata e controversa. Ironia della sorte, trattare gli ebrei come un gruppo omogeneo è in realtà un tropo antisemita

Il diavolo sta nei dettagli o, nel caso del documento IHRA, negli esempi. A rigor di termini, ci sono due definizioni: le due frasi iniziali, citate sopra, e l’elenco di 11 esempi. Questo punto non può essere sottolineato con sufficiente forza; è un racconto di due testi.

Per ottenere il consenso sul documento all’interno dell’IHRA, è stato necessario separare la dichiarazione dagli esempi illustrativi cheseguono. I partigiani filo-israeliani, tuttavia, hanno ripetutamente trasmesso la falsa impressione che gli esempi siano parte integrante della definizione. Inoltre omettono abitualmente il dettaglio  che questa è solo una bozza – una “definizione operativa”.

Come hanno sottolineato innumerevoli commentatori, avvocati e studiosi di antisemitismo, la definizione  dell’IHRA è mal redatta, internamente incoerente, irrimediabilmente vaga, vulnerabile ad abusi politici e nel complesso non adatta allo scopo. Non soddisfa il requisito più elementare di una definizione, che è definire.

La definizione afferma che “l’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei”, ma non riesce a precisare quale sia questa percezione. Nei miei 50 anni come docente universitario, non ho mai trovato una definizione più vacua o inutile. Tuttavia, sebbene vuota, non è innocua. Kenneth Stern, l’autore principale della definizione, ha rifiutato la sua adozione come codice di incitamento all’odio del campus, sostenendo che “danneggerà non solo i sostenitori pro-palestinesi, ma anche studenti e docenti ebrei e la stessa accademia”.

Antisemitismo vs antisionismo

Ciò che fa il documento IHRA non legalmente vincolante, , con l’aiuto degli esempi, è spostare l’attenzione dal vero antisemitismo al fenomeno perfettamente rispettabile e in crescita dell’antisionismo. L’antisionismo è talvolta descritto dagli stakeholder filo-israeliani come “il nuovo antisemitismo”. È essenziale, tuttavia, distinguere chiaramente tra i due.

L’antisemitismo può essere semplicemente definito come “ostilità verso gli ebrei perché sono ebrei”. Il sionismo è un’ideologia politica nazionalista che chiedeva la creazione di uno stato ebraico e che ora sostiene l’esistenza continua di Israele come tale stato. L’antisionismo è l’opposizione al carattere esclusivo dello stato di Israele e alle politiche israeliane, in particolare alla sua occupazione della Cisgiordania. L’antisemitismo riguarda gli ebrei ovunque nel mondo; l’antisionismo riguarda solo Israele.

Il documento IHRA, considerato nel suo insieme, è suscettibile di abusi politici in quanto consente di fondere un legittimo antisionismo con un nefasto antisemitismo. Gli energici apologeti di Israele, che sono stati determinanti nella promozione del documento, fondono le due cose deliberatamente e regolarmente.

Criticare la definizione per la sua vacuità significa quindi perdere un punto centrale. In questo sforzo, la stessa vaghezza della definizione conferisce un vantaggio politico. Consente ai difensori di Israele di utilizzare la definizione come arma, soprattutto contro gli oppositori di sinistra, e di ritrarre quella che nella maggior parte dei casi è una valida critica al comportamento israeliano come la diffamazione e la delegittimazione dello Stato di Israele.

Doppi standard

Israele non è vittima di doppi standard. Al contrario, è il beneficiario dei doppi standard occidentali. Secondo gli esempi dell’IHRA, è antisemita esigere da Israele un comportamento “non previsto o richiesto a qualsiasi altra nazione democratica”. Ma questo non ha nulla a che fare con il razzismo antiebraico.

In ogni caso, Israele non è una democrazia. Anche all’interno dei suoi confini originali, è nel migliore dei casi una democrazia imperfetta, a causa della discriminazione a più livelli contro i suoi cittadini palestinesi. Ma nell’intera area sotto il suo governo, compresi i territori palestinesi occupati, Israele è un’etnocrazia – un sistema politico in cui un gruppo etnico domina un altro.

 Secondo gli esempi dell’IHRA, è antisemita esigere da Israele un comportamento “non previsto o richiesto a qualsiasi altra nazione democratica”. Ma questo non ha nulla a che fare con il razzismo antiebraico

Lo status superiore degli ebrei in Israele è sancito dalla legge dello stato-nazione del 2018, la conferma ufficiale che Israele è uno stato di apartheid. La legge afferma che il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale in Israele è “solo  per il popolo ebraico”. Stabilisce l’ebraico come lingua ufficiale di Israele e riduce l’arabo – che è ampiamente parlato dai cittadini arabi di Israele – a uno “status speciale”.

Israele è l’unico membro delle Nazioni Unite che sancisce per legge il suo razzismo. Non è quindi antisemita, ma solo giusto e corretto, aspettarsi che Israele si comporti come una nazione democratica dando uguali diritti a tutti i suoi cittadini.

Gli amici di Israele negli Stati Uniti e in Europa hanno attribuito alla definizione uno status internazionale che non ha. Hanno spinto con forza per l’adozione della definizione da parte del maggior numero di governi possibile, perché può essere utilizzata per intimidire i critici di Israele e gli attivisti filo-palestinesi, cancellandoli con il pennello dell’antisemitismo.

An Israeli flag flies in Jerusalem on 27 January 2020 (AFP/File photo)
Una bandiera israeliana sventola a Gerusalemme il 27 gennaio 2020 (AFP / File foto)

In Gran Bretagna, i vertici del Partito conservatore hanno seguito l’esempio della lobby israeliana. In effetti, nel Partito conservatore nel suo insieme, il documento IHRA sembra aver acquisito lo status di scrittura sacra.   (continua)

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Trad. Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org