Muath Hamed, rifugiato in Spagna con la sua famiglia, riferisce che i servizi segreti israeliani lo hanno interrogato e minacciato in un incontro organizzato da agenti del servizio di informazione della Guardia Civil in una delle sedi principali dell’istituto di Polizia.
Fonte: version espanola
Josè Bautista – 10 aprile 2021
Foto di copertina: Il giornalista palestinese Muath Hamed.
Muath Hamed è un giornalista palestinese rifugiato in Spagna. Vive con sua moglie e due bambini piccoli a Lemoa (Vizcaya). Quando si è stabilito in questa piccola città basca, ha sentito di aver finalmente trovato un posto dove vivere in pace con la sua famiglia, dopo una vita segnata da persecuzioni, carcere e repressione da parte del governo israeliano. Quella sensazione è completamente svanita l’11 febbraio alle sei del pomeriggio, in una stanza isolata della caserma della Guardia Civil in via Batalla del Salado, nel cuore di Madrid. Quel giorno, riferisce , la Guardia Civil ospitava un agente del Mossad, il temuto servizio segreto israeliano, che lo ha sottoposto ad un interrogatorio clandestino e lo ha minacciato.
L’origine di questa storia risale al 9 dicembre 2020. Quel giorno, Muath ha ricevuto la prima chiamata da Nicolás, un agente dei servizi di informazione della Guardia Civil di stanza nei Paesi Baschi. Voleva prendere un caffè e parlare con Muath del suo lavoro di giornalista, del suo passato e della sua vita in Spagna. Questa è una procedura comune dei servizi di informazione spagnoli con rifugiati e migranti. “Ho capito che stava facendo il suo lavoro e non avendo nulla da nascondere ho detto di sì”, spiega il protagonista di questa storia. L’agente Nicolás, sulla quarantina, statura media, carnagione scura e abbigliamento civile, secondo la descrizione di Muath, lo ha ricevuto al Comando della Guardia Civil di Vizcaya, situato in Plaza Salbe a Bilbao.
In una stanza del quinto piano li aspettava Javier, un altro agente dello stesso servizio, occhi azzurri, bassa statura, pancia prominente e buona padronanza dell’inglese. Muath ha risposto alle loro domande e ha spiegato perché aveva chiesto asilo in Spagna, subito dopo essere riuscito a lasciare la Palestina e come era stato il suo passaggio attraverso la Turchia. Molte domande erano già state poste dalla Polizia Nazionale quando aveva chiesto asilo in Spagna, nell’aprile 2019. La decisione finale sulla richiesta di asilo di Muath e della sua famiglia è ancora in sospeso.
I problemi sono venuti dopo. All’inizio di febbraio, il giovane giornalista palestinese ha ricevuto di nuovo una telefonata da Nicolás. Di nuovo, gli ha chiesto di incontrarlo, questa volta a Madrid. Muath ha rifiutato perché si trovava nei Paesi Baschi, ma pochi giorni dopo ha ricevuto un’altra chiamata con un numero nascosto. Questa volta è stato l’agente Javier a parlare, che gli ha gentilmente chiesto di incontrarlo l’11 febbraio nel pomeriggio. Muath si trovava nella capitale spagnola, per coprire le notizie di attualità per la televisione del Qatar Al Araby. Ha accettato e, alla fine della sua giornata di lavoro, si è recato al numero 35 di via Batalla del Salado, uno dei quartier generali più importanti della Guardia Civil.
All’arrivo, Muath notò alcuni dettagli che lo insospettirono. Secondo il suo racconto, un uomo in divisa lo introdusse nell’edificio senza identificarlo, senza registrare il suo accesso e senza passare attraverso alcun controllo di sicurezza, come previsto dal protocollo. L’agente lo accompagnò al terzo piano di uno dei blocchi, dove li aspettavano Javier e un uomo in giacca e cravatta, calvo, di carnagione scura e fisico atletico, che si presentò come Omar.
La stanza era buia e l’unica finestra era chiusa. Dopo aver verificato che Muath non stava registrando con il suo telefono cellulare, l’uomo misterioso affermò di lavorare per i servizi segreti belgi. Javier spiegò a Muath che Omar era di origine palestinese, ma l’inganno venne meno quando il giornalista notò il suo forte accento israeliano. Muath rispose alle sue prime domande in ebraico. Dopo aver visto la reazione di Omar e Javier, Muath chiese loro di mostrargli un documento di riconoscimento, ma riferisce che entrambi rifiutarono. Poi Omar ammise di essere israeliano. L’agente della Guardia Civil era uscito dalla stanza lasciando il giornalista palestinese nelle mani del presunto agente del Mossad.
Muath spiega che in quel momento ebbe molta paura. Pensava al caso di Jamal Khashoggi, il giornalista smembrato al consolato saudita di Istanbul, il cui omicidio resta impunito. Il presunto agente israeliano iniziò a fargli pressione, lanciando velate accuse contro Muath e facendogli capire che conosceva i suoi contatt i e i suoi movimenti da molto tempo. Lo accusò di essere coinvolto nel finanziamento di gruppi islamisti e terroristici legati alla resistenza palestinese. Sempre secondo la testimonianza di Muath, la presunta spia israeliana parlò anche della sua situazione economica e gli chiese delle sue fonti in Turchia e di persone come Zahir Jabareen, uno dei leader di Hamas su cui pesano diversi mandati di comparizione e di arresto internazionali. Muath sospettava da tempo che il suo telefono fosse sotto controllo e ne ebbe la conferma quel giorno. Ha ancora il link con cui crede che i suoi dispositivi e i suoi account siano stati infettati dal programma di spionaggio Pegasus. Il giornalista e rifugiato palestinese respinse tutte le accuse.
Il presunto agente del Mossad continuò a parlare iniziando a lanciare minacce contro Muath e la sua famiglia, dicendogli che non sarebbero mai tornati in Palestina e menzionò una delle sue inchieste giornalistiche, con la quale aveva scoperto il sistema di società fittizie che il Mossad usa nei paesi dell’Europa orientale per reclutare e pagare i suoi informatori in territorio europeo. Secondo Muath, Omar conosceva il vero nome della fonte principale di quel rapporto.
Alle domande ufficiali su questo interrogatorio clandestino, l’ambasciata israeliana risponde: “la risposta è che non c’è risposta”. L’agente Nicolás risponde alle nostre chiamate ma si rifiuta di parlare, mentre l’agente Javier legge i messaggi ma non si presenta. La Guardia Civil non rilascia nessuna dichiarazione ufficiale su questi eventi. Il Ministero dell’Interno si rifiuta di commentare. Il CEAR, l’organizzazione che elabora la domanda di asilo di Muath e della sua famiglia, ha già reso noti questi fatti all’Ufficio per l’asilo. L’ambasciata belga è già a conoscenza del fatto che almeno un agente del Mossad agisce da spia per i servizi segreti belgi in Spagna.
Fonti esperte in materia di immigrazione e sicurezza affermano che la Guardia Civil non ha poteri in materia di immigrazione (ricadono sulla Polizia Nazionale). Sottolineano inoltre che è normale per i servizi di informazione spagnoli contattare migranti e rifugiati e cercare di fare pressione su di loro per ottenere informazioni, ma non con protocolli che implicano minacce e intimidazioni come quelle subite da Muath. Attualmente non esistono accordi di collaborazione ufficiali che consentano al Mossad di svolgere operazioni di questo tipo in territorio spagnolo o in edifici statali.
Sensazione di insicurezza
Non è la prima volta che il giornalista palestinese ha a che fare con l’intelligence israeliana. Tra il 2006 e il 2014, il Mossad cercò di interrogarlo in diverse occasioni. Secondo la sua testimonianza, Muath si è sempre rifiutato di collaborare con i Servizi Segreti israeliani, lo ha persino denunciato pubblicamente e per rappresaglia è stato arrestato in diverse occasioni.
Muath dice che, dopo quasi due ore di interrogatorio, il presunto agente del Mossad se ne andò dicendogli che si sarebbero rivisti. Da quel giorno, il giornalista palestinese e sua moglie hanno perso la loro tranquillità. Sono preoccupati per la loro richiesta di asilo e per la propria sicurezza. Lei rivive nel sonno le aggressioni dell’esercito israeliano a casa dei suoi genitori e l’arresto di parenti. Teme che la stanchezza dovuta alla mancanza di sonno metta in pericolo i suoi figli di due e cinque anni. Muath afferma di avere un incubo ricorrente in cui viene rimpatriato con la forza in Palestina e si sente di nuovo intrappolato.
Il figlio maggiore, di cinque anni, ha sviluppato una paura della polizia spagnola a causa di questi eventi. È consapevole della situazione e la associa a episodi violenti che ha vissuto in Palestina per mano delle forze israeliane. Per tranquillizzarlo, quando incrociano un agente, i suoi genitori gli dicono: “Va tutto bene, saluta la polizia”. Muath sta valutando la possibilità di intraprendere un’azione legale contro il governo spagnolo e non esclude di trasferirsi con la sua famiglia in un altro paese in cerca di protezione. “Perché la Spagna collabora con loro?”
Muath è stato trattenuto in detenzione amministrativa nelle carceri israeliane dieci volte. In passato è stato anche arrestato e incarcerato due volte dall’Autorità Nazionale Palestinese. Tra il 2004 e il 2014 è stato inserito nella lista nera del governo israeliano con il divieto di viaggiare all’estero. È riuscito a lasciare la Palestina dopo una lunga battaglia giudiziaria e grazie a un premio che gli è stato assegnato in Turchia, per un video in cui Muath riprende un soldato israeliano mentre gli spara e viene ferito alla spalla sinistra. In tutto, Muath è stato ferito cinque volte mentre scriveva sul conflitto israelo-palestinese. Dopo cinque anni a Istanbul, aveva deciso di trasferirsi in Spagna per sfuggire alla crescente ostilità verso i rifugiati in Turchia. Il nome di Muath compare nei rapporti di Human Rights Watch e di altre organizzazioni internazionali sulle violazioni dei diritti umani e sugli attacchi contro giornalisti in quella regione.
La migrazione è un processo vitale che non si limita al momento in cui qualcuno attraversa un confine. Chi è costretto a migrare spesso porta con se esperienze di vita che pesano. Muath e la sua famiglia portano con sé un enorme bagaglio emotivo che faticano a scrollarsi di dosso. Infatti, il giorno in cui Muath accettò di parlare pubblicamente coincise con la morte del suo ex compagno di cella Omar Barghouti, uno degli attivisti più carismatici del Movimento Palestinese. Le presunte minacce del Mossad sotto l’egida della Guardia Civil raccontate da Muath aumentano il sentimento di insicurezza di questa famiglia di profughi palestinesi in Spagna, un paese europeo in cui pensavano di essere al sicuro. Forse si sbagliavano.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org