Più vedo, peggiore diventa il mio senso di colpa. C’è un’estrema sensazione di impotenza nel non poter risparmiare ai miei cari questa agonia. La mia mente si smarrisce e si chiede perché io merito di dormire la notte nel mio letto, mentre loro non possono.
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Muhammad Shehada 15 maggio 2021
Immagine di copertina: Bombardamenti israeliani su Gaza, 12 maggio 2021. (Ashraf Amra, Anadolu Agency/Getty Images)
“Moriremo …” sta diventando la prima comune parola, cupa e indescrivibilmente colpevolizzante, che sento dire dalle molte persone che amo a Gaza, pronunciata quasi inconsciamente all’inizio di ogni conversazione. “Questa è pura follia” è la seconda. E anche la “follia” non riesce a descrivere ciò che la mia famiglia e i miei amici devono sopportare.
La notte di giovedì è stata fino ad ora la peggiore nell’ultima escalation tra Israele e Hamas che, a sabato, ha portato alla tragica e inaccettabile morte di circa 139 gazawi e di otto israeliani. In termini di scala e intensità, i miei contatti a Gaza dicono che la notte è stata peggiore di qualsiasi altra nelle prolungate operazioni militari di Israele nel 2014, 2012 e 2008-9.
“Vivere tre guerre è stato meno doloroso che vivere quei 30 minuti la scorsa notte”, ha detto venerdì un cugino che vive nel nord di Gaza, dove si è concentrato l’assalto. “Non abbiamo mai visto niente di simile.”
Giovedì sera è stata Eid Al-Fitr, la festa che segna la fine del mese sacro musulmano del Ramadan. In mezz’ora, Israele ha colpito a Gaza 150 obiettivi dichiarati con 450 bombe e missili da 160 aerei da guerra e dozzine di unità di artiglieria. Ciò è avvenuto poche ore dopo che Hamas aveva lanciato il suo nuovo “razzo Al-Ayash 250” a più di 100 miglia, verso il nord di Israele.
Ciò che ha reso questo attacco diverso è che è stata inflitta così tanta distruzione in così poco tempo.
“Tra un secondo e l’altro, il nostro quartiere è diventato irriconoscibile”, mi ha detto mio cugino angosciato. Lui e sua moglie avevano troppa paura per guardare fuori dalla finestra quanto accadeva, o anche solo per mettersi in salvo. Hanno chiuso gli occhi e sono rimasti immobili. Gli attacchi aerei sembravano essere ovunque; nel cuore della notte, il cielo si è incendiato.
“Irriconoscibile” è la parola usata da mia sorella per descrivere la strada in cui si trova la nostra casa. È una parola che ha risuonato ampiamente in tutta Gaza per descrivere molti dei suoi siti iconici.
Come il distretto di Rimal nel centro di Gaza, dove Israele ha raso al suolo tre delle sue torri residenziali più alte, Hanadi, Al-Shorouq e Al-Jawhara. “Capital Mall, l’unico posto in cui possiamo andare quando non c’è ‘elettricità e il caldo è insopportabile, ora è distrutto”, si lamentava mia sorella.
Ciò che più spaventa la popolazione di Gaza è che il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo gabinetto di sicurezza sembrano per il momento disinteressati a un cessate il fuoco. Netanyahu ha dichiarato lunedì che “Israele risponderà con grande forza” e che “l’attuale conflitto potrebbe durare per un po’ di tempo”, mentre il suo ministro della Difesa, Benny Gantz, ha detto “ci sono molti obiettivi in lista, questo è solo l’inizio. ”
Sto seguendo tutto questo da Lund, in Svezia, dove studio Security Risk Management dal 2019. So esattamente come ci si sente, perché sono stato lì durante tutte e tre le guerre precedenti nel 2008, 2012 e 2014, ma contemporaneamente non lo so, perché io non ci sono, e seguo invece ogni Tweet e messaggio di WhatsApp chiedendomi il destino di centinaia di parenti e amici.
Cerco disperatamente di calmare i miei cari da lontano. Faccio una o due telefonate ogni ora, a chiunque penso possa avere elettricità e internet. I suoni assordanti dei droni israeliani e dei jet F16 mentre parliamo, il trauma che esprimono i miei parenti e l’indicibile paura che condividono sono tutti insopportabili. Ma sentire le loro voci, sapere che sono ancora vivi e fisicamente illesi, mi riempie di gratitudine e calma.
Fino a quando non riaggancio. Poi torno ad incollarmi allo schermo del mio computer, alla TV e al telefono. Aggiornando e rinfrescando senza sosta il mio browser per assicurarmi di non perdere dove colpisce il prossimo attacco aereo o i nomi di chi ha ucciso o ferito.
Più vedo, peggiore diventa la colpa del mio sopravvivere. C’è un’estrema sensazione di impotenza nel non poter risparmiare ai miei cari questa agonia. La mia mente si smarrisce e si chiede perché io merito di dormire la notte nel mio letto, mentre loro non possono.
Quando parlo con la mia cara nonna, che ha circa 70 anni, posso sentire nella sua voce che si sta stancando delle mie sempre uguali parole vuote, mentre gli attacchi aerei la tengono sveglia ogni notte chiedendosi se sarà l’ultima.
Ho smesso di dire “state al sicuro”, perché non c’è niente che gli abitanti di Gaza possano fare per essere al sicuro da questo; nessun rifugio, nessuna via di fuga, nessun Iron Dome per bloccare i missili e quasi nessuna area sicura che non abbia subito distruzione.
Che conforto può avere il mio dire “Andrà tutto bene, finirà presto” quando la nonna vede Gantz in TV dire “Gaza brucerà” o “Le torri continueranno a sgretolarsi”?
La mia famiglia e la maggior parte dei miei amici vivono in queste torri residenziali, quasi la norma in un’enclave così densamente popolata. Il mio defunto padre ha investito tutto quello che abbiamo nel nostro appartamento. Mia madre dice sempre: “L’abbiamo costruita insieme mattone su mattone con amore e duro lavoro”.
Dovevano invecchiare insieme, ma mio padre è morto per insufficienza respiratoria nel maggio 2008, impossibilitato ad ottenere le cure di cui aveva bisogno a causa del blocco di Israele.
In qualsiasi momento, Israele potrebbe decidere di bombardare un’altra torre residenziale, invitando i suoi abitanti a evacuare entro pochi minuti prima che un attacco aereo li renda senza casa in mezzo alla pandemia. Cosa potrebbero mai mettere in valigia, dei loro ricordi e della loro vita, in quel breve lasso di tempo?
Quasi tutti quelli con cui parlo a Gaza hanno già preparato una piccola borsa con i loro effetti personali più importanti ma leggeri, e l’hanno messa vicino alla porta principale nel caso avessero improvvisamente bisogno di scappare per salvarsi.
Un ricordo che mi ossessiona è quello di un compagno di classe universitario la cui casa è stata bombardata nel 2014. Dopo di allora, il suo volto era quasi permanentemente accigliato per la depressione. “Quattro mura e un tetto sono il mio principale desiderio nella vita in questo momento”, diceva. A volte ci arringava su come noi avessimo case a cui tornare dopo ogni lezione, mentre lui tornava in un rifugio temporaneo, usando un mattone di cemento come sgabello.
“Se la tua casa viene distrutta, proverai per sempre un senso di oppressione e sconfitta, anche se ne prendi un’altra”, mi ha detto venerdì pomeriggio un amico d’infanzia mentre rifletteva su cosa sarebbe stato di lui se la sua casa fosse stata la prossima.
Diventare senzatetto dopo un attacco aereo, perdere tutto in un batter d’occhio, sarebbe ancora un destino meno cupo che finire sotto le macerie, come la famiglia Abu Hatab, che ha perso 10 membri – otto dei quali bambini – quando Israele ha attaccato il Campo profughi di Al Shati la notte di venerdì. Solo un bambino di 5 mesi, ora orfano, è sopravvissuto.
E non c’è praticamente modo di dire quando il prossimo attacco aereo avrà luogo, se la mia famiglia e i miei amici saranno gli spettatori che guarderanno alzarsi il fumo, o quelli che diventeranno senzatetto, o le vittime.
Le torri e le infrastrutture civili bombardate, rendendo le persone senza casa, infliggendo traumi all’intera popolazione di Gaza, deliberatamente o incidentalmente, potranno offrire materiale per la futura campagna di Gantz o di Netanyahu per annunciare di aver riportato Gaza “indietro all’età della pietra”. Ma non renderà gli israeliani più sicuri.
Avrebbero solo “punito, umiliato e terrorizzato” la popolazione civile di Gaza, come diceva il famoso Rapporto Goldstone sull’operazione Piombo fuso di Israele del 2008-9. E questo alimenterebbe solo più odio e vendetta, intrappolando noi e gli israeliani in un ciclo infinito ma prevedibile di dolore e angoscia.
Non ci sono vincitori in questa escalation ei civili sono certamente coloro che pagano il prezzo più alto..
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Muhammad Shehada è un editorialista che collabora con Forward.
Trad: Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org