Città e paesi misti arabo-israeliani hanno visto la peggiore violenza intercomunale degli ultimi decenni, ma le cariche della polizia israeliana hanno travolto quasi esclusivamente palestinesi.
Fonte: english version
Di Dalia Hatuqa – 29 Maggio 2021
Foto di copertina: Le forze israeliane arrestano un palestinese davanti alla Porta di Damasco durante una protesta a Gerusalemme Est il 18 maggio 2021, contro gli attacchi israeliani alla Striscia di Gaza. Foto: Mostafa Alkharouf/Agenzia Anadolu via Getty Images
Mentre gli occhi del mondo erano fissi sullo scambio di razzi e attacchi aerei sulla barriera Gaza-Israele, la violenza si stava intensificando all’interno dello stesso Israele. Le proteste palestinesi, a sostegno dei loro fratelli, sono scoppiate su entrambi i lati della Linea Verde che separa i territori palestinesi occupati dal territorio israeliano internazionalmente riconosciuto. Nelle città “miste” di Israele, gli scontri tra cittadini palestinesi ed ebrei si sono intensificati, mettendo in luce le linee di frattura interne esistenti. La violenza della folla e le rivolte si sono diffuse in luoghi come Lod, Haifa e Yafa.
L’ultimo ciclo di recrudescenze nel conflitto israelo-palestinese ha visto un’insolita ondata di violenza intercomunitaria tra palestinesi ed ebrei all’interno di Israele. I video mostrano gruppi di palestinesi in città miste arabo-israeliane che protestavano e persino si rivoltavano in una misura mai vista dalla Seconda Intifada nel 2000.
I leader israeliani hanno iniziato a temere il peggio: “Non c’è minaccia più grande di queste rivolte”, ha affermato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Prendendo spunto, gli ebrei della destra sionista israeliana, molti dei quali arrivavano nelle città israeliane da insediamenti radicali della Cisgiordania, hanno formato bande che battevano le strade a caccia di palestinesi.
Entrambe le parti sono state accusate di violenza di massa: incendi di negozi e di veicoli, incursioni domestiche, aggressioni e persino omicidi. I video apparsi nei social media sembrano mostrare linciaggi di gruppo. Solo una parte, tuttavia, vantava il sostegno dello Stato: giornalisti e videomaker dilettanti hanno mostrato gli estremisti di destra israeliani mentre commettevano varie forme di violenza.
Ora, con la polvere che comincia a depositarsi , la stessa discriminazione che ha dato origine al malcontento palestinese sta nuovamente diventando evidente. Negli ultimi giorni, Israele ha lanciato una campagna di arresti di massa contro i palestinesi in città miste che sono stati accusati, spesso senza prove specifiche, di disordini. Non sono stati effettuati controlli del genere per arrestare ebrei israeliani accusati di violenza di gruppo.
“Nell’ attuale campagna che loro”, la polizia, “hanno lanciato, arrestando dozzine di persone, tutti sono esclusivamente manifestanti palestinesi e attivisti politici”, ha detto Amir Toumie, uno studente laureato che è membro del Movimento Giovanile di Haifa, un gruppo di attivisti palestinesi. “Quasi nessuno di loro è cittadino israeliano. È palese che la campagna della polizia è politica quando si tratta di combattere il crimine. Stanno cercando di dissuaderci dal manifestare”.
Circa 1.600 palestinesi sono stati arrestati dall’inizio della campagna, secondo Sami Abou Shehadeh, membro del Parlamento israeliano per lo schieramento palestinese di sinistra, la Lista Congiunta. Un portavoce della polizia ha affermato che “la maggior parte degli incidenti che hanno avuto luogo sono stati compiuti da arabi israeliani che sono scesi in piazza e hanno attaccato civili ebrei e agenti di polizia”. Abou Shehadeh ha confutato l’affermazione, sostenendo che i palestinesi sono stati arrestati anche mentre si trovavano semplicemente in strada, fatto direttamente confermato da Toumie.
“La polizia era proprio accanto ai coloni mentre erano per le strade di Haifa cantando ‘Morte agli Arabi’ e attaccando tutti e ogni proprietà che vedevano”, ha detto Toumie. “Così abbiamo capito che la polizia non ci avrebbe protetto”.
I movimenti giovanili di Haifa e le persone di vari quartieri palestinesi hanno formato comitati di protezione locale. “La polizia non l’ha presa bene”, ha aggiunto Toumie. “Hanno iniziato a entrare nei quartieri e ad arrestare le persone anche solo perché stavano in strada e non facevano nulla”.
Le reazioni delle autorità durante e all’indomani della violenza mostrano innanzitutto perché i cittadini palestinesi di Israele erano stanchi e protestavano: sebbene luoghi come Haifa, la più grande città mista in Israele, dove il 15% della popolazione della città è palestinese, sono spesso acclamati per la convivenza, i residenti palestinesi affrontano frequenti discriminazioni e oltraggi quotidiani.
Le relazioni tra palestinesi ed ebrei in Israele sono sempre state tese, nel migliore dei casi, ma quando la violenza si è propagata come un incendio, folle rivali hanno attaccato le persone, danneggiato le imprese e incendiato le auto, si è visto quanto fossero fragili quei rapporti. A Bat Yam, appena a sud di Tel Aviv, un gruppo di ebrei israeliani ha vandalizzato attività di proprietà palestinese, tra cui una famosa gelateria, prima di aggredire un uomo palestinese che stava cercando di fuggire con la sua auto.
Nel mercato Mahane Yehuda di Gerusalemme, un uomo palestinese è stato accoltellato. A Yafa, i palestinesi hanno picchiato un soldato israeliano di 19 anni, fratturandogli il cranio. Yigal Yehoshua, un uomo di 56 anni, è stato colpito alla testa con un mattone mentre le proteste dilagavano nel paese; ha ceduto alle ferite in un ospedale di Tel Aviv. La sua morte è avvenuta in seguito all’uccisione di Mousa Hassouna, un palestinese di 33 anni di Lod che è stato ucciso durante i disordini mentre altri tre sono rimasti feriti. I sospettati della sua uccisione, ebrei israeliani che hanno affermato di aver agito per legittima difesa, sono stati trattenuti e poi rilasciati.
Vari eventi hanno alimentato le ultime ondate di disordini, recriminazioni e violenze. La crisi è stata innescata dalle autorità israeliane che hanno installato barriere alla Porta di Damasco, un ingresso alla Città Vecchia di Gerusalemme che era diventata un’area di aggregazione per i palestinesi per incontrarsi e socializzare. Le proteste si sono poi diffuse quando la polizia israeliana ha attaccato i fedeli all’interno della moschea di Al Aqsa, lanciando granate stordenti e gas lacrimogeni. Anche gli sgomberi incombenti delle famiglie dal quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est hanno alimentato le fiamme della violenza.
La questione di fondo, tuttavia, è sempre stata la stessa: i palestinesi semplicemente non sono trattati allo stesso modo dei loro connazionali ebrei.
La violenza di massa perpetrata da ebrei e palestinesi l’uno contro l’altro nelle città miste di Israele è stata scioccante per molti. Eppure il conflitto si sta svolgendo in un contesto di iniquità, profonda emarginazione sociale e sforzi attivi da parte di gruppi allineati con lo Stato per liberare queste città dalla loro cittadinanza palestinese.
“Siamo in una situazione terrificante”, ha detto Diana Buttu, avvocato di Haifa e madre di un bambino di sette anni. “Abbiamo visto alcune case essere contrassegnate di giorno, solo per essere attaccate di notte. Questo è terrificante perché sono aiutati direttamente o indirettamente dalla polizia che li fiancheggia o non interviene.”
i palestinesi costituiscono circa il 21% della popolazione israeliana e, in teoria, hanno pari diritti sociali e politici. In realtà, sono trattati come cittadini di seconda classe, affrontando una discriminazione dilagante a livello municipale e governativo, nonché barriere legali e sociali diffuse. Nonostante vivano in un paese con una qualità della vita pari a quella dell’Europa occidentale, la realtà per i palestinesi in Israele è piena di umiliazione ed emarginazione per mano dei loro concittadini ebrei.
Il linguaggio di odio anti-arabo è ampiamente normalizzato nella stampa principale e nei partiti politici israeliani, con un partito “suprematista ebraico” chiamato Potere Ebraico, che si unisce alla più recente coalizione di governo. “I partiti di destra israeliani hanno fatto una campagna per un più esteso dominio ebraico in Israele”, ha recentemente scritto sul Guardian la sondaggista e stratega politica israeliana americana Dahlia Scheindlin. “L’ala nazionalista estremista ha guidato e legittimato l’odio contro arabi, sinistra, migranti e media”, ha detto Scheindlin, raccontando il contesto che i cittadini palestinesi di Israele sopportano per mano dello Stato.
I palestinesi all’interno di Israele, a volte chiamati arabi israeliani o israeliani arabi nel tentativo di separarli dalla loro identità palestinese, sono formalmente emarginati dallo Stato in una serie di politiche discriminatorie spesso mascherate. La più nota di queste è la legge sullo Stato-Nazione ebraico approvata nel 2018, che ha reso l’ebraico la lingua nazionale del paese, declassando l’arabo dalla sua designazione ufficiale come seconda lingua, e ha definito l’istituzione di comunità ebraiche come nell’interesse nazionale.
I cittadini palestinesi sono spesso confinati in piccoli quartieri all’interno di città o villaggi in aree specifiche del paese. Questi luoghi sono solitamente vincolati nella pianificazione civile e nell’espansione a causa dei vicini insediamenti ebraici, molti dei quali sono stati istituiti dopo la Nakba, o catastrofe, del 1948 quando centinaia di migliaia di palestinesi furono costretti a fuggire in massa.
“Il motivo per cui queste masse ebraiche si stanno mobilitando è perché non hanno finito il lavoro nel 1948 e vedono questa come la loro possibilità di completarlo. Tutto questo è stato fatto con l’approvazione dello Stato”, ha detto Buttu. “Questo è il culmine di anni di odio anti-palestinese, di anni in cui i politici hanno rilasciato dichiarazioni velenose sui palestinesi”.
Buttu ha affermato che l’ascesa del movimento kahanista, una dottrina politica estremista che ha contribuito a promuovere un sionismo religioso più ampio, ha solo peggiorato le cose per i palestinesi. Gli ideologi del movimento, che, nonostante il divieto esplicito di istituire gruppi politici kahanisti, ha conquistato un posto nella politica di potere israeliana, fanno spesso aperti appelli alla pulizia etnica dei palestinesi.
È in questo contesto di discriminazione che è scoppiata la rabbia. In città miste come Lod, di solito predomina una calma inquietante, ma i quartieri palestinesi sono pieni di violenza e droga, una situazione sulla quale la polizia israeliana spesso chiude un occhio, in linea con altre forme di abbandono dello Stato, in settori che vanno dalla raccolta dei rifiuti alle forze dell’ordine.
Quando scoppia il crimine intra-arabo, la polizia si interessa a malapena, ha detto Toumie, studente laureato e attivista. “Chiediamo da anni che la polizia intervenga e inizi a sequestrare le armi illegali nei villaggi e nelle città palestinesi e organizzi campagne per la legge e l’ordine per liberarli dai criminali e dalla criminalità organizzata”, ha detto Toumie. Ma nessuna azione è stata intrapresa.
Nel frattempo, Haifa è spesso acclamata come un’oasi di convivenza, ma Abou Shehadeh, il membro del Parlamento israeliano, ha affermato che questo è un mito che rafforza la narrativa di inclusività o liberalismo di Israele in risposta alla condanna internazionale delle sue politiche. Mentre sia ebrei che palestinesi condividono le risorse pubbliche, la città stessa è razzialmente segregata e divisa, con i palestinesi che sopportano il peso della discriminazione sistematica.
“Le relazioni ebraico-palestinesi non sono mai state ottime. Solo perché le persone non si sparavano addosso regolarmente, non significa che stessero bene”, ha detto Abou Shehadeh. “Non significa che ci fosse uguaglianza. Anche nell’apartheid c’era coesistenza, ma c’è una dimensione razzista che non ammette parità. Nelle città miste si vedono la maggior parte delle immagini dell’apartheid”.
Abou Shehadeh ha detto che c’è un movimento in corso per chiedere protezione internazionale per i palestinesi all’interno di Israele. “La polizia è contro di noi. I media sono contro di noi”, ha detto. “Abbiamo perso qualsiasi minima sensazione di sicurezza. Abbiamo iniziato a pensare a un coinvolgimento internazionale: chiedere protezione internazionale come minoranza. Chiediamo che una squadra investigativa esamini gli attacchi su entrambi i lati della Linea Verde”.
Dalia Hatuqa è una giornalista esperta di affari palestinesi e israeliani con sede in Cisgiordania e Washington, DC.
Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org