Israele sospende le sue incursioni notturne di “mappatura”, ma la costante sorveglianza dei palestinesi continua

Fermando questa pratica dell’esercito, in Cisgiordania meno persone si sveglieranno per scoprire che soldati israeliani armati hanno fatto irruzione nelle loro case. Ma il monitoraggio è una componente centrale del controllo israeliano sui palestinesi.

Fonte: English version

Di Amira Hass (*) – 17 giugno 2021 

Foto di copertina: I soldati dell IDF mappano una casa nella città di Rujeib, in Cisgiordania l’anno scorso. Credito: Unità del Portavoce IDF

Le incursioni notturne dei militari nelle case della Cisgiordania per raccogliere informazioni, una pratica a cui l’esercito ha posto fine questa settimana, sono solo una delle tante tattiche che Israele usa per tracciare, monitorare e raccogliere informazioni sui palestinesi. I metodi sono innumerevoli e le agenzie che perpetrano quello che si potrebbe definire “spionaggio permanente verso tutti i palestinesi” sono numerose e diversificate. La fine del metodo invasivo e aggressivo della “mappatura”, come lo chiamano i militari, è decisamente il benvenuto. Meno persone, inclusi numerosi bambini, si sveglieranno spaventati in piena notte, per l’irruzione di soldati armati che si godono il potere che esercitano o nascondono le proprie paure dietro le armi spianate, abbaiando ordini in un arabo stentato.

Ma anche senza queste perquisizioni, l’apparato di spionaggio multi-armato usato contro i palestinesi continua e continuerà a funzionare. La raccolta di informazioni, la sorveglianza e il monitoraggio sono un asse centrale del controllo israeliano sul popolo palestinese, in Israele e nei territori conquistati nel 1967; sono strumenti disciplinari.

Il loro scopo è di far sì che i palestinesi obbediscano e si rassegnino a un’acquisizione ebraica di gran parte delle loro terre in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nello stesso Israele. È per abituarli ad essere concentrati in enclavi di limitato autogoverno in Cisgiordania e Gaza, o in quartieri isolati a Gerusalemme o città sovraffollate in Israele, terra che è stata espropriata per molti anni e assegnata alle comunità ebraiche. Quando serve, quando i palestinesi mostrano che non si assoggettano o questo, la sorveglianza e il monitoraggio sono usati per intimidire e punire, attraverso arresti, processi e incarcerazione da parte di tribunali militari e civili.

Ci sono alcuni metodi di sorveglianza e raccolta di informazioni che sembrano innocenti, come il monitoraggio meticoloso di tutto ciò che è scritto e detto nei media palestinesi. C’è anche lo stretto monitoraggio dei social media, una miniera di info per qualsiasi agenzia di intelligence, anche quando segue il dibattito pubblico, piuttosto che hackerare un account.

Ma la maggior parte degli altri metodi sono invasivi e aggressivi. Alcuni sono fisicamente violenti; la violenza degli altri deriva dalle relazioni di potere molto asimmetriche e dalla volontà di sfruttare la debolezza palestinese a beneficio del governo di Israele e della sua popolazione ebraica.

Questo include l’uso di collaboratori a tutti i livelli; le intercettazioni telefoniche, l’obbligo di portare con sé documenti di identità biometrici, la convocazione da parte dello Shin Bet a una “conversazione”. C’è anche l’interrogatorio dello Shin Bet dei detenuti, con o senza l’uso della tortura; detenzioni per raccogliere informazioni o muovere incriminazioni (come l’arresto di pescatori a Gaza o di minori nei villaggi dove si tengono manifestazioni contro gli insediamenti); l’uso di spie nelle celle delle prigioni, il ricorso a psicologi, esperti del Medio Oriente o esperti di terrorismo per far parlare i prigionieri palestinesi; posizionando telecamere ai posti di blocco e droni e palloni di sorveglianza sopra città e villaggi, e utilizzando la tecnologia di riconoscimento facciale.

Esistono anche metodi “normali” per raccogliere informazioni o condurre la sorveglianza, che sono parte integrante del rapporto tra occupante e occupato, come stabilito dagli accordi di Oslo. Questi includono interrogatori “amichevoli” presso gli uffici dell’Amministrazione Civile, incontri e colloqui regolari tra alti funzionari israeliani e rappresentanti dell’Autorità Palestinese, interrogatori ai valichi di frontiera e una richiesta di informazioni approfondite quando si richiedono permessi di viaggio, principalmente per scopi medici. Il controllo di Israele sul registro della popolazione fornisce all’esercito un gigantesco database, che include tutti i palestinesi in Cisgiordania e Gaza.

Non sono solo le istituzioni statali, come l’esercito, il servizio di sicurezza Shin Bet e l’Ufficio del Coordinatore delle Attività di Governo nei Territori (COGAT) e le sue sedi, l’Amministrazione Civile e gli uffici di collegamento, che si occupano di questo costante spionaggio. Vi si dedicano anche le agenzie private, che si sono moltiplicate negli ultimi anni. È il Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center (Centro informazioni Intelligence e Terrorismo); l’ONG sionista Regavim, che controlla ogni capanna, ovile o terrazza che i palestinesi costruiscono nel 60% della Cisgiordania (in quella che viene chiamata Area C); Palestinian Media Watch (Osservatorio sui Media Palestinesi); ONG Monitor e vari gruppi di coloni. È certo che tutte queste organizzazioni, ufficiali e non ufficiali, condividono le informazioni che raccolgono attraverso il proprio tracciamento e monitoraggio.

Quando il comandante del Comando Centrale, il Maggiore Generale Tamir Yadai, afferma che l’esercito può rinunciare alle incursioni nelle abitazioni palestinesi per scopi di mappatura perché dispone di alternative tecnologiche avanzate, gli si può credere. Ma è molto probabile che l’esercito non avrebbe rinunciato a questo metodo senza gli sforzi delle ONG. Questi includono l’ostinazione di Breaking the Silence, che ha pubblicato informazioni su queste incursioni ancor prima che uscisse un rapporto su questo tema, e l’azione legale intrapresa dagli avvocati Michael Sfard e Hagai Benziman che rappresentavano quell’organizzazione, così come Yesh Din e l’ONG Physicians for Human Rights (Medici per i Diritti Umani).

Le incursioni notturne sono anche un mezzo di intimidazione, un altro mattone nella struttura del dominio. L’esercito e lo Shin Bet troveranno sicuramente facile etichettare i palestinesi come “sospetti” per continuare a fare irruzione nelle loro case di notte. La concessione non limita veramente il sistema.

La realtà della vita sotto supervisione, sorveglianza e raccolta di informazioni, destinate a disciplinare e regolare il dominio, non è un’invenzione israeliana. Il giurista e filosofo britannico del 18º secolo Jeremy Bentham costruì un modello di prigione efficiente chiamato Panopticon, uno strumento onniveggente. Questo è un modello architettonico in cui i prigionieri vivono in celle illuminate (piuttosto che sotterranee), sotto la costante sorveglianza dei loro carcerieri, che si trovano nelle torri soprastanti. I prigionieri non possono vedere i loro carcerieri, ma sapere che sono presenti li mantiene disciplinati.

Bentham ha ampliato il suo modello per includere ospedali, fabbriche e scuole, presumendo che la loro efficienza andrebbe a beneficio della società. Il filosofo Michel Foucault ha analizzato il modello Panopticon come un meccanismo di potere, che permette di comprendere il comportamento delle società nell’era liberal-capitalista, nonché le tecniche di oppressione occulte ed evidenti utilizzate dal sovrano contro ampi gruppi di persone.

Le comuni società liberal-capitaliste hanno misure democratiche che moderano l’invasività dei meccanismi di sorveglianza aggressivi e cercano di limitare il numero di persone colpite. Ma non può accadere in una realtà fondamentalmente non democratica, come lo è l’occupazione israeliana. Il Panopticon, la sofisticata prigione che Israele ha costruito, è l’essenza della realtà palestinese.

(*) Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro “Bere il mare di Gaza”. Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org