Michael Lesher – La riflessione di un ebreo sui crimini di Israele e l’arroganza israeliana

“Uno spirito di pietà è caratterizzato non solo da ciò che fa ma, non di meno, da ciò che permette”. – Rabbino Leo Baeck

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Di Michael Lesher – 22 maggio 2021

Una conseguenza dell’essere ebreo è una familiarità permanente con una vasta gamma di battute ebraiche, comprese quelle che affrontano quella che sembra essere la nostra incapacità collettiva di lasciarci stare abbastanza bene (o, più spesso, abbastanza male) da soli.

Quindi, per esempio, c’è quella sulla differenza tra un pessimista ebreo e un ottimista ebreo: il pessimista ebreo si lamenta: “Le cose non possono andare peggio”, a cui l’ottimista ebreo risponde: “Sì, possono!”

Ahimè, questa particolare battuta sarebbe molto più divertente se non fornisse una descrizione fin troppo accurata del declino morale ebraico.

Cosa posso dire? Mentre migliaia di tonnellate di macerie seppelliscono le vittime dell’ultima campagna di sterminio di massa del presunto Stato ebraico a Gaza, mi ritrovo anch’io sepolto, metaforicamente, cioè, sotto una valanga di malvagità mista ad autocommiserazione con cui i media ebraici “religiosi” insistono sulla sua vittimizzazione mentre celebrano il massacro.

E, da ottimista ebreo quale sono, ogni volta che penso che la turpitudine morale dei miei correligionari non possa peggiorare, puntualmente lo fa.

(Per dirla tutta: grazie al mio record di critica a Israele e di denuncia degli insabbiamenti di abusi rabbinici sui minori, sono stato chiamato traditore abbastanza spesso da essere immune agli insulti. Tuttavia, dal momento che potrebbe essere di cattivo gusto per me affermare, personalmente, che l’odierna dirigenza rabbinica e laica ebraica non è migliore di una cospirazione criminale, tutto ciò che farò in questo articolo è esporre alcuni fatti rilevanti. I lettori potranno poi trarre le proprie conclusioni.)

Sono passati più di tre anni da quando Israele ha iniziato i suoi regolari massacri di manifestanti disarmati all’interno della prigione a cielo aperto conosciuta come Gaza; in un tiro al bersaglio particolarmente memorabile, i soldati israeliani hanno ucciso quasi sessanta civili palestinesi in un solo giorno nel maggio 2018.

Il loro crimine? Protestare contro l’assedio illegale da parte di Israele di quel frammento di terra tormentato dove, secondo Sara Roy dell’Università di Harvard, un milione di bambini vengono avvelenati ogni giorno perché Israele non permette ai suoi prigionieri nemmeno di gestire un impianto di depurazione delle acque reflue.

Per quanto riguarda la risposta della “dirigenza” ebraica a quelle atrocità, beh, a parte alcune eccezioni altamente lodevoli ma marginali, i rabbini e gli opinionisti ebrei hanno celebrato la tortura di Gaza o sono rimasti in silenzio.

Ma il 13 maggio di quest’anno, un rabbino che conosco a Passaic, nel New Jersey, ha finalmente rotto il suo silenzio. Ha condannato l’inarrestabile attacco israeliano che stava abbattendo condomini e spazzando via intere famiglie palestinesi nel ghetto di Gaza? Ha protestato contro la palese campagna di pulizia etnica che Israele stava conducendo contemporaneamente a Gerusalemme Est? Ha detto che i suoi fedeli, in quanto ebrei americani, sono inevitabilmente coinvolti nel finanziamento e nella difesa politica del furto di terre e dell’apartheid di Israele?

No.

“I nostri nemici stanno lanciando razzi contro la popolazione civile di Israele mentre folle selvagge decise a uccidere gli ebrei vagano per le strade…”

Intendiamoci, mentre scriveva quel messaggio, l’ultimo assalto di Israele aveva già sterminato 113 persone all’interno di Gaza, 31 delle quali bambini, e ne aveva ferite altre 600. Ma il rabbino ha seguito il tipico schema ebraico: ha menzionato solo i razzi fatti in casa con cui gli abitanti di Gaza stavano debolmente tentando di reagire.

E quando ha scritto di “folle selvagge”, non intendeva le bande di estremisti ebrei che, per settimane, avevano distrutto raccolti e uliveti in tutta la Cisgiordania occupata da Israele. Né ha menzionato gli omicidi di bambini palestinesi da parte dei soldati israeliani. Ciò che preoccupava il rabbino era il numero relativamente piccolo di palestinesi che stavano iniziando a reagire.

Altri all’interno della tribù stavano seguendo una linea simile.

Un giorno prima, Allison Josephs, fondatrice di un blog ebraico ortodosso chiamato “Ebreo in Città” (“Jew in the City”), si era scagliata contro le persone che osavano criticare Israele per sciocchezze come far saltare in aria grattacieli residenziali o sterminare intere famiglie.

“In che modo vivere pacificamente nella nostra patria incita all’aggressione?” chiese la signora Josephs con rabbia. Un massiccio assalto militare contro una popolazione intrappolata era evidentemente ciò che la signora Josephs intendeva per “vivere pacificamente”; compiere il massacro in concomitanza con la pulizia etnica del territorio palestinese occupato era “vivere pacificamente nella nostra patria”.

In effetti, come si potrebbe obiettare a un progetto così innocente?

Nel frattempo, i rabbini ortodossi, avete presente, quelli che dicono di non essere sionisti, solo religiosi, chiedevano una recita “di emergenza in tutto il mondo” dei Salmi per scongiurare l’improvviso pericolo. Come Josephs, avevano tutti fermamente ignorato la violenza israeliana che è culminata questa primavera in un tripudio di espulsioni di palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah in Cisgiordania. Né avevano proposto, e nemmeno ora, che i loro fedeli potessero dedicare i loro sforzi a frenare la macchina da guerra israeliana.

Si è tentati di citare il Rabbino Leo Baeck, sopravvissuto al campo di sterminio di Theresienstadt (Repubblica Ceca), il quale scrisse che la pietà “è caratterizzata non solo da ciò che fa ma da ciò che permette”, e che “è difficile dire cosa sia stato più dannoso nel corso del tempo: l’intolleranza che ha commesso i torti o l’indifferenza di chi vi ha assistito imperturbabile”.

Ma non aggiungo altro.

Anche la Jewish Press, la più grande pubblicazione ebraica ortodossa in lingua inglese al mondo, ha dato il suo contributo. Il 15 maggio, quando il bilancio delle vittime a Gaza aveva raggiunto almeno quota 149, il suo unico titolo rilevante gridava:

“Un morto in un attacco missilistico su Ramat Gan in Israele, una scimmia ferita, centinaia di razzi hanno colpito le città israeliane”.

Esatto: una scimmia ferita è apparsa nei titoli della Jewish Press, ma non le vittime palestinesi dell’attacco israeliano. L’articolo elencava persino la morte di “tre mucche” prima del suo unico e solo riferimento agli esseri umani di Gaza, in cui ripeteva l’affermazione di Israele secondo cui “30 civili di Gaza, inclusi molti bambini, sono stati uccisi da razzi che sono stati sparati da Hamas e dalle organizzazioni terroristiche della Jihad islamica palestinese.”

Bene, ma che dire degli altri 119 palestinesi morti? Apparentemente, gli ebrei “religiosi” non si sognavano nemmeno di fare una domanda del genere.

Tutti questi commenti davano per scontato che gli ebrei, non i bersagli delle bombe israeliane, fossero le vere vittime della violenza. Ma nel caso in cui qualcuno non riuscisse ad apprezzare le tribolazioni dei privilegiati mentre polverizzavano i non così fortunati, il sito della Jewish Press ha offerto un programma radio web con il rassicurante titolo “Il Diritto Degli Ebrei Alla Rabbia”.

Ascoltandolo si può sentire Yishai e Malkah Fleisher inveire contro la polizia israeliana, la cui insufficiente brutalità nei confronti dei palestinesi, sì, davvero, aveva reso necessario ciò che Yishai chiamava con orgoglio “milizie ebraiche per proteggere la patria”. (“Li abbiamo distrutti, li abbiamo fatti a pezzi”, si vantava un membro di una di quelle “milizie” improvvisate dopo aver rotto i finestrini delle auto, rapito e aggredito i passanti palestinesi e organizzato attacchi contro “imprese arabe” nella città israeliana di Bat Yam)

Insoddisfatto, Yishai pensò che “c’è qualcosa di molto, molto sbagliato nella nostra polizia e nel nostro esercito, che in realtà non stanno usando munizioni letali per reprimere questa rivolta jihadista”.

Ma l’approvazione di Yishai alla violenza della folla è stata un’esternazione modesta rispetto alla descrizione entusiasta di sua moglie di un incendio che pensava stesse arrostendo vivi i fedeli musulmani nella moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme Est.

“Celebrando” con altri sionisti mentre ballavano vicino all’antico Monte del Tempio, ha definito questo “esercitare il loro diritto di pregare nella propria città, nella propria capitale”, anche se il sito è in realtà all’interno del territorio palestinese occupato, un’emozionata Malkah ha assistito a “un grande incendio svilupparsi dalla cima della moschea” dove la “polizia” israeliana stava attaccando i fedeli palestinesi intrappolati che, sotto una pioggia di granate stordenti, stavano cercando di confondere gli aggressori lanciando “petardi” nella loro direzione.

L’incendio si è rivelato non più serio della modalità di difesa dei palestinesi, ma anche quando Malkah e i suoi amici hanno pensato che l’intera moschea fosse un inferno mortale, erano abbastanza contenti di vedere i goyim (non ebrei) bruciare:

“E ‘stato scioccante, ma non terrificante. Non è stato orribile. Perché sentivamo, come si dice in ebraico, magia lahem, che se lo meritassero, meritavano di bruciare sul Monte del Tempio per quello che stanno cercando di farci, e sappiamo che se non ci fossero stati quei poliziotti, ci avrebbero sparato quei petardi direttamente in faccia. E per questo la folla ebraica non inorridì nel vedere il fuoco”.

Cosa deve fare una ragazza? Se non inceneriamo quei fastidiosi selvaggi, potrebbero semplicemente lanciarci un petardo contro mentre le truppe d’assalto li colpiscono fuori dalle loro case e moschee così possiamo continuare a ballare su quella che era la loro terra. Poveri noi!

Fortunatamente, c’è una soluzione per tali dilemmi. La stessa Allison Josephs che non riusciva a capire perché alcune persone si oppongono all’omicidio di massa ha già offerto consigli religiosi agli ebrei che lo sostengono: Confidate in Dio e credete nell’infallibilità ebraica.

“È abbastanza chiaro che c’è dell’odio per gli ebrei”, ha sottolineato Josephs in un post sul blog del 12 maggio. Ma non importa: “Perché dovrei sentirmi insignificante e piena di disperazione quando siamo le persone che hanno insegnato al mondo come un Davide potrebbe battere un Golia? Cosa è impossibile con Hashem (Dio) dalla nostra parte?”

Otto giorni dopo, un “bollettino di sensibilizzazione della comunità” di un’organizzazione ebraica che si concentra su “questioni pratiche che la comunità ebraica ortodossa deve affrontare oggi” è stato ancora più esplicito. Citando un versetto del Salmo 8 che descrive un malvagio che “ha scavato una fossa profonda, solo per cadere in una trappola da lui stesso creata”, il bollettino ha affermato che questa “è una chiara allusione ai tunnel scavati dai Sonei Yisrael (nemici degli ebrei), e di ciò che ne sarebbe stato dei loro piani”.

Suppongo che i rabbini meritino un po’ di credito per sapere che le scarse difese di Gaza includono tunnel sotterranei. Tuttavia, la familiarità dei rabbini con la Bibbia lascia a desiderare: avrebbero potuto citare più appropriatamente Ezechiele 33:24-26, dove Dio rimprovera gli ebrei sostenenti che: “la terra d’Israele ci è stata data in eredità”, con la controreplica adirata: “Voi che vivete con la spada (vivere soggiogando), commettete abominio e contaminate ciascuno la moglie del suo prossimo; possederete forse il paese?”

Ma quella descrizione preveggente del moderno Stato di Israele non avrebbe prodotto la risposta che i rabbini volevano, quindi, ancora una volta, non aggiungo altro.

Vale la pena ricordare qui un po’ di storia personale. Diversi anni fa, ho appreso che Ohr Somayach, la scuola di Monsey, New York, dove, come nuovo arrivato al giudaismo tradizionale, ho studiato il Talmud, i Commenti delle Scritture e i Codici Legali dell’antico Israele, stava progettando un nuovo enorme complesso nel quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme.

Inorridito, ho scritto agli amministratori della scuola, supplicandoli di non rendere complici di un crimine internazionale gli studenti di testi sacri. Hanno risposto che il nuovo edificio era opera del ramo israeliano di Ohr Somayach, che non era affiliato con quello di Monsey. (Una dannata falsità)

Così ho scritto a Ohr Somayach in Israele con la stessa supplica. Ho aspettato pazientemente una risposta; non è mai arrivata.

Ma due anni fa, i piani avanzati per la costruzione di un edificio di undici piani sono stati ufficialmente annunciati in Israele come parte di ciò che gli attivisti per i diritti umani hanno chiamato “gli sforzi intensificati di Israele per rafforzare il suo cerchio di controllo intorno al bacino della Città Vecchia”.

Non serve essere un profeta per capire cosa sta succedendo. Come parte della sua campagna di pulizia etnica, Israele vuole stringere il cerchio attorno ai palestinesi di Gerusalemme Est, e quale scusa migliore per sfrattare le famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah se non la vicinanza di una grande scuola piena di giovani ebrei, molti dagli Stati Uniti, che altrimenti potrebbero essere minacciati dai “terroristi arabi”?

Da parte sua, Ohr Somayach sta cercando un prezzo d’occasione per un grosso progetto di sviluppo immobiliare, e il governo israeliano è felice di accontentarlo, dato il ruolo che il nuovo edificio svolgerà nei suoi piani criminali.

In altre parole: è uno sporco affare fatto in paradiso. Dio, incontra la pulizia etnica. I neonazisti, incontrano il Talmud.

Più di duecento anni fa (come raccontato da Martin Buber) il maestro chassidico Levi Yitzchak di Berditchev (Ukraina) metteva in guardia contro la crescente perversione delle priorità morali che sta maturando oggi nel grottesco matrimonio della brutalità sionista con la pietà ebraica surrogata:

“Quello che vedo davanti a me è un mondo al contrario. Un tempo tutta la verità era nei vicoli e nelle piazze di Israele: lì tutti dicevano la verità. Verità e fedeltà erano la luce che illuminava i loro passi, e con l’anima dimostravano le parole: “Il tuo ‘sì’ sia vero e il tuo ‘no’ sia vero”, e tutto il loro commercio è stato fatto in buona fede. Ma quando giunsero alla Casa di Preghiera, si batterono il petto e dissero: “Siamo stati infedeli! Abbiamo agito perfidamente! Abbiamo derubato!” E tutto questo era una menzogna perché avevano mantenuto la fede davanti a Dio e all’uomo. Oggi avviene il contrario: nel commercio mentono e imbrogliano; nella preghiera professano la verità”.

Quanto è fortunata la comunità religiosa che “mente” a Dio rivendicando più malvagità di quanta ne possieda in realtà! E quanto è minaccioso il nostro orizzonte morale quando l’unica verità che diciamo è la ripetizione meccanica della liturgia confessionale, mentre sotto ogni altro aspetto, le nostre parole e azioni collettive sono sprofondate al livello dell’apologetica nazista!

Riesco a immaginare quel futuro edificio Ohr Somayach a Sheikh Jarrah, le file di seri giovani che ondeggiano in fervente preghiera o si immergono nei loro volumi talmudici di pergamena.

L’immagine mi riempie di tristezza. E di rabbia.

Con ogni preghiera che reciteranno, con ogni legge religiosa che apprenderanno, con ogni pagina che studieranno, gli occupanti di quella struttura macchiata di sangue saranno più profondamente intrappolati in una rete di inganni, tradimenti, crudeltà, ipocrisia e frode.

Sì, so che alcuni aspetti della storia sono irreversibili e che non possiamo essere tutti responsabili dei crimini del passato.

Ma quando una società costruisce il suo futuro su una base di proprietà rubate e bambini assassinati, e questo è ciò che noi ebrei “religiosi” stiamo facendo proprio in questo momento, richiama sia la maledizione di Ezechiele che lo scherno del filosofo politico Leo Strauss, che una volta si lamentò di un’ideologia così cieca difronte alla realtà che quando sarà assicurata alla giustizia per “aver indugiato mentre Roma bruciava” si appoggerà solo a due inutili “scuse”:

Non si era resa conto di indugiare, e non sapeva che Roma stava bruciando.

E questa non sarà solo un’altra battuta ebraica.

Michael Lesher è autore, poeta e avvocato il cui lavoro legale è principalmente dedicato a questioni legate agli abusi domestici e agli abusi sessuali su minori. Il suo ultimo libro di saggistica è “Abusi Sessuali, Shonda* e Occultamento Nelle Comunità Ebraiche Ortodosse” (Edito da McFarland & Co., 2014); la sua prima raccolta di poesie, “Apparenze”, è stata pubblicata da The High Window nel 2019. Un libro di memorie della sua scoperta dell’ebraismo ortodosso da adulto, “Ritorno: Il Viaggio Personale di Un Ebreo Rinato”, è stato pubblicato nel settembre 2020 da Lincoln Square Books. (* Shonda: Una vergogna commessa da un ebreo di fronte a non ebrei)

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org