La fantasia e la tecnica del professore di fisica che fa fare il bagno ai prigionieri.
Tratto da “Foglie di gelso” pag. 77
Si mise a guardare le pareti della cella intorno a sé. A volte si concentrava sull’ampiezza della stanza e su quel poco che conteneva; altre, con lo sguardo cercava qualche ricordo sotto la polvere dei muri. La cella era una stanzetta chiusa su tutti i lati, eccetto una finestrella in cima a una parete e una porta di ferro arrugginita a metà dell’altro muro. Le pareti erano di pietra dura e non lasciavano filtrare un filo d’aria o un po’ di umidità che potesse attenuare la calura estiva. Sul lato destro della stanza c’erano un piccolo lavello e un secchio di metallo dove i detenuti facevano i propri bisogni e che veniva cambiato una volta ogni due o tre giorni. A sinistra, per terra, stava un materasso che doveva bastare per Khaled e i suoi tre compagni di cella.
Era luglio, il mese in cui non c’è modo di fuggire al sole caldo che nel suo tragitto estivo taglia il cielo in due metà. Com’era del resto impossibile fuggire da quella cella e dalla prigione che nel pomeriggio si trasformava in un forno.
Là non servivano parole: la puzza di sudore che impregnava l’aria era sufficiente a descrivere quei momenti.
Khaled disse ai compagni seduti davanti a lui:
«Vi va di fare un bagno?».
I tre si girarono verso di lui. La domanda aveva risvegliato le loro sofferenze e il loro passato, ma aveva allo stesso tempo stuzzicato la loro curiosità e li aveva portati a ripescare ricordi ormai da tempo travolti dalle onde del mare.
«Stai zitto, per favore! Siamo già disperati abbastanza», rispose uno dei tre amici.
Khaled ripeté la domanda con serietà:
«Non sto scherzando. Avete voglia di fare un bagno?».
Poi, sedendosi dritto, riprese:
«Possiamo farlo qui. Non ci vorrà molto».
I compagni lo guardarono. Tutti sapevano che Khaled, nonostante la sua propensione allo scherzo, era stato un professore di fisica, con esperienza e inventiva da vendere. Una delle sue invenzioni ne aveva causato l’arresto: aveva cercato di fare un modellino aereo che però era precipitato vicino a una colonia israeliana.
Questo episodio aveva dato adito a sospetti su un presunto tentativo di progettare razzi e di questo era stato accusato al momento dell’arresto, oltre al fatto di essere un attivista politico come molti altri della sua generazione.
Khaled spiegò loro cosa avrebbero fatto e rivelò come, da tempo, stesse racimolando poco per volta la farina dalla superficie della pagnotta che ricevevano ogni mattina. Con quella farina avrebbero ottenuto una pasta con cui sigillare i buchi e il telaio della porta.
Avrebbero fatto seccare il tutto e poi avrebbero aperto il rubinetto del lavandino e aspettato che la stanza si riempisse d’acqua.
E questo fu proprio quello che accadde; misero in pratica tutto quello che Khaled aveva detto. Nonostante l’amministrazione penitenziaria israeliana chiuse l’acqua per giorni a tutta la prigione, i quattro lasciarono comunque un messaggio sulle pareti della cella:
«Che resti nella storia: ci siamo fatti un bagno qui, in prigione».
Racconto tratto da: FOGLIE DI GELSO racconti palestinesi. Aysar Al-Saifi ed. Prospero editore – ISBN 978-88-31304-21-4 – 13 euro
Prefazione Luisa Morgantini, postfazione Chef Rubio.