Israele non è l’Afghanistan e gli Haredim non sono i Talebani. Ma come ha rivelato l’indagine di Hilo Glazer su Haaretz Magazine di venerdì, anche i gruppi conservatori estremisti in Israele desiderano riportare lo status delle donne indietro di centinaia di anni.
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Di Noa Landau – 18 agosto 2021
La fotografia di un uomo che dipinge su un cartellone pubblicitario di abiti da sposa a Kabul per coprire le donne che vi appaiono è diventata un simbolo visivo delle conseguenze della conquista dell’Afghanistan da parte dei Talebani. Come molti in tutto il mondo, anche in Israele le persone hanno reagito con orrore a quello che è stato percepito come un primo passo verso l’effettiva cancellazione delle donne afghane dallo spazio pubblico.
Per coloro che vedono ogni cambiamento nel mondo musulmano come una giustificazione per la politica israeliana nei territori palestinesi, i Talebani sono equivalenti ad Hamas. Il fatto che i Talebani siano un gruppo religioso estremista nato dalla maggioranza etnica in Afghanistan è più difficile da accettare. Anche qui, per parafrasare le distinzioni rilevate da Yehuda Elkana, in Israele ci sono due popoli: una maggioranza che teme i “Talebani esterni” e una minoranza che teme i “Talebani interni.”
Infatti, non abbiamo bisogno di guardare fino a Kabul per essere inorriditi dalla cancellazione delle immagini delle donne dai manifesti. Accade costantemente in Israele. Ne sono un esempio i cartelloni pubblicitari all’ingresso di Gerusalemme. Numerose volte, ho guardato le immagini femminili che sono state coperte con la vernice nera e mi sono chiesta cosa sarebbe successo se una fotografia di Anna Frank fosse stata affissa lì, per esempio, o un’illustrazione della matriarca biblica Sarah. I vandali avrebbero esitato qualche secondo prima di dissacrare anche loro?
Questo tipo di vandalismo non è limitato a Gerusalemme, Bnei Brak e altre località con una grande popolazione Haredi. Secondo i dati raccolti dall’avvocato Revital Hovel per la Rete Delle Donne Israeliane (Israel Women’s Network), solo quest’anno dozzine di immagini di donne sono state cancellate dai cartelloni in tutto il paese, e questi sono solo i casi riportati dai media. Proprio di recente, un cartellone pubblicitario con il volto della ginnasta olimpica Linoy Ashram è stato vandalizzato. In un altro episodio di questo mese, l’attrice Yael Bar-Zohar è stata preventivamente rimossa da una campagna pubblicitaria in quello che sembra essere un vile atto di autocensura, un evento molto comune nelle aree soggette a tale vandalismo.
Israele non è l’Afghanistan e gli Haredim non sono i Talebani. Ma come ha rivelato l’indagine di Hilo Glazer su Haaretz Magazine di venerdì, anche i gruppi conservatori estremisti in Israele desiderano riportare lo status delle donne indietro di centinaia di anni. L’esclusione e la separazione che un tempo erano confinate a un piccolo gruppo Haredi, dove anche le immagini delle donne ministro vengono cancellate senza esitazione dalle foto del giuramento del governo, stanno invadendo gli spazi pubblici condivisi.
Lo stesso governo, infatti, spesso dà una mano ai casi di esclusione e separazione, e al vandalismo delle insegne, attraverso l’assenza di forze dell’ordine. Basta leggere i verbali del Comitato per l’Avanzamento della Condizione Femminile per vedere quanto poco la polizia si preoccupi della cancellazione delle donne. In una sessione di dicembre relativa al vandalismo di un’altra campagna pubblicitaria, Dmitry Hananblum, in rappresentanza dell’Unità Investigativa della polizia, ha affermato che su 25 casi aperti negli ultimi tre anni, solo uno è stato trasmesso alla Procura di Stato. Perché gli altri 24 casi sono stati chiusi?, ha chiesto il presidente della commissione Oded Forer, a cui hanno dato la meravigliosa risposta: “È difficile saperlo”. L’avvocato Hovel ha ricevuto una risposta simile: “Non è possibile generare la documentazione richiesta tramite i sistemi informatici”, ha affermato la polizia. Proprio come le famose scene comiche nella serie televisiva inglese “Little Britain” in cui il computer continua a dire “no”.
All’udienza, la deputata Yulia Malilnovsky-Kunin di Yisrael Beitenu ha riassunto bene: “Questo era a due metri da qui, a Kiryat Hamemshala, ed è come se a nessuno importasse”. Non “come se”, Yulia, coloro che sono sconvolti dalla cancellazione delle immagini delle donne dai cartelloni pubblicitari nei paesi musulmani lontani, ma rimangono indifferenti quando accade la stessa cosa in Israele, in realtà non si preoccupano delle donne o della loro condizione.
Noa Landau è una giornalista di Haaretz e membro del comitato di redazione del giornale. È la fondatrice di “Haaretz 21”, un nuovo progetto organizzativo volto ad amplificare voci e storie sottorappresentate delle comunità arabe in Israele. In precedenza ha lavorato come giornalista, capo del dipartimento di notizie e redattore dell’edizione inglese di Haaretz. Prima di entrare in Haaretz nel 2009, Landau ha lavorato come giornalista per Galei-Tzahal, Channel 10 e Maariv. È anche membro del comitato consultivo e alumni dell’Istituto Reuters per lo Studio del Giornalismo presso l’Università di Oxford.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org