È stata imprigionata per “incitamento alla violenza” e “sostegno al terrorismo” attraverso le sue poesie.
Fonte: english version
Di Kasturi Chakraborty – 12 luglio 2021
Può una poesia essere criminalizzata? Con un potere più grande delle armi, il crimine di un poeta è quello dell’immaginazione e della resistenza letteraria, sfidando la narrativa approvata e rinnovando la coscienza politica, in un sistema che una volta considerava la parola “Palestina” come una minaccia sufficiente per essere censurata nei libri di testo per bambini in Cisgiordania.
La poetessa e fotografa palestinese Dareen Tatour, 39 anni, è stata perseguitata per qualcosa che ogni artista fa per vocazione. È stata arrestata per la sua poesia, Qawem Ya Sha’abi, Qawemhum (Resisti, Mio Popolo, Resisti) che ha scritto dopo che decine di giovani uomini e donne palestinesi sono stati uccisi a sangue freddo dai soldati di occupazione israeliani e dai gruppi estremisti nel 2014 e 2015.
Dal tentato stupro alle perquisizioni intime e allo sfruttamento del corpo di una donna fino alle molestie verbali e sessuali, Dareen Tatour afferma che tutte le cose che ha vissuto in prigione sono state il massimo della crudeltà. Racconta a Kasturi Chakraborty di come alcuni gruppi sionisti abbiano tentato di ucciderla più volte da quando è stata rilasciata dalla prigione e che non sarà mai libera finché esisterà l’occupazione.
Essendo una poetessa imprigionata per aver osato sognare una Palestina libera e non voler desistere finché non finirà l’occupazione, lo straordinario caso di Dareen ha riacceso la fiaccola della determinazione e della speranza che è stata usata come ispirazione da molti artisti nelle loro espressioni artistiche di resistenza all’occupazione.
Originaria di Reineh in Israele, Dareen Tatour si trova attualmente in Svezia con la Rete Internazionale di Città Rifugio (International Cities of Refuge Network – ICORN) e una borsa di studio della Rete Scolastica di Pasadena, California (Pasadena Education Network – PEN) per scrittori e artisti a rischio, per un periodo di due anni. Dice che nulla può impedirle di scrivere e anche se verrà nuovamente imprigionata, cosa che si aspetta al suo ritorno in Palestina, non si fermerà.
Estratti dall’intervista:
D. Come si è svolto tutto prima che il tribunale ti condannasse con l’accusa di “incitamento alla violenza” e “sostegno a un’organizzazione terroristica”?
R. Fra il 2014 e il 2015 la Palestina è stata testimone di omicidi a sangue freddo perpetrati dalle forze di occupazione e da gruppi estremisti. Il martire Mohammed Abu Khdeir è stato assassinato a Gerusalemme, la famiglia di Ali Dawab di 18 mesi è stata bruciata viva e giovani uomini e donne sono stati uccisi in atti barbari.
Questi dolorosi eventi mi hanno profondamente colpita e scrissi una poesia “Resisti, Mio Popolo, Resisti” il 2 ottobre 2015, come espressione di tutto ciò che ho visto. La pubblicai sulla mia pagina Facebook. Inoltre, come attivista politico, ho pubblicato alcuni articoli e blog sulla chiusura di Gerusalemme da parte delle autorità di occupazione e la privazione del nostro diritto di pregare liberamente nella moschea di Al-Aqsa.
L’11 ottobre 2015, verso le 3 del mattino, un grosso contingente di soldati e poliziotti israeliani è venuto a casa mia e mi ha arrestato. Quello fu l’inizio di quasi tre anni di detenzione. Sono stata rilasciata solo il 20 settembre 2018.
D. Per quanto tempo sei stata in prigione e per quanto agli arresti domiciliari?
R. All’inizio fui detenuta per tre mesi, poi mi confinarono agli arresti domiciliari per un periodo di tre anni. In seguito, il tribunale dell’occupazione mi ha condannata a cinque mesi di reclusione. Così tornai in prigione per completare la sentenza.
D. Ti definiresti libera ora?
R. Finché esisterà l’occupazione in Palestina, non sarò mai libera. Dopo aver terminato la mia condanna, sono stata oggetto di molte vessazioni: le forze di occupazione israeliane hanno tentato con ogni mezzo di impedire la pubblicazione dei miei libri e scritti e i gruppi sionisti hanno cercato di uccidermi tre volte.
D. Dove risiedi attualmente?
R. Mi trovo in Svezia con la Rete Internazionale Città Rifugio e una borsa di studio PEN per scrittori e artisti a rischio per un periodo di due anni.
D. Come descriveresti le condizioni all’interno di una prigione israeliana soprattutto per le donne detenute?
R. È stato un periodo molto difficile. Le prigioni israeliane sono l’inferno in terra. Ero tra quelle detenute che sono state private anche dei diritti umani fondamentali. La mia compagna di cella imprigionata da sei anni, Nasreen Hassan di Gaza, non ha potuto vedere i suoi figli fino ad oggi.
Un’altra compagna condannata a 16 anni di carcere, Shurooq Dwaiyat di Gerusalemme, non gli è stato nemmeno permesso di abbracciare sua madre e la sua famiglia durante le visite. Ogni volta, dovevano baciarsi attraverso una parete di vetro, una scena straziante in sé.
La mia compagna di prigione, Israa Jaabis, è stata ingiustamente condannata a 11 anni. Viene privata delle cure e soffre di ustioni su tutto il corpo.
Dove sono i diritti e l’umanità in questo caso? Sto parlando del cibo cattivo e bruciato servito durante il periodo di detenzione. Delle regolari perquisizioni intime, dell’isolamento, dell’impossibilità di vedere il sole per mesi. Dello sfruttamento del corpo di una donna e delle pressioni subite affinché confessi le accuse mosse contro di lei! Delle molestie verbali e sessuali! Del tentato stupro! Del non ricevere un trattamento dignitoso. Delle molestie sessuali di medici e infermieri su alcune detenute mentre erano in ospedale! Dell’essere ammanettati ad un letto d’ospedale mentre si è malati.
Tutte le cose che ho vissuto in prigione sono state il massimo della crudeltà.
D. Sei stata ispirata a scrivere di qualcosa che hai vissuto in prigione?
R. Di tutto quello che ho vissuto durante il periodo di prigionia e detenzione ho scritto di ogni cosa che mi ha ispirato. Mi avevano arrestato per una poesia e sono uscita con tre libri in tre anni. Anche io ho scritto di quegli insetti che mi succhiavano il sangue dalla pelle. Ho scritto del dolore delle mie compagne prigioniere e ho scritto di ogni momento in cui ho vissuto nell’inferno dell’occupazione.
D. Eri l’unica ad essere stata arrestata allora?
R. Non ero sola durante il periodo di detenzione. Sessantotto donne palestinesi sono state arrestate nello stesso periodo, e alcune di loro sono ancora in prigione a scontare una condanna a 16 anni.
D. Come si combatte l’assurdità e i pericoli della criminalizzazione della parola?
R. Non c’è forza che possa imprigionare le parole e l’arte. Sono una persona molto ambiziosa che crede in Dio e trovo sempre un modo per continuare la mia lotta, la mia arte e la mia resistenza attraverso le mie poesie a questa occupazione. L’importante è che io rimanga fedele ai miei principi. Non ho paura di niente finché so che sto difendendo la causa più alta del mondo, la causa della mia patria, la Palestina.
L’entità di occupazione si autodefinisce l’unico Stato democratico del Medio Oriente, ma questa è una menzogna. La loro democrazia è solo per gli ebrei, e la prova più grande di ciò è il numero di palestinesi imprigionati solo per i loro scritti sui social media. Il mio era uno dei casi conosciuti a livello internazionale, ma ci sono centinaia di storie simili in Palestina. Questo è l’apartheid.
Non ho mai smesso di scrivere. Continuare a scrivere nonostante tutto è doloroso. E il mio recente libro in inglese: My Threatening Poem – Memoir of a Poet in Occupation Prisons (La Mia Poesia Minacciosa – Memorie Di Un Poeta Nelle Prigioni Di Occupazione), è la risposta.
D. Hai ricevuto il Premio OXFAM Novib/PEN per la libertà di espressione (2019), il Premio Danese Carl Scharenberg (2017), e il Premio per “Creatività Nella Lotta” (2016) della rivista online, Maayan. Pensi che tutto questo abbia avuto un prezzo?
R. Non ho fatto niente di male. Non ho sentimenti di rimpianto, e se tornassi indietro nel tempo, scriverei la stessa poesia e la pubblicherei. Credo nei miei diritti e nelle mie poesie. L’occupazione se ne pentirà, non io. Non potevano impedirmi di continuare a scrivere, scrivo e continuerò a farlo. Anche se sarò di nuovo imprigionata, e questo è prevedibile quando tornerò in Palestina. Non cambierò comunque.
Recentemente, ho pubblicato in un libro alcuni dei miei scritti in prigione, e ora sto preparando un secondo libro per la pubblicazione. Sarà una raccolta di poesie in arabo e in inglese.
Sto cercando di farmi produrre una versione svedese dell’opera teatrale che ho scritto in prigione. Sto anche lavorando a un film che racconta la storia del mio arresto. Pratico anche la fotografia.
D. Che messaggio manderesti a tutti gli attivisti, artisti e giornalisti palestinesi che affrontano arresti arbitrari e a quelli che ancora languono nelle prigioni israeliane?
R. Direi a ogni essere umano o artista che è stato imprigionato di non smettere di trasmettere la propria arte. La vostra voce si alzerà e l’occupazione finirà. La libertà inizia quando l’anima viene liberata dalle sue catene, la prima delle quali è la paura, quando tutte le prigioni diventano fugaci.
E come ho scritto nella mia poesia, “Resisti, Mio Popolo, Resisti”:
Non temere le calunnie;
La verità nel tuo cuore è più forte,
Finché resisti in una terra
Che ha vissuto attraverso invasioni e vittorie.
Resisti, Mio Popolo, Resisti.
Kasturi Chakraborty è una giornalista, femminista e scrittrice indiana. È anche il direttore organizzativo di Core Middle East. In precedenza ha lavorato presso l’Ambasciata della Georgia in India. Ha riferito di argomenti di vasta portata come corruzione e crimini di guerra in Medio Oriente, politica, conflitti, genere, diritti umani, crimini contro le donne e giustizia, il tutto con l’obiettivo di dare voce agli invisibili.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.or