Non è dato sapere delle immagini delle campagne afghane, ma solo delle città dove l’ostilità ai talebani è maggiore. Questa non è informazione, è propaganda di guerra. Ma a cosa serve se la guerra è “finita”? Serve per legittimare un’altra guerra?
Lorenzo Poli – Invictapalestina- 28 agosto 2021
Per parlare di Afghanistan bisogna tornare al 1979, quando l’Afghanistan aveva un governo di sinistra che scatenò la furia degli Stati Uniti. Il governo era presieduto dal socialista Nur Mohammad Taraki, il quale approvò il diritto di voto alle donne, abolì i matrimoni combinati, introdusse servizi sociali universali e portò avanti una riforma agraria per ridistribuire le terre.
Zbigniew Brzezinski, consigliere del presidente Carter, aveva ideato il piano di armare e addestrare gli allora chiamati Mujaheddin, che occupavano le zone montuose dell’Afghanistan. L’obiettivo era quello di destabilizzare il governo che non era di suo gradimento e in secondo luogo provocare l’Unione Sovietica, farla intervenire in aiuto agli afghani e, in seguito, accusarla di essere uno Stato invasore.
Il 4 settembre 1979, Hafizzullah Amin, allora vicepresidente della Repubblica Democratica d’Afghanistan e braccio destro di Taraki, assunse il controllo del governo e pochi giorni dopo annunciò che Taraki era morto per “una malattia misteriosa”. Meno di tre mesi dopo, l’Unione Sovietica, ritenendo Amin un uomo della CIA, invase l’Afghanistan destituendolo e mettendo al suo posto Badrak Karmal. Solo dopo iniziò a girare un’ulteriore versione della morte di Taraki, secondo la quale, una volta fatto prigioniero, Amin ne ordinò l’esecuzione.
Con l’aiuto degli Stati Uniti, i Mujaheddin crearono problemi al governo di Kabul, che dovette chiedere aiuto al governo sovietico. Successe che l’Unione Sovietica dovette rimanere lì per ben 10 anni, durante i quali la CIA finanziò circa 2 miliardi di dollari in aiuti, armi e supporto logistico ai Mujaheddin, compresi i missili Stinger con cui potevano abbattere aerei ed elicotteri sovietici. La CIA fornì tra i 500 e i 1.500 Stinger ai Mujaheddin in funzione anti-sovietica, abbattendo centinaia di velivoli russi, inclusi molti Mil Mi-24 Hind, prima che le truppe sovietiche si ritirassero dall’Afghanistan nel 1989.
I “coraggiosi combattenti mujahedin” divennero gli eroi che davano la caccia “all’invasore sovietico” e per questo vennero chiamati Freedom Fighters.
Fu in quel contesto che nel 1988 Osama Bin Laden, il cittadino saudita che divenne il talebano preferito dagli Stati Uniti, fondò Al Qaeda, l’organizzazione terroristica fondamentalista che ricevette aiuti, sotto forma di forniture, dagli Stati Uniti attraverso il Pakistan per continuare la loro guerra contro “i comunisti”.
Secondo le fonti, durante la guerra civile in Jugoslavia (1992-1995) il Pentagono organizzò il trasferimento di migliaia di combattenti di Al Qaeda in Bosnia per sostenere i musulmani di quel paese. Durante la guerra contro la Jugoslavia nel 1999, Al Qaeda combatté fianco a fianco con i terroristi dell’UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo, che lottava per la separazione del Kosovo dalla Jugoslavia e per una Grande Albania), coperti dalla NATO via aerea. I combattenti di Al Qaeda apparvero anche in Cecenia, Xinjiang, Macedonia e in molti altri paesi della regione e oltre (1).
Kabul era sostenuta dall’URSS ma nel 1989 Gorbaciov decise di porre fine agli aiuti militari e nel paese scoppiò una guerra civile, sfruttata dal miglior gruppo armato, i talebani, finanziati dall’Occidente. Nel 1996 i talebani iniziarono il loro dominio e ancora una volta gli Stati Uniti portarono avanti quel conflitto per scopi imperialistici: Washington puntava sulle riserve di petrolio e di gas che circondano il Mar Caspio, ma per trasportare la materia prima in Occidente bisognava per forza passava attraverso la Russia, l’Iran o l’Afghanistan. Quest’ultimo fu la ragione nascosta del piano e gli USA hanno sostennero i talebani per cacciare la sinistra da Kabul, anche con il governo progressista di Najibullah, e poi nel 1994 scommisero su di loro per “stabilizzare” il paese al fine di costruire l’oleodotto.
Fu così che gli Stati Uniti divennero il principale sponsor di quelli che erano tra i più grandi violatori dei diritti umani. Nonostante i Talebani avessero forza militare e aiuti importanti, non riuscirono a ottenere il sostegno popolare e nemmeno a conquistare l’intero paese, quindi non riuscendo a portare a termine l’intento USA: costruire l’oleodotto.
Da lì in poi gli Stati Uniti incoraggiarono il dialogo tra tutte le parti, non aspettandosi che i talebani sarebbero stati i primi a violare i loro patti.
I Talebani entrarono in trattative con l’Alleanza del Nord per formare un governo di coalizione che fallì nel luglio 2001. Gli Stati Uniti si sentirono traditi e iniziarono a retrocede, pensando che di loro non si potevano più fidare. Gli Stati Uniti iniziarono a bombardare e, alla fine di giugno 2001, dichiararono guerra ai Talebani. Tre mesi prima dei presunti attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono, c’erano voci di alleanze tra Bush, l’India e altre nazioni per distruggerli.
Osama Bin Laden per rabbia, o su istruzioni di fornire la “scusa perfetta” per i piani di guerra di Bush, si sfoga con gli attacchi dell’11 settembre. Washington invade l’Afghanistan, caccia i talebani e ritorna la speranza dell’oleodotto e del petrolio afgano per l’Occidente.
Sta di fatto che, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, in tutto il mondo, la stragrande maggioranza dei giornalisti, degli analisti e dei politici, chiedeva a gran voce un intervento militare in Afghanistan.
A riguardo Gore Vidal, un importante editorialista statunitense, dichiarò: “La conquista dell’Afghanistan non ha niente a che fare con Osama bin Laden. Era semplicemente un pretesto per sostituire i talebani con un governo relativamente stabile. Un tale governo dovrebbe permettere alla Union Oil della California di installare il suo oleodotto a beneficio della giunta Cheney-Bush, tra gli altri”.
Per la verità serve tempo, ma i fatti sembrano sostenere Vidal: il primo ministro afgano Hamed Karzai, con presunti legami con la CIA, lavorò come consulente di una compagnia petrolifera statunitense (UNOLOCAL) con piani a lungo termine per creare un oleodotto attraverso l’Afghanistan.
Però la stabilità del governo Karzai non c’è mai stata e i talebani non sono mai stati sconfitti del tutto, nonostante la propaganda mediatica ce lo facesse intendere. I loro piani sembravano essere superiori a quelli dell’esercito governativo, che era in grado di resistere solo grazie alla copertura aerea della NATO e ad altri supporti logistici.
Poi succede qualcosa di strano: dal 2010 l’esercito americano inizia a fare un addestramento risibile alle forze governative afghane e le forze alleate iniziano ad abbandonare i territori e ci si rifugia nei centri urbani lasciando spazio sempre più ai talebani che, negli ultimi 10 anni, hanno sempre più avuto spazio di agire. Una scelta incomprensibile dal punto di vista strategico-militare, a meno che non si pensasse già ad abbandonare il campo. Ormai il governo afghano era totalmente dipendente dalle forze alleate e se gli Stati Uniti se ne sarebbero andati, Kabul sarebbe crollata. Così è successo quando Biden ha deciso di ritirare il suo sostegno: tutto è crollato.
Queste informazioni, però, non sono mai passate sulla stampa mainstream atlantista, e neppure nel il giornalismo embedded, il quale ha sempre invece puntato alle “bugie di guerra” con la creazione del nemico necessario, sul ruolo salvifico dell’Occidente nei confronti del mondo, e dei costrutti linguistici volti a far passare l’oppresso per l’oppressore. Però oggi la verità si conosce bene e, nonostante la guerra sembri apparentemente “finita”, l’informazione di guerra prosegue imperterrita come se niente fosse.
In questi giorni vediamo paventare delle presunte volontà di riconosce il nuovo governo talebano da parte di Russia e Cina, ma nessuno prende in considerazione il fatto che i talebani sono stati lasciati liberi di agire dagli USA e che anche l’Amministrazione Biden, esattamente come quella di Trump, ha espresso la volontà di negoziare con loro e riconoscerli. Addirittura Biden, che ha ormai dichiarato guerra non-convenzionale a Cuba, al Venezuela Bolivariano e all’ Iran per “mancanza di rispetto dei diritti umani”, ha dichiarato che sarebbe pronto a riconoscere il governo talebano “a patto che rispettino i diritti umani della popolazione e che abbandonino il terrorismo”.
Ma il teatrino dell’informazione di guerra continua e, mentre l’annuncio della ritirata dei soldati americani si è diffuso in tutto il mondo, gli americani dall’Afghanistan non se ne sono andati completamente. Così la scenetta continua e mentre si dà un’immagine esemplare dello “Zio Buono d’America” che ritira le truppe, si mandano in onda le lacrime di Biden per l’attentato a Kabul rivendicato dall’Isis-K (che non è l’Isis che conosciamo noi, anche se il mainstream continua a chiamarla tale) che secondo le fonti ha causato oltre 90 morti di cui 13 sarebbero militari americani (o addirittura 18 secondo il Pentagono). Mai che Biden abbia pianto per tutte le vittime delle guerre di cui è stato complice e che ha votato… esattamente come non ha mai pianto per le 241.000 morti tra i civili in Afghanistan o per i bambini che vivono senza braccia e senza gambe a causa delle mine anti-persona.
Ma l’ipocrisia continua perché Biden ha dichiarato che risponderà “con forza e precisione” in Afghanistan e, tra le lacrime, nel suo discorso tv ha dichiarato: “Ve la faremo pagare: siamo pronti a inviare altre truppe se necessario e l’evacuazione va avanti”, ha assicurato. Quindi di quale guerra finita stiamo parlando?
“Perché l’obiettivo non è quello di controllare completamente l’Afghanistan. L’obiettivo è utilizzare l’Afghanistan per riciclare il denaro proveniente dalle tasse degli americani e dalle tasse degli europei e farlo tornare nelle mani delle élite della sicurezza transnazionali. L’obiettivo è una guerra infinita, non una guerra di successo” – Questo diceva nel 2011 Julian Assange, giornalista d’inchiesta ed attuale prigioniero politico negli USA per la sola colpa di aver svelato verità sui crimini imperialisti.
In tutto ciò la propaganda mediatica di guerra continua e, come ha detto Giuliana Sgrena su il manifesto:
“E’ incredibile che la Rai, servizio pubblico pagato dai cittadini, non abbia mandato un inviato per seguire gli eventi epocali e si affidi alle corrispondenze da Istanbul, anche se ormai l’aeroporto di Kabul è in mano ai turchi e gli italiani si affidano alla Turkish Airlines per l’evacuazione dei propri cittadini e collaboratori afghani”.
Cosa sappiamo sulle immagini che ci vengono propinate a reti unificate? Cosa sappiamo dei filmati? Cosa sappiamo dello stato di salute della popolazione afghana, oltre al fatto che quasi la metà della popolazione vive in povertà, che la mortalità infantile è una delle più alte del mondo e che l’aspettativa di vita una delle più basse? Cosa sappiamo sulla reale intenzione dell’Occidente “salvifico e compassionevole” che vuole aiutare i profughi afghani dopo che lì ha rimpatriati fino all’altro giorno perché “l’Afghanistan è uno Stato sicuro”? I 5,5 milioni di profughi che questa guerra ha generato in 20 anni ce li siamo dimenticati? O, forse, come Biden, siamo capaci di “piangere” solo per le donne e i bambini afghani dopo che per tutti questi anni non n’è mai fregato nulla?
La propaganda continua da più di una settimana: una madre lancia il proprio bambino a un militare inglese ovviamente “per salvarlo”; una bambina viene ricoperta da una divisa USA ovviamente “per essere al sicuro”; alcuni uomini precipitano nel vuoto dopo aver tentato di aggrapparsi all’aereo che non li aveva caricati. Se questa non è una copertina mediatica è sicuramente un casus belli. Ore di filmati sull’aeroporto di Kabul per muover le emozioni dell’utente medio occidentale impressionabile di fronte alle “vergogne del mondo”. Importante è che nessuno si ponga domande sul perché i Taliban siano entrati a Kabul senza un attimo di resistenza. Importante è che non ci sia nessuna domanda sulla crisi umanitaria creata da vent’anni di guerra, imperialismo, narcotraffico ed “esportazione della democrazia”.
Vengono trasmessi filmati sulle rivolte per la difesa della bandiera afghana, che ci sono state vendute come “spontanee”: un termine che ritorna spesso nella propaganda di guerra e che Antonio Gramsci aveva capito bene a tal punto da scrivere che non c’è nulla di più organizzato di un movimento spontaneo.
Non è dato sapere delle immagini delle campagne afghane, ma solo delle città dove l’ostilità ai talebani è maggiore. Questa non è informazione, è propaganda di guerra. Ma a cosa serve se la guerra è “finita”? Serve per legittimare un’altra guerra? Al vicino Iran forse, le cui basi erano già state gettate da Donald Trump? Domande che, anch’esse, richiedono risposte.
Inoltre, da dove salta fuori il nuovo leader talebano Mullah Abdul Ghani Baradar? Le uniche informazioni su di lui che abbiamo sono a riguardo della sua cattura in Pakistan avvenuta nel febbraio 2010 per mano dell’Inter Services Intelligence (ISI) e della CIA, per poi essere rilasciato su richiesta degli Stati Uniti il 24 ottobre 2018 dal Pakistan, Paese in cui era detenuto. Gli stessi USA che durante questi 43 anni non hanno mai rilasciato Leonard Peltier, il “Mandela dei indigeni” incarcerato con falsi pretesti e detenuto per la sola colpa di essere un attivista per i diritti dei popoli nativi. Gli stessi USA che perseguitano Julian Assange.
Inoltre è passata in sordina la notizia dell’Ansa che afferma che il 20 agosto il mullah Baradar e altri leader dell’ufficio politico talebano sono arrivati a Kabul da Kandahar, sottolineando che la delegazione dell’ufficio politico del Qatar, guidata dal mullah Baradar, era arrivata a Kandahar solo il 18 agosto, ovvero due giorni prima. Quindi vuol dire che il video in cui si è annunciata la presa di Kabul, reso noto tra il 14 e il 15 agosto a reti unificate, che riprende Baradar e altri membri talebani, è stato girato in Qatar. Questo vuol dire che il Qatar, uno degli Emirati amici degli USA, era a conoscenza ed ospitava la nuova dirigenza talebana senza alcun problema? Anche questo non è dato sapere.
La guerra in Afghanistan è stata la guerra più lunga della storia degli Stati Uniti, venendo a costare annualmente 100 miliardi di dollari, ovvero quasi 20 volte l’intero bilancio del governo afgano, secondo il New York Times: ecco dove finisce la nostra ipocrisia di fronte a tutto questo. Su territorio afghano la coltivazione dell’oppio fu quasi completamente sradicata nel periodo prebellico, mentre oggi l’80% dell’eroina mondiale è prodotta in Afghanistan. Stessa eroina che è finita a drogare le giovani generazioni in Occidente, a distoglierle dal pensare e, forse, a dimenticare anche che eravamo in guerra. Sebbene tutto ciò si sapesse, per gli USA il narco-Stato per eccellenza rimane il Venezuela Bolivariano, riconosciuto a livello internazionale fin dal 2004 per il suo impegno contro i traffici illegali di droga.
La guerra in Afghanistan rimane anche una sperimentazione non-convenzionale di propaganda di guerra e di cose non dette, non chiare e che continuano volutamente a generare confusione. Ma, oltre le molte domande, una rimane: davvero si vuole andare ancora incontro ad un conflitto senza pensare a ciò che è stato e ai danni che noi occidentali, per i nostri interessi, abbiamo commesso in quei territori finendo per mettere gli uni contro gli altri?
(1) Chossudovsky M., Guerra e globalizzazione. The Truth Behind September 11, Ontario 2002; Howard S., ‘The Afghan Connection: Islamic Extremism in Central Asia’, in National Security Studies Quarterly Volume VI, nr. 3 (Summer 2000); Rashid A., L’ombre des Taliban, Paris 2001.
Fonti:
http://news.bbc.co.uk/2/hi/south_asia/8517375.stm