Ora che la guerra in Afghanistan è finita sembra che si possano dire tutte le verità che per 20 anni sono state dette, ma venivano additate come “storie di pacifisti ed esaltati”.
di Lorenzo Poli – 4 ottobre 2021
Nonostante il rovinoso ritiro dall’Afghanistan, il nostro Paese nel 2021 spenderà per le missioni imperialiste all’estero circa 1,2 miliardi di euro aumentando di 100 milioni la spesa rispetto al 2020, portando la spesa complessiva dell’Italia dal 2004 ad oggi a 20,5 miliardi di euro. Soldi dei contribuenti che dovrebbero servire per sanità, scuola, trasporti e non per azioni di guerra contro altri popoli. Ma ormai è inutile ribadirlo.
Nonostante la fine della guerra in Afghanistan, l’Italia rimane in guerra. L’Italia è impegnata da 17 anni in 40 operazioni militari, schierata con circa 9.000 soldati, per i quali ha speso 20 miliardi di euro. Missioni imperialiste dell’Occidente rapinatore contro altri popoli. In Afghanistan e in Iraq l’Italia, contro la sua Costituzione (articolo 11), ha mostrato il suo servilismo atlantista; mentre oggi continua a mostrarlo in Africa subsahariana con il suo asservimento all’asse franco-tedesco in Unione Europea.
Ora che la guerra in Afghanistan è finita sembra che si possano dire tutte le verità che per 20 anni sono state dette, ma venivano additate come “storie di pacifisti ed esaltati”. Anche la rivista di geopolitica Limes, finalmente, ha dichiarato che siamo andati in Afghanistan per dimostrare la nostra “fedeltà” agli USA. Una fedeltà che ci è costata cara in termini economici (8 miliardi), in termini di vite umane, ma anche in termini della crisi umanitaria che abbiamo contribuito a creare e di cui siamo stati complici insieme a tutti gli alleati della NATO.
Come durante il Festival di Emergency tenutosi a Reggio Emilia ha spiegato Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) di Trieste e membro del direttivo nazionale dell’ASGI: “Da almeno dodici anni, gli afghani che arrivano in Unione Europea ricevono un trattamento pessimo sotto il profilo dell’esame delle domande d’asilo: la media europea è stata del 50% di richieste accolte, con alcuni paesi come la Croazia e la Bulgaria che hanno dati sconcertanti, addirittura inferiori al 15%. Si tratta di Paesi di primo ingresso, in cui gli afghani teoricamente avrebbero dovuto presentare le loro domanda d’asilo, ma chiaramente, se l’avessero fatto, sarebbe stata una scelta assurda perché si sarebbero visti rifiutare la domanda. Dunque abbiamo già un grandissimo debito come Europa nei confronti di questo popolo”.
Oltre ad aver contribuito a distruggere un Paese, abbiamo fatto di tutto per non mettere in salvo i profughi afghani che si sono trovati in una situazione che non hanno mai voluto.
“Negli ultimi anni è successo che l’Afghanistan venisse derubricato a crisi dimenticata e quindi ci si poteva permettere di rimandare indietro sotto le bombe, nel silenzio generale, persone che erano riuscite con enormi sacrifici ed attraversando tantissimi pericoli a cercare una speranza qui da noi. E questo credo sia davvero un crimine contro l’umanità” – ha dichiarato a il Fatto Quotidiano Rossella Miccio, Presidente di Emergency, che ha aggiunto – “Nel silenzio generale si è maturata una vera tragedia per questo popolo. Chi ha potuto ha cercato rifugio dalle bombe ed è venuto in Europa. Io mi ricordo di aerei pieni ad Istanbul, andando in Afghanistan, pieni di afghani che venivano rispediti indietro dai governi europei perché si considerava l’Afghanistan un posto sicuro. Oggi si sono accorti tutti che l’Afghanistan non è un posto sicuro, non lo è oggi e non lo era nei passati vent’anni. Spero che si assuma una presa di coscienza vera da parte dell’Europa e un cambio radicale nella politica verso i profughi afghani”.
Una crisi umanitaria creata dalla NATO, i cui membri europei non hanno voluto in alcun modo prendersi responsabilità politiche. Oggi la propaganda mediatica occidentale ci martella su come le istituzioni europea stiano facendo di tutto per “salvare” gli afghani, dopo che per anni li hanno bombardati. Un substrato di ipocrisia e bugie che continua oggi come ieri su un Paese in cui le forze atlantiste sono arrivate per interessi economici e geopolitici.
“The Afghanistan Papers”, scritto dal giornalista investigativo Craig Whitlock del Washington Post, è stato pubblicato il 30 settembre da Newton Compton col titolo “Dossier Afghanistan. La storia segreta della guerra”. Il libro, uscito negli Usa il 31 agosto, fa rivelazioni scottanti sulla scia del disastroso ritiro americano dall’Afghanistan e su come l’allora Presidente George W. Bush non conoscesse neanche il nome del suo comandante in Afghanistan e non volesse trovare il tempo per incontrarlo. Come ammise l’allora capo del Pentagono Donald Rumsfeld, lui non aveva “alcuna visione su chi erano i cattivi”.
Il libro-inchiesta ha già suscitato polemiche, mettendo sul banco degli imputati Bush, Barack Obama, Donald Trump, i vertici militari e dell’intelligence. Interessanti i paralleli con la guerra in Vietnam tanto da paragonare gli Afghanistan Papers ai Pentagon Papers che Washington Post e New York Times ottennero grazie alla talpa Daniel Ellsberg, sbugiardando la comoda versione del Pentagono sull’andamento del conflitto nelle giungle di Indocina. Il “Dossier Afganistan” contiene centinaia di rivelazioni di insider che hanno avuto un ruolo diretto nella guerra, portando a galla una miriade di bugie utilizzate per giustificare un conflitto senza fine. Dal 2001 oltre 775 mila militari Usa sono stati impiegati in Afghanistan, molti ripetutamente. Di questi 2.300 sono morti e oltre 20 mila sono rimasti feriti. “Dossier Afghanistan” porta alla luce documenti top secret e interviste con centinaia di persone che sapevano che il governo degli Stati Uniti stava presentando una versione distorta, e talvolta completamente inventata, dei fatti. “Parlavano francamente perché pensavano che le loro dichiarazioni non sarebbero mai diventate pubbliche” – spiega Whitlock, che ha impiegato tre anni per ottenere il materiale usando il Freedom of Information Act. A differenza del Vietnam e dell’Iraq, l’invasione americana dell’Afghanistan dopo l’11 settembre 2001 ebbe inizialmente sostegno quasi unanime da parte dell’opinione pubblica. Il tutto venne giustificato con l’obiettivo di sconfiggere Al-Qaeda e prevenire il ripetersi di attacchi terroristici, ma dopo due anni e dopo la rimozione dei Talebani dal potere, la missione prese un’altra strada, lasciando l’esercito americano impantanato in un conflitto di guerriglia impossibile da vincere. Nonostante ciò, Bush, Obama e Trump continuarono a inviare truppe affermando che si stavano facendo “progressi”.
Il 25 luglio 2010 WikiLeaks pubblicò gli «Afghan War Logs», che non piacquero al Pentagono. I file erano 76.910 report segreti sulla guerra in Afghanistan compilati dai soldati americani sul campo tra il gennaio del 2004 e il dicembre del 2009. Pochi mesi prima della pubblicazione di questi documenti, l’organizzazione di Julian Assange aveva pubblicato un memorandum riservato della Cia, datato 11 marzo 2010. Non aveva fatto grande scalpore, eppure era importante perché spiegava le strategie da usare per scongiurare il rischio che l’opinione pubblica francese e tedesca si rivoltasse contro la guerra, chiedendo il ritiro dei loro militari. In quel periodo Francia e Germania avevano i contingenti più grandi in Afghanistan, dopo quelli di Stati Uniti e Inghilterra e un ritiro delle loro truppe sarebbe stato un problema per il Pentagono. I documenti rivelarono come la CIA puntasse proprio sull’indifferenza dell’opinione pubblica occidentale sulla guerra in Afghanistan, in modo tale che non rimanessero accesi i riflettori su questo conflitto. L’obiettivo era quello di parlare rarissimamente sui quotidiani e nei telegiornali di ciò che stava succedendo in Afghanistan, in modo tale da non generare alcuna reazione nell’opinione pubblica occidentale sui crimini e sulle stragi imperialiste. «Lo scarso rilievo della missione in Afghanistan» scriveva infatti la Cia nel documento rivelato da WikiLeaks «ha permesso ai leader di Francia e Germania di ignorare l’opposizione della gente e di continuare ad aumentare costantemente il numero delle loro truppe nella missione Isaf.»
Per questo fu pensata una propaganda di guerra ad hoc per entrambi i Paesi. Come ha notato Stefania Maurizi su MicroMega nell’articolo “WikiLeaks e i segreti della guerra in Afghanistan”, gli argomenti propagandistici da usare con i cittadini francesi erano il possibile ritorno dei talebani al potere e gli effetti che avrebbero avuto sulle donne afghane: «La prospettiva che i talebani riportino indietro [il paese], dopo i progressi ottenuti faticosamente in tema di educazione delle donne, potrebbe provocare l’indignazione e diventare ragione di protesta per un’opinione pubblica largamente laica come quella francese».
Mentre la propaganda guerrafondaia riservata ai tedeschi era quella dei rifugiati: «Messaggi che illustrino come una sconfitta in Afghanistan possa aumentare il rischio che la Germania sia esposta al terrorismo, al traffico di droga e all’arrivo dei rifugiati potrebbero aiutare a rendere la guerra più necessaria per chi è scettico verso di essa». Un’ottima scusante per poter rimpatriare i profughi afghani, affermando che l’Afghanistan fosse in una realtà “un posto sicuro” solo perché vi erano le truppe della NATO
I 76.910 documenti segreti, chiamati Afghan War Logs, trattavano di brevi relazioni compilate dai soldati statunitensi che combattevano sul campo e contenevano informazioni dettagliate, incluse latitudine e longitudine, dei luoghi in cui erano avvenuti scontri, incidenti e stragi di civili. Si descrivevano e registravano in tempo reale, con data e ora esatta, i SigActs -significant activities (gli eventi significativi) dal gennaio del 2004 al dicembre del 2009, ovvero negli anni che andavano dal secondo mandato presidenziale di George W. Bush fino al primo anno dell’amministrazione di Barack Obama.
Attacchi subiti, scontri, morti, feriti, rapiti, prigionieri, fuoco amico, messaggi di allerta e informazioni sugli Improvised explosive devices, gli ordigni improvvisati piazzati lungo le strade e azionati a distanza che facevano strage di civili e soldati.
I documenti facevano emergere, per la prima volta, centinaia di vittime civili per mano USA. Il quotidiano inglese The Guardian aveva contato almeno 195 morti e 174 feriti, ma aveva fatto notare che il dato era sottostimato. I file puntavano i riflettori anche sulla guerra segreta che si combatteva con unità speciali mai conosciute prima, come droni e aerei telecomandati dai soldati americani da una base in Nevada che potevano uccidere in posti remoti dell’Afghanistan. Si scoprì per la prima volta la Task Force 373, unità d’élite che prendeva ordini direttamente dal Pentagono, di cui nessuna dichiarazione ufficiale militare aveva mai parlato prima d’ora e di cui si scoprirono anche le varie “operazioni oscure” che la propaganda di guerra orchestrata dal Pentagono continuava a nascondere: nella notte agiva sterminando forze afghane alleate, donne e bambini. Questo tipo di attacchi contribuivano a creare un forte risentimento nelle popolazioni locali contro le truppe americane e della coalizione.
A vent’anni dall’11 settembre, il report di Airwars prende in considerazione quasi 100.000 bombardamenti Usa, dall’Afghanistan all’Iraq che hanno portato alla morte di più di 22.000 vittime civili. Mentre tutto il mondo ha commemorato il ventennale dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, una nuova analisi pubblicata da Airwars, l’organizzazione che si occupa di monitorare i danni sulla popolazione di attacchi da aerei e droni, ha rivelato che “le azioni statunitensi hanno ucciso probabilmente almeno 22.679 civili, per un massimo potenziale di 48.308“. Gli attacchi presi in considerazione sono 91.340 e riguardano quelli in Afghanistan mirati a colpire Al-Qaeda, quelli contro l’Isis (Iraq 2014-2021, Siria 2014-2021 e Libia 2016) e quelli contro i gruppi terroristici in Yemen (2002-2021), Somalia (2007-2021), Pakistan (2004-2018) e Libia (2014-2019). L’anno peggiore risulta essere il 2017, con 19.623 morti, quasi tutti nei bombardamenti contro lo Stato Islamico. Il Comando centrale del Pentagono ha risposto all’analisi dichiarando di non essere in possesso di dati ufficiali sulle uccisioni. Il bilancio totale delle vittime civili uccise da tutte le parti in guerra è di 387.000, mentre i soldati americani che hanno perso la vita in vent’anni di servizio sono oltre 7.000. Non è una questione quantitativa di numeri, ma di persone.
Questo ha portato ad una crisi umanitaria senza precedenti che adesso si riversa su chi quelle guerre le ha finanziate, pensate, pianificate, prodotte ed agite. Noi riteniamo invece che sarebbe più che mai urgente ritirare tutti i nostri soldati dall’estero, pensare ad utilizzare le nostre risorse per il bene della nostra gente, perseguendo l’indipendenza nazionale fuori dalla Nato e dalla UE.
https://www.micromega.net/wikileaks-e-i-segreti-della-guerra-in-afghanistan/
Vendetta americana: dopo l’11 settembre i bombardamenti Usa hanno ucciso almeno 22mila civili