Perché gli israeliani sono così spaventati dalla bandiera palestinese? Dalla Prima Intifada a Sheikh Jarrah, Israele ha preso di mira il simbolo chiave del Movimento Nazionale Palestinese: la sua bandiera. E quell’avversione ossessiva, ostinata e nazionalista è più forte che mai.
Fonte: english version
Di Ori Nir – 3 ottobre 2021
Più le cose cambiano, più rimangono le stesse. L’ossessione israeliana per la bandiera palestinese è un buon esempio.
La scorsa settimana ho guardato frammenti di video di poliziotti di Gerusalemme che avvertivano i manifestanti a Sheikh Jarrah che li avrebbero dispersi se qualcuno avesse osato alzare una bandiera palestinese.
Poi, una volta che i manifestanti hanno tirato fuori una manciata di minuscole bandiere delle dimensioni di una cartolina, del tipo che tieni tra il pollice e l’indice, gli agenti di polizia hanno effettivamente caricato i manifestanti, picchiandoli, confiscando le bandierine e distruggendole. Hanno persino arrestato uno degli attivisti, con l’accusa di sventolare la bandiera. Un tribunale di Gerusalemme in seguito ha respinto l’accusa, stabilendo che sventolare la bandiera palestinese non è illegale.
Infatti, lo status della bandiera palestinese secondo la legge israeliana è ancora vago. E sulla base dell’esperienza passata, questo problema si ripresenterà sicuramente.
Mentre guardavo questi video, ho pensato alla strada tortuosa che israeliani e palestinesi hanno percorso negli ultimi quattro decenni, nella loro battaglia sui simboli.
La prima volta che ho scritto della bandiera palestinese, nota agli israeliani anche come bandiera dell’OLP, un termine improprio, fu nel gennaio 1987. Nella colonna che scrissi allora per Haaretz, citai l’articolo 5 dell’Ordine Militare 101 del codice legale dell’occupazione, che decretava: “E’ vietato issare, sventolare o apporre bandiere o simboli politici, salvo autorizzazione del Comando Militare”.
Nessun permesso è mai stato rilasciato e i giovani palestinesi erano soliti stare in prigione per mesi per aver sventolato la loro bandiera. I colori della bandiera, tuttavia, non erano fuorilegge, quindi i palestinesi hanno trovato modi creativi per celebrare in pubblico il nero, il bianco, il verde e il rosso della loro bandiera, ad esempio attraverso i loro vestiti e negli espositori per negozi.
Quando scoppiò la Prima Intifada, un anno dopo, la bandiera divenne onnipresente in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Le giovani donne le cucivano a mano, e i giovani si arrampicavano sui pali dell’elettricità per appendere le bandiere, rischiando la vita, e talvolta perdendola, nel farlo.
La pratica divenne così iconica che anni più tardi, dopo che l’Autorità Palestinese prese il controllo delle città della Cisgiordania, un grande monumento, una scultura che mostra un adolescente palestinese che si arrampica su un palo con la bandiera nazionale, è stato posizionato strategicamente nel centro di Ramallah, in Piazza Yasser Arafat.
La guerra contro il simbolo del Movimento Nazionale Palestinese è stata condotta non solo nei territori occupati. Nel 1986, un ebreo israeliano di Ramat Gan, membro del Consiglio israeliano per la pace tra Israele e Palestina, una piccola organizzazione pacifista, fu oggetto di un’indagine della polizia per aver indossato sulla camicia una minuscola spilla che incrociava le bandiere dello Stato di Israele e del Movimento Nazionale Palestinese.
La Prima Intifada finì. Israele riconobbe l’OLP come legittimo rappresentante del popolo palestinese, e negoziò con esso accordi politici che avrebbero dovuto portare alla costituzione di uno Stato palestinese.
L’ossessione per la bandiera palestinese è finita? Non proprio. Mentre la bandiera palestinese arrivava alle istituzioni internazionali, persino alla Knesset, era ancora motivo di azioni contro i manifestanti, su entrambi i lati della Linea Verde, e talvolta anche di arresto.
Nel 2001, l’organizzazione israeliana per i diritti civili Adalah chiese all’Ufficio del Procuratore Generale di chiarire la politica. Adalah ha ricordato che nel 1993,in seguito agli accordi di Oslo, l’allora capo della polizia Raffi Peled scrisse in una lettera alla Knesset che, poiché l’OLP non era più considerata un’organizzazione terroristica, sventolare la sua bandiera “non è illegale”.
Infatti, durante la metà e la fine degli anni ’90, le autorità israeliane non si preoccupavano della bandiera. Due procuratori generali durante quel periodo stabilirono che non vi era alcun interesse pubblico nel perseguire chi esponeva la bandiera palestinese.
Ma l’OLP appare ancora oggi nei documenti ufficiali del governo israeliano come organizzazione terroristica. Pertanto, sventolare la bandiera dell’OLP, come ha affermato l’Ufficio del Procuratore Generale nel 2001, potrebbe essere interpretato come identificazione con un’organizzazione terroristica, che è un crimine.
La prova, secondo l’ufficio dell’Avvocatura Generale di allora, era se lo sbandieratore avesse un “intento criminale”, se lui o lei “si identificassero con l’OLP come un’organizzazione terroristica”.
La questione dell’intento è stata la principale motivazione che la polizia di Gerusalemme ha addotto per l’azione contro i manifestanti che esponevano la bandiera palestinese negli ultimi mesi, riferendosi all’intenzione di identificarsi con i terroristi o di incitare alla violenza. Può un agente delle forze dell’ordine determinare qual è l’intento di un manifestante?
È ironico che l’avversione per la bandiera palestinese sia vista come una preoccupazione per i palestinesi che si associano o si identificano con l’OLP.
Oggi, nell’arena palestinese, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Mahmoud Abbas è l’ultima a sostenere ancora un accordo di pace di compromesso con Israele. I suoi agenti in Cisgiordania cooperano con le agenzie di sicurezza israeliane per affrontare e contrastare il terrorismo anti-israeliano, azioni che, viste come collaborazione con l’occupante, riducono costantemente il sostegno popolare all’istituzione e ai suoi leader.
Come giustamente appare ai palestinesi, la persecuzione di chi espone la bandiera è un’espressione dell’atteggiamento ostile di Israele nei confronti del patriottismo palestinese. È un’espressione dell’ostinato atteggiamento nei confronti della sovranità e dei diritti nazionali nella terra che si trova tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo.
È spinta dallo stesso spirito che ha dato vita alla Legge dello Stato Nazione, lo stesso spirito che spinge i coloni israeliani e i loro alleati nel governo a espropriare i palestinesi della loro terra in Cisgiordania e delle loro case a Gerusalemme.
È alimentata dallo stesso spirito nazionalista esclusivista e intransigente, che sta spingendo Israele a diventare uno Stato binazionale che non è né politicamente democratico né eticamente ebraico.
Ori Nir, ex corrispondente di Haaretz in Cisgiordania e Washington, è il vicepresidente per gli affari pubblici di Americans for Peace Now. Twitter: @OriNir_APN
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org