Faisel Laibi Sahi, artista e allieva della compianta a Naziha Selim, condivide i suoi ricordi dell’artista irachena.
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Myrna Ayad – settembre 2021
Immagine di copertina: “Senza titolo”, Naziha Selim (1963). Foto: Barjeel Art Foundation, Sharjah
Stavo facendo la fila al Baghdad College of Fine Arts (ora Institute of Fine Arts) presso l’Università di Baghdad per completare le pratiche per la mia iscrizione.
L’aria era piena dell’entusiasmo e del potenziale dei giovani artisti. Era il 1964 ed ero appena arrivata dalla mia città natale, Bassora, nel sud dell’Iraq. La mia amata città, rinomata per la sua letteratura, ha dato al mondo anche il poliedrico Ibn Al Haytham, il prodigio letterario Al Jahiz e la mistica sufi Rabia Basri.
Bassora ospita il porto principale del paese e si trova su un letto di un fiume, lo Shatt Al Arab. Per quanto progressista avessi percepito Bassora, Baghdad era un altro mondo: una splendida capitale, un centro culturale, una potenza intellettuale.
Passeggiavo lungo la grandiosa Al Rasheed Street con le sue eleganti colonne e in Al Mutanabbi Street, giustamente intitolata al famoso poeta arabo, piena di librerie e caffè; ci si sentiva trasportare nello storico quartiere di Al Rusafa. Baghdad era piena di possibilità.
Avevo sentito parlare dei fondatori del BCFA, gli artisti iracheni Faeq Hassan e Jewad Selim, e venni immediatamente attratta dalla loro arte e pensavo che ovviamente la nostra arte dovesse celebrare l’Iraq, e l’Iraq in un modo moderno. Mentre frequentavo il BCFA mi sentivo euforica e nervosa allo stesso tempo. In questi corridoi camminavano i maestri, e all’improvviso uno ci salutava mentre passava.
“Quella è la professoressa Naziha Selim”, sussurrò un collega. “È la sorella di Jewad e insegna qui.” Sapevo chi era e non aveva bisogno di essere la sorella del compianto artista per essere riconosciuta. Una delle poche donne pioniere nel mondo maschile dell’arte moderna irachena, Naziha era nata in una famiglia di artisti e aveva studiato alla BCFA negli anni ’40 prima di andare all’Ecole des Beaux Arts di Parigi con una borsa di studio del governo – tra le prime donne a farlo.
L’avevo vista lavorare agli spettacoli organizzati dal Baghdad Modern Art Group, un gruppo fondato da Jewad e dal collega artista iracheno Shaker Hassan Al Said nel 1951, che sosteneva l’arte per onorare il patrimonio irachena attraverso un’estetica moderna. Al suo interno, il gruppo incoraggiava la scoperta del ricco patrimonio dell’Iraq: che modo meraviglioso di esplorare le proprie radici e suscitare l’amore per la propria patria!
Attraverso il lavoro di Naziha, era palpabile quanto fosse profondamente appassionata all’Iraq e alle sue donne. Era chiaro che nel suo lavoro difendeva – salutava anche – questi due temi molto potenti. Ho condiviso – e continuo a condividere – il suo orgoglio per la nostra patria e gli innumerevoli elementi di questa preziosa culla di civiltà. Mi sono sentita così grata di averla avuta come insegnante, e di quanto fossero stimolanti le sue lezioni.
Naziha ci ha spinti a semplificare le cose, quindi nelle nostre composizioni abbiamo costantemente considerato l’equilibrio di colori e forme, con l’obiettivo di costruire un rapporto aureo: davvero la base del design e dell’architettura.
Ancora oggi, quando inizio un lavoro, sento le sue parole nelle mie orecchie. Era severa, persino dura, intollerante alla pigrizia e alle chiacchiere e, parola mia, aveva un linguaggio tutto suo. Quando imprecava in slang iracheno, non avresti mai pensato che avesse studiato Belle Arti in Francia.
Era quella che chiamiamo Baghdadiya – una signora di Baghdad – in tutto e per tutto. Voleva davvero che ottenessimo il massimo e sebbene il suo riserbo a voltevenisse scambiato per freddezza, aveva un graffiante senso dell’umorismo e amava fare scherzi alle persone.
Poiché era acuta e intuitiva, Naziha capì subito che non stavo studiando arte per diventare un’insegnante. Aveva capito che era a questo che volevo dedicare la mia vita.
Più tardi, nel 1965, mi chiese di dipingere il suo ritratto e venni a sapere che lo chiedeva solo a un piccolo pool di pittori di talento. Umilmente, frequentavo la sua casa e tra una seduta e l’altra sorseggiavamo karak chai (tè al cardamomo), sgranocchiavo i tradizionali kleicha (biscotti ai datteri) e ci concedevamo le conversazioni più stimolanti dal punto di vista intellettuale.
Questi sono ricordi d’oro e spesso mi chiedo come preservare e condividere i frutti di queste discussioni. Naziha era calorosa e generosa e, come i suoi colleghi del gruppo, si divertiva a concederci la libertà di esplorare.
In quelle visite, potevo sentire la presenza di Jewad, proprio come nelle aule del BCFA. Non era solo nei suoi dipinti alle pareti, era il suo spirito che dominava, ispirava e permeava davvero tutto.
Una volta chiedemmo a Faeq Hassan, che aveva fondato il dipartimento di pittura alla BCFA, della morte di Jewad. “Quando è morto, è morta anche metà di me”, ha risposto. Eppure il dolore di Naziha era più grande, più profondo, e potevo sentire che spesso pulsava.
Non parlava molto di lui e quando lo faceva, non solo il dolore era palpabile, ma si capiva che Jewad era stato un uomo grande e gentile, e la sua perdita è stata enorme per l’Iraq e anche per il mondo.
La morte di Jewad all’età di 42 anni nel 1961 fu il grande dolore di Naziha, ma cominciai a vedere che altrove c’era più dolore. Le sue tele traboccavano dei cambiamenti che le donne irachene hanno dovuto affrontare, ma da qualche parte, nelle pennellate di angoscia sui volti delle donne, vedevo il dolore personale di Naziha.
Forse era la sua solitudine. Forse erano stati i ripetuti colpi politici ed economici che hanno paralizzato l’Iraq. Forse è stato l’esodo intellettuale degli iracheni.
Avevo seguito il suo consiglio e avevo proseguito gli studi a Parigi all’Ecole Nationale Superieure des Beaux Arts nel 1974 e alla Sorbona nel 1981. Nel 1977, Naziha pubblicò un’opera inestimabile: “Iraq: Contemporary Art” che descrive in dettaglio il movimento artistico moderno del paese e un anno dopo invitò a cena durante uno dei miei viaggi di ritorno a casa.
Fu meraviglioso rivederla e poter sentire quanto fosse orgogliosa di me. All’inizio degli anni ’80, si ritirò dopo circa due decenni di insegnamento alla BCFA e, come per molti iracheni, la guerra Iran-Iraq, la guerra del Golfo, le sanzioni e l’invasione americana schiacciarono i nostri spiriti. Nel 2003, Naziha ebbe un ictus debilitante e morì cinque anni dopo.
Era la mia insegnante, amica e faro. In effetti, è stata una pioniera dell’arte irachena e al centro dell’arte araba. È una parte fondamentale della nostra storia, ma più di ogni altra cosa, il lavoro di Naziha mi ricorda la mia casa, e la grazia e la gentilezza delle donne irachene.
Trad: Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org