Un edificio vuoto con una bandiera a brandelli: i palestinesi non hanno voce a Washington

Triste a dirsi, il ruolo del capo dell’ufficio dell’OLP a Washington per i media è di fatto poco più di quello di un uomo di paglia.

Fonte: english version

Di Miko Peled – 11 ottobre 2021

Immagine di copertina: L’ufficio di Washington dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, 18 novembre 2017. Foto: Alex Brandon | AP

WASHINGTON – Nel gennaio del 2021 Reuters ha riferito sul “piano del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden di impegnarsi per riaprire la missione diplomatica dei palestinesi a Washington”. L’ufficio era stato chiuso dall’allora Presidente Donald Trump quasi 25 anni dopo la firma degli accordi di Oslo alla Casa Bianca. Il rapporto cita alcuni degli ostacoli legali e politici che si frappongono a questo piano, molti dei quali sono stati messi in atto durante l’amministrazione Trump proprio allo scopo di impedire la riapertura della missione.

Nessuno status diplomatico

Il rapporto di Reuters si riferiva all’ufficio come a una “missione diplomatica”; tuttavia, nessuno in quell’ufficio godeva dello status diplomatico; era l’ufficio dell’OLP a Washington e non una missione diplomatica. L’OLP non godeva dello status diplomatico e sebbene alcuni si riferissero al capo della missione come “signor ambasciatore”, non era un ambasciatore. Triste a dirsi, il ruolo del capo dell’ufficio dell’OLP a Washington per i media è di fatto poco più di quello di un uomo di paglia.

Poiché dare la colpa della violenza in Palestina direttamente a Israele, a cui appartiene, non viene fatto nei media commerciali, ogni volta che la CNN o una delle altre reti avevano bisogno di un palestinese da incolpare per i brutali attacchi di Israele ai civili palestinesi, il rappresentante dell’OLP veniva invitato. Il ruolo includeva anche viaggiare e parlare a eventi come rappresentante del popolo palestinese.

Nessuna rappresentanza palestinese

Il problema è che la persona che ricopre il ruolo di rappresentante dell’OLP a Washington non rappresenta il popolo palestinese. Lui, o in alcuni casi lei, rappresenta l’Autorità Palestinese. E l’Autorità Palestinese non rappresenta il popolo palestinese.

L’Autorità Palestinese e i suoi rappresentanti non rappresentano i milioni di palestinesi che vivono nel Naqab o nel Lyd, in Galilea o a Gerusalemme. Né l’Autorità Palestinese rappresenta i milioni di rifugiati palestinesi nella Striscia di Gaza o coloro che vivono nei campi profughi palestinesi sparsi nel mondo arabo. I capi delle missioni dell’OLP sono rappresentanti dell’OLP, che rappresenta l’Autorità Palestinese a Ramallah, che non rappresentano nessuno tranne loro stessi.

Ostacoli finanziari e legali

Secondo il rapporto di Reuters, “in base a un emendamento antiterrorismo approvato dal Congresso e convertito in legge da Trump nel 2019,secondo i tribunali statunitensi se i palestinesi aprissero un ufficio negli Stati Uniti diventerebbero responsabili di 655,5 milioni di dollari (573,7 milioni di euro) di sanzioni pecuniarie nei loro confronti

Questa enorme somma di denaro proviene da azioni legali di 11 famiglie americane che hanno cercato di ritenere l’Autorità Palestinese e l’OLP responsabili per atti di resistenza armata tra il 2002 e il 2004 in cui sono stati uccisi anche diversi americani. Va notato che nel 2018 la Corte Suprema degli Stati Uniti rifiutò  di prendere in considerazione l’assegnazione di tali crediti, confermando una sentenza del tribunale di grado inferiore secondo cui non esisteva giurisdizione per gli attacchi al di fuori degli Stati Uniti.

Ma non è tutto. I prigionieri politici palestinesi sono indicati da Israele e dai sionisti di tutto il mondo come “terroristi”. Ricevono un sussidio dall’Autorità Palestinese in modo che le loro famiglie possano sopravvivere. Come afferma correttamente il rapporto di Reuters, il Taylor Force Act, approvato dal Congresso nel 2018, limita gli aiuti all’Autorità Palestinese fino a quando non accetta di interrompere i sussidi alle famiglie delle persone incarcerate da Israele. La legge nello specifico recita:

Il Congresso formula le seguenti conclusioni:

(1) La pratica dell’Autorità Palestinese di elargire sussidi ai terroristi che sono detenuti nelle carceri israeliane, così come alle famiglie dei terroristi deceduti, è un incentivo a commettere atti terroristici”

Questo è sbagliato in diversi modi. Prima di tutto, è ridicolo affermare che un palestinese, o qualsiasi altro individuo, sarebbe incentivato a rischiare di morire o rischiare la reclusione e la tortura da parte di Israele solo affinché la sua famiglia possa ricevere l’avaro sussidio dall’Autorità Palestinese. Inoltre, la questione dei prigionieri è cara al popolo palestinese. I palestinesi apprezzano profondamente l’enorme sacrificio dei prigionieri. Porre fine ai sussidi alle famiglie, che spesso non hanno altra fonte di reddito, è pura crudeltà.

Una bandiera

Nel rapporto di Reuters è stata inclusa anche una foto dell’edificio in Wisconsin Avenue a Washington, che un tempo ospitava l’ufficio dell’OLP.

Cos’è una bandiera se non un pezzo di stoffa colorata? La risposta a questo ha a che fare con le circostanze che circondano la bandiera. La bandiera di Israele, ad esempio, rappresenta la violenza, il razzismo, la tirannia, l’oppressione e l’apartheid. La bandiera palestinese rappresenta la resistenza a tutto questo. Nella foto del rapporto di Reuters la bandiera palestinese è appesa all’edificio. Tuttavia, questo avvenne  tre o quattro anni fa.

Oggi l’edificio è vuoto, e la bandiera, che ancora pende, è a brandelli. È stata dimenticata o forse lasciata lì per ornamento? In ogni caso, rappresenta lo stato della realtà palestinese. Il pezzo di stoffa che pende ancora dall’edificio aveva i colori palestinesi e ora è un pezzo di stoffa a brandelli di cui nessuno si preoccupa. È il simbolo della situazione in Palestina e di come la Palestina è vista a Washington.

L’ufficio dell’OLP a Washington è chiuso dal 2018.

Nessuno attualmente rappresenta gli interessi palestinesi nella capitale degli Stati Uniti. Non si discute sui diritti dei milioni di rifugiati palestinesi che languono nei campi profughi; non si discute sui diritti di migliaia di palestinesi uccisi e feriti da Israele e resi disabili; non si discute delle famiglie i cui cari sono morti o feriti e non hanno mezzi di sussistenza; non si discute sui diritti di innumerevoli migliaia di palestinesi che sono stati torturati da Israele, hanno trascorso anni nelle carceri israeliane e sono stati resi permanentemente disabili. Infine, non vi è alcuna seria richiesta che gli Stati Uniti pongano fine al loro sostegno e impongano severe sanzioni a Israele. Purtroppo, riportare un rappresentante dell’Autorità Palestinese non cambierà le cose.

Miko Peled è uno scrittore e attivista per i diritti umani, nato a Gerusalemme. E’ autore di “The General’s Son. Journey of an Israeli in Palestine” e “Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five”.

Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org