Il termine “traumatizzazione sequenziale” è stato coniato da fisico tedesco Hajo Meyer, ebreo sopravvissuto alla Shoah, per indicare una strategia di ingegneria sociale applicata dallo Stato d’Israele nei confronti dei suoi cittadini.
Lorenzo Poli – Invictapalestina – 16 novembre 2021
Riflettendo sul lavoro di Hans Keilson, secondo Meyer si può definire “traumatizzazione sequenziale” il ricordo collettivo ebraico in un ambiente rituale di numerosi eventi traumatici passati che le comunità ebraiche hanno subito”. Meyer ha applicato questo concetto al ruolo del sionismo nel conflitto israelo-palestinese, al repressivo sistema d’apartheid sionista nei confronti della popolazione palestinese e alla progressiva ebraicizzazione delle terre palestinesi attraverso l’occupazione di insediamenti illegali da parte dei coloni israeliani. Secondo Mayer, lo Stato d’Israele e i governi Netanyahu hanno usato questa ri-traumatizzazione degli ebrei riguardo alla Shoah, a livello di propaganda politica e mediatica, con il fine di alimentare la paura, il continuo bisogno di iper-sicurezza e di società securitaria per indottrinare e inculcare l’obbedienza nei confronti di Israele contro i suoi “nemici”. Sempre secondo Mayer, Israele disumanizza i palestinesi allo stesso modo in cui la Germania nazista disumanizzò gli ebrei, dichiarando:
“Non posso fare a meno di sentire echi del mito nazista di “sangue e terra” nella retorica del fondamentalismo dei coloni che rivendica un diritto sacro a tutte le terre della biblica Giudea e Samaria. Le varie forme di punizione collettiva colpite dal popolo palestinese: ghettizzazione forzata dietro un “muro di sicurezza”; l’abbattimento delle case e la distruzione dei campi; il bombardamento di scuole, moschee ed edifici governativi; un blocco economico che priva le persone dell’acqua, del cibo, delle medicine, dell’istruzione e dei beni di prima necessità per una sopravvivenza dignitosa, mi costringe a ricordare le privazioni e le umiliazioni che ho vissuto nella mia giovinezza.”
https://www.huffpost.com/entry/an-ethical-tradition-betr_b_438660
Meyer ha ripetutamente sostenuto che ci sono paralleli tra il trattamento nazista degli ebrei che ha portato alla Shoah e la disumanizzazione dei palestinesi da parte di Israele.
Nel 2010, durante un discorso organizzato dal leader laburista britannico Jeremy Corbyn, Meyer ha ripetutamente paragonato le operazioni di Israele contro Gaza all’uccisione di massa degli ebrei nella Shoah, paragonando i governi israeliani a quello della Germania nazista. Durante il discorso, Meyer ha anche affermato che “l’ebraismo in Israele è stato sostituito dalla religione dell’Olocausto, il cui sommo sacerdote è Elie Wiesel”.
Un po’ come quella che il controverso filosofo d’ispirazione marxista Costanzo Preve definiva “religione olocaustica”, ovvero la strumentalizzazione della Shoah da parte del sionismo come pretesto moralistico per legittimare le azioni di Israele tramite il senso di colpa:
«Auschwitz non può e non deve essere dimenticato, perché la memoria dei morti innocenti deve essere riscattata, e questo mondo nella sua interezza appartiene a tre tipi di esseri umani: coloro che sono già vissuti, coloro che sono tuttora in vita, e coloro che devono ancora nascere. Ma Auschwitz non deve diventare un simbolo di legittimazione del sionismo, che agita l’accusa di antisemitismo in tutti coloro che non lo accettano radicalmente, e che non sono disposti a derubricare a semplici errori i suoi veri e propri crimini»
Per questa sua teoria, Hajo Meyer, insieme ad Abraham Melzer, nonostante sia ebreo ed abbia vissuto sulla sua pelle la Shoah, è stato accusato pubblicamente di “antisemitismo ebraico” e della “capacità di applicare la giudeofobia” (Kapazitäten für angewandte Judäophobie) perché aveva confrontato la politica di occupazione israeliana alle misure prese dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Non a caso il suo accusatore, Henryk Broder, è stato condannato nel 2006 a una pena detentiva da un tribunale tedesco, segnalando a Broder l’inesistenza di un fenomeno chiamato “antisemitismo ebraico”, ovvero antisemitismo commesso dagli ebrei.
La sua è sempre stata una critica al sionismo, che non è una religione bensì una dottrina politica fondata da non-ebrei, come Theodore Hertz, sul mito dello Stato-Nazione Ebraica (traslitterazione della “Terra Promessa”), sul mito della sicurezza, sull’occidentalizzazione del Medioriente e sulla militarizzazione e sull’occupazione coloniale delle terre palestinesi. Meyer ha affermato che il sionismo precede il fascismo, che sionisti e fascisti hanno avuto una storia di cooperazione accusando, tra le altre cose, che Israele vuole fomentare l’antisemitismo nel mondo per incoraggiare più ebrei a migrare in Israele.
Meyer ha sostenuto che ci sono diverse interpretazioni del giudaismo e che gli ebrei dovrebbero tornare ai principi del Libro del Levitico e ai principi rabbinici di figure come Hillel, ed evitare il “giudaismo del giorno del giudizio” che identifica nel Libro di Giosuè e le posizioni di Abraham Isaac Kook, che ha sottoscritto il sionismo quasi fondendolo con l’ebraismo.
Meyer è sempre stato politicamente attivo come direttore di A Different Jewish Voice, come sostenitore del Movimento BDS e come membro dell’International Jewish Anti-Sionist Network. Nel 2003, ha scritto “La fine del giudaismo”, in cui accusa Israele di aver abusato dell’Olocausto per giustificare crimini contro i palestinesi. Nel libro ha usato frasi come “Israeli Wehrmacht” e “Jewish SS” per indicare con più fermezza che quello che i palestinesi stanno subendo è identico a “ciò che è stato fatto agli ebrei tedeschi anche prima della ‘Soluzione Finale'”, e ha anche sostenuto che il comportamento di Israele è la causa principale del riemergere dell’antisemitismo nel dopoguerra.