Ricordando Etel Adnan: tra natura, arte e appartenenza

L’eredità di Etel Adnan sulla cultura araba contemporanea e oltre è immensa

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Farah Abdessamad 02 dicembre 2021

Con le sue opere su carta e su tela, l’influenza di Etel Adnan nel mondo arabo non può essere sottovalutata. Affrontando i temi dello sfollamento e dell’esilio, la sua carriera incarna la genialità creativa araba all’interno di un’istituzione artistica incentrata sull’Occidente.

Quando il 15 novembre  appresi la notizia della morte di Etel Adnan, cercai subito il mio telefono dove avevo salvato la sua opera d’arte che preferivo.  Sui social media, mi  unii a degli estranei nel ringraziare l’artista per una vita pionieristica di amore e generosità – grata per lo splendore dei suoi dipinti, poesie e saggi che inondano il mio schermo, come testimonianza delle molte vite che ha toccato.

Nata nel 1925 a Damasco da un padre ufficiale ottomano di alto rango e da madre greca, Etel crebbe a Beirut, un luogo che non l’avrebbe mai lasciata, insieme ai resti della sua perduta casa ancestrale di Izmir.

 “L’eredità di Etel Adnan sulla cultura araba contemporanea e oltre è immensa”

Lo sfollamento e l’alienazione, intesi come l’errare sia fisico che simbolico, hanno maggiormente contribuito a plasmare il percorso personale e artistico di Etel. Nel corso di un secolo segnato da indipendenze, guerre civili, ritorni ed esili, le sue varie forme d’arte vanno dall’attuale all’atemporale, si confrontano con eventi storici mentre meditano sulla caducità della vita e sulla permanenza dei ricordi.

Studiò filosofia all’Università Sorbona di Parigi, poi  proseguì gli studi a Berkeley e Harvard, prima di tornare in Libano come giornalista nei primi anni ’70,dove rimase  fino allo scoppio della guerra civile, quando fu costretta a partire.

Trascorse il resto della sua vita tra Parigi e la California, come artista in esilio, engagée, trasgressiva, sfidando le verità che altri imponevano, scegliendo di rimanere libera e decisamente in anticipo sui tempi.

‘Le poids du monde 1-20’ di Etel Adnan [Getty Images]
La carriera letteraria di Adnan fu prolifica e di ampio respiro, comprendendo romanzi, saggi e poesie. Nel 1977 scrisse il romanzo di guerra “Sitt Marie Rose” che narra la storia di Marie Rose Boulos, un’assistente sociale che Etel conosceva e che fu rapita e uccisa dai miliziani durante la guerra civile libanese. La sua poesia “To Be in a Time of War” (dalla raccolta “In the Heart of the Heart of Another Country”, 2005) contiene le elucubrazioni di una generazione afflitta dal dolore:

“Provare a parlare alle nuvole. Dire di sì, è impossibile. Indugiare sul mistero della comunicazione, lamentarsi della sua assenza. Dire che va bene, poi non crederci. Pensare al telegiornale del mattino, inorridire. Disprezzare. Odiare. Vuotare la testa dalle emozioni traboccanti. Rimpiangere che il male esista. Incolpare sè stessi per l’esistenza del male. Voler dimenticarlo e non esserne capaci. Avvolgersi nella morte”

“Il peso del mondo” di Etel Adnan [Getty Images]
La violenza e la guerra diventano indelebili come la vivacità di un rosso sole mediterraneo. La poesia è un palinsesto. Parla del Libano e si legge pensando alla distruzione e al dolore dell’Iraq, della Libia, dello Yemen o dell’Afghanistan. Trasmette la brevità e l’affanno che derivano dal testimoniare stando ai margini.

Etel iniziò a dipingere all’inizio degli anni ’60 mentre era in California, come artista autodidatta. L’arte, e più specificamente l’arte astratta, le permise di trascendere i confini rappresentativi dello spazio, del tempo e del linguaggio.

Negli anni Cinquanta, durante la guerra d’indipendenza algerina, riflettè sulla politica del linguaggio come mezzo per rivendicare un’emancipazione personale e intellettuale. Affermò che “avrebbe dipinto in arabo”, diventando una delle principali protagoniste del movimento autoaffermativo Hurufiyya, che divenne popolare nel mondo arabo. Durante la guerra del Vietnam, scelse di scrivere in inglese, più che in francese.

“Il dislocamento e l’alienazione, intesi sia come errore fisico che simbolico, hanno maggiormente contribuito a plasmare il percorso personale e artistico di Adnan”

Etel era già una scrittrice affermata quando si dedicò alla pittura. Riconobbe l’influenza di artisti astratti come Vasily Kandinsky e Paul Klee e nel suo lavoro troviamo anche una devozione romantica per il potere divorante e trascendente della natura e del paesaggio.

Ad esempio, la serie “The Weight of the World” (2016) contiene motivi e caratteristiche familiari che si trovano in molti dei suoi altri dipinti astratti: vitalità, ripetizione, la montagna, il mare e la persistenza di un quadrato o cerchio rosso che incapsula un reinventato, facendo rivivere la costa dell’Asia occidentale come luogo del sorgere del sole (“Mashreq”). Pittura e letteratura dialogano. “Più irreversibile della morte è il sole”, ha scritto in “The Arab Apocalypse” (1989), aggiungendo: “Nel cielo una bara solitaria fluttua da un orizzonte all’altro”.

I suoi dipinti sono di piccole dimensioni. Catturano l’essenza di un sentimento puro; la metafora della marea si collega alla nostalgia e ai luoghi lasciati alle spalle. Per Etel, il mare racchiude il femminile e l’assoluto. La forma del Monte Tamalpais in California, di cui si è innamorata, si confonde con la possibile sagoma del Monte Libano, del Taigeto o dell’Ararat.

Sperimentò anche tessuti, arazzi e arte su carta come il formato giocoso chiamato leporello, un libretto simile a una fisarmonica. In quest’ultimo, mescola spesso disegni ingenui a ricerche filosofiche che incanalano la vulnerabilità (“perché il raggio solare mi brucia l’occhio quando il cielo è ancora ghiacciato?”). Eppure la sua arte visiva è anche poesia e sarebbe un errore applicare quelle etichette semplicistiche a cui ha tanto resistito.

“Etel Adnan non divenne l’architetto che voleva essere. Invece, l’artista visiva e scrittrice ha costruito impalcature, templi della memoria, della nostalgia e della giustizia che non possiamo sempre vedere nell’espressione fisica, ma che inesprimibilmente e intimamente sentiamo nei nostri cuori”

Etel Adnan – Untitled

La scena artistica mainstream ha prestato attenzione a Etel in ritardo, mentre era ben oltre gli 80 anni. Quando un influente curatore internazionale si imbattè nella sua arte leporello nei primi anni del 2010, fu  improvvisamente “scoperta”, in conformità con il cliché che le donne anziane nell’arte sono stranezze curiose il cui “vero” talento può essere convalidato solo attraverso uno sguardo esterno (bianco, maschio).

“All’inizio, ogni articolo iniziava menzionando la mia età. Ho pensato che fosse divertente, ma mi sono un po’ seccata”, disse in un’intervista del 2018. Eppure questo incontro diede impulso alla sua statura internazionale con apparizioni alla Whitney Biennial (2014), al Sharjah Biennial 12 (2015), al Museum of Modern Art (2017) e al Paul Klee Center in Svizzera (2018), tra gli altri. Le sue opere sono presenti nelle collezioni del Museo Pompidou di Parigi, del nuovo M+ di Hong Kong e una prima retrospettiva è prevista per maggio 2022 al Museo Van Gogh nei Paesi Bassi.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org