I ricami palestinesi aggiunti alla lista del patrimonio culturale dell’UNESCO

Il primo ministro palestinese ha accolto con favore la decisione dell’agenzia delle Nazioni Unite considerandola un passo importante per “proteggere la nostra identità, eredità e narrativa palestinesi”.

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Al Jazeera Staff – 16 dic 2021

Immagine di copertina: Una donna palestinese mentre ricama in un centro di programmazione femminile a Gaza City [File: AC/AA]

Ramallah, Cisgiordania occupata – L’agenzia culturale delle Nazioni Unite (UNESCO) ha aggiunto l’arte del ricamo tradizionale palestinese alla sua lista del patrimonio culturale immateriale.

L’elenco di mercoledì è stato stilato  durante la 16a sessione del Comitato intergovernativo per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, un raduno annuale di centinaia di partecipanti tra rappresentanti statali, ONG e istituzioni culturali.

Il Primo Ministro dell’Autorità Palestinese (AP) Mohammad Shtayyeh ha ringraziato l’UNESCO per la sua decisione.

“Questo passo è importante e tempestivo, al fine di proteggere la nostra identità, eredità e narrativa palestinese, di fronte ai tentativi dell’occupazione di rubare ciò che non possiede”, ha affermato Shtayyeh in una dichiarazione mercoledì.

Il ricamo palestinese – o “tatreez” – è una tradizione artistica tramandata di generazione in generazione che prevede il ricamo a mano di modelli e motivi con fili dai colori vivaci. Il thobe, un abito tradizionale e ampio indossato dalle donne palestinesi, è il capo di abbigliamento più comunemente ricamato.

Sebbene la pratica abbia avuto origine nelle aree rurali, la cultura di cucire e indossare abiti  ricamati è ora comune in città e villaggi, con diversi modelli che rappresentano le varie regioni della Palestina storica e che possono  fungere anche da indicatore per lo stato economico e civile della donna che lo indossa.

Donne palestinesi cuciono ricami tradizionali palestinesi nella città portuale di Sidone, Libano meridionale, 14 giugno 2016 [Ali Hashisho/Reuters]
Atef Abu Saif, ministro della cultura dell’AP, ha dichiarato che il ministero ha lavorato per più di due anni per far inserire i ricami palestinesi nell’elenco.

“Il patrimonio culturale è il serbatoio vivente della memoria del nostro popolo su questa terra. La conservazione dell’identità culturale nazionale del nostro patrimonio è indispensabile nell’affrontare un’occupazione che sfrutta tutte le sue capacità per sradicarla e rubarla”, ha affermato in una nota.

“Ciò che i nostri nonni e antenati hanno creato e lasciato per noi in un’eredità fatta di bellezza, splendore e radici profondamente radicate, è la migliore prova che siamo il popolo di questa terra”, ha aggiunto Abu Saif.

L’elenco di mercoledì descrive il ricamo palestinese come una “pratica sociale e intergenerazionale”.

“Le donne si riuniscono nelle case l’una dell’altra per praticare il ricamo e il cucito, spesso con le figlie. Molte donne ricamano per hobby e alcune producono e vendono pezzi ricamati per integrare il reddito della loro famiglia, da sole o in collaborazione con altre donne”.

La pratica viene trasmessa di madre in figlia e attraverso corsi di formazione formale, aggiunge l’elenco.

L’UNESCO definisce il patrimonio culturale immateriale come “le pratiche, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze e le abilità – nonché gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali ad essi associati – che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono come parte della loro eredità culturale”.

La Lista rappresentativa è stata lanciata per la prima volta nel 2008. Nella sua convenzione del 2003, l’UNESCO definisce lo scopo della lista come “assicurare una maggiore visibilità” e “aumentare la consapevolezza” del significato degli elementi nominati come rappresentanti del patrimonio culturale immateriale. Alcuni degli elementi presenti nell’elenco includono il teatro delle ombre cinesi, la gastronomia francese e il Kimchi sudcoreano.

Le polemiche di Miss Universo 

La mossa arriva giorni dopo che le concorrenti di Miss Universo 2021, durante un tour in Israele prima della competizione tenutasi nella città meridionale di Eilat il 12 dicembre, sono state prese di mira per quello che i palestinesi hanno detto essere un’appropriazione della loro cultura.

Nella loro visita alla città prevalentemente beduina di Rahat, le candidate hanno postato sui social immagini di sè stesse mentre indossavano thobes palestinesi e mentre preparavano foglie di vite ripiene. La concorrente filippina Beatrice Luigi Gomez ha fatto arrabbiare molti quando ha intitolato le sue foto con la dicitura “Un giorno nella vita di un beduino”, insieme all’ hashtag #VisitIsrael.

“Colonialismo, razzismo, appropriazione culturale, patriarcato,  washing, tutto in un unico post”, ha affermato Ines Abdel Razek, direttrice dell’advocacy per il Palestine Institute for Public Diplomacy (PIPD) e analista politico del think-tank Al-Shabaka.

Il gruppo di attivisti Jewish Voice for Peace (JVP) con sede negli Stati Uniti lo ha descritto come un “furto culturale” e un “tentativo di auto-indigenizzazione”.

“Attraverso post sponsorizzati dal Ministero del Turismo israeliano, le concorrenti di Miss Universo hanno mostrato il  cibo, l’abbigliamento e le tradizioni di danza palestinesi, ma hanno chiamato questa cultura, la terra e le persone da cui ha avuto origine, ‘Israele’. ”

“I post di Miss Universo dimostrano l’importanza di un boicottaggio culturale di Israele. Il governo israeliano usa sfacciatamente la cultura come strumento per esaltare o camuffare la sua oppressione sui palestinesi, quindi dobbiamo resistere collettivamente a parteciparvi o a prestargli la nostra attenzione”, ha affermato il gruppo.

Mercoledì, un gruppo di donne palestinesi è sceso in piazza al-Manara nel centro di Ramallah indossando thobes ricamati per protestare contro l’incidente di Miss Universo.

“Indosso questo thobe e lo passerò a mia nipote. Siamo qui oggi: abbiamo una storia, una civiltà e delle radici”, ha detto ad Al Jazeera Nadia Hassan Mustafa, 70 anni, del villaggio di Beitin.

Laila Ghannam, governatrice di Ramallah, ha affermato che “questo tipo di abbigliamento fa parte della nostra vita quotidiana e tutti coloro che seguono la nostra cultura lo sanno”.

“Non lo usiamo per le sfilate o per le reginette di bellezza. La nostra bellezza è ben nota, è nelle nostre madri, nelle madri dei martiri e dei carcerati, nella bellezza delle donne oppresse”, ha detto ad Al Jazeera.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali “ – Invictpalestina.org