Khoury denuncia il ruolo nefasto degli stati arabi nei confronti della Palestina. Il Marocco, il Bahrein o gli Emirati Arabi Uniti hanno avuto fretta di normalizzare i rapporti con Israele, collaborando all’opera di demolizione dell’identità palestinese
Fonte: www.internazionale.it
Catherine Cornet, giornalista e ricercatrice – 23 dicembre 2021
Il concorso di Miss universo, organizzato il 13 dicembre nella città costiera israeliana di Eilat, è stato contestato e oggetto di diversi boicottaggi a livello internazionale. Le foto delle miss delle Filippine, delle Mauritius o dell’Ucraina vestite con il thobe, il tradizionale vestito ricamato palestinese, postate sui social con l’hashtag #visitIsrael, hanno fatto infuriare i palestinesi e rilanciato la polemica sull’appropriazione culturale dell’identità palestinese da parte di Israele.
Prima ancora che cominciasse il concorso diverse reginette, come quelle di Grecia e Indonesia, avevano annunciato la loro intenzione di boicottare l’evento. In seguito la candidata greca Rafaela Plastira ha spiegato sul suo account Instagramdi non potere “salire sul palcoscenico e fare come se niente fosse”. Simbolo della normalizzazione con Israele dei rispettivi paesi, erano invece presenti le miss del Marocco e del Bahrein.
Secondo i social network palestinesi, il “colmo dell’umiliazione” è stato raggiunto con il post di Instagram della reginetta delle Filippine: con la didascalia “#visitIsrael, una giornata nella vita dei beduini”, la ragazza posa come le sue colleghe indossando il thobe e prepara involtini di foglie di vite, come se le tradizioni dei beduini – un gruppo fortemente discriminato in Israele – facessero parte del patrimonio israeliano. Il magazine Meem riassume in un video, il “furto culturale”. È una cosa davvero “umiliante”, contestualizza un articolo di Al Quds, “perché avviene in un contesto in cui Israele cerca in tutti modi di cancellare la cultura palestinese”.
In Palestina si ricama sin dall’epoca dei cananei, circa tremila anni, fa, scrive il giornale Al Arabi 21. E ciascuno dei thobe è ricamato con una varietà di simboli, tra cui uccelli, alberi e fiori. La scelta dei colori e dei disegni indica l’origine regionale della donna o il suo stato civile ed economico. Quindi questo vestito “non è solo una cosa antica e poco importante, ma aiuta a capire la storia della Palestina degli ultimi due secoli”.
Se il libanese Elias Khoury, uno dei più importanti scrittori e intellettuali del mondo arabo, sceglie di scrivere il suo editoriale su Al Quds su Miss universo, è segno che è stata varcata una soglia. Khoury denuncia il ruolo nefasto degli stati arabi nei confronti della Palestina. Il Marocco, il Bahrein o gli Emirati Arabi Uniti hanno avuto fretta di normalizzare i rapporti con Israele, collaborando all’opera di demolizione dell’identità palestinese: “Le reginette sul trono della naqba di Eilat sono un’eco della naqba dei tirannici paesi arabi che hanno spogliato la dignità palestinese e distrutto ciò che Israele non poteva distruggere”.
Appropriazione culturale
Le guerre intorno ai simboli politici e le denunce di appropriazione culturale non sono un novità per la questione israelo-palestinese: dai manoscritti del mar Morto ai monumenti del patrimonio culturale della Palestina storica fino all’hummus o al couscous, le accuse di appropriazione di arte o cultura palestinese sono numerosissime.
Ma il thobe significa anche molto di più: secondo il quotidiano egiziano Egypt Independent è diventato un nuovo “simbolo politico”, anche più della famosa kefiah di Yassar Arafat, diventata bandiera nelle manifestazioni di mezzo mondo. La visibilità internazionale del thobe è nata grazie a Rashida Tlaib, la prima donna statunitense di origini palestinesi eletta al congresso di Washington, che il giorno del suo insediamento ha indossato il vestito di sua madre. Tlaib ha ispirato molte altre donne a twittare foto di loro stesse in abiti tradizionali con l’hashtag #TweetYourThobe.
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Tlaib è stata poi seguita da Nujoud Merancy, anche lei di origini palestinesi, capo della missione Artemide della Nasa, che prevede di inviare la prima donna sulla Luna nel 2024: il giorno della sua nomina ha postato la sua foto ufficiale in cui indossa un blazer ricamato ispirato al thobe palestinese.
Un oggetto politico?
“L’antico thobe evoca un ideale di Palestina pura e incontaminata, precedente all’occupazione israeliana”, spiega Rachel Dedman, curatrice di una mostra al museo Palestinese incentrata sull’evoluzione del ricamo palestinese. “È esplicitamente legato più alla storia e al patrimonio che alla politica. È questo a renderlo un simbolo potente”.
Il 16 dicembre, l’Unesco ha inserito il ricamo del thobe nel patrimonio culturale intangibile dell’umanità. Un veloce giro su internet da Pinterest a Etsy mostra anche la vitalità del mercato globale del thobe. E se le candidate di Miss universo non sapevano sicuramente tutto della storia del vestito che indossavano, la governatrice di Ramallah, Leila Ghannam intervistata a questo proposito da Al Jazeera, ha tenuto a ricordarne i princìpi base: “Questo tipo di abbigliamento fa parte della nostra vita quotidiana e tutti coloro che seguono la nostra cultura lo sanno. Non lo usiamo per le sfilate o per i concorsi. La nostra bellezza è ben nota, è nelle nostre madri, nelle madri dei martiri e dei carcerati, nella bellezza delle donne oppresse”.