La persona che avrei potuto essere in una Palestina non occupata

Reem Hamadaqa ha 22 anni e non ha mai lasciato la Striscia di Gaza. Le foto di vecchi album di famiglia sono la sua unica finestra su una Palestina che non ha mai visto.

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Reem A. Hamadaqa – 3 febbraio 2022

Immagine di copertina: Artista palestinese a Gaza City dipinge un murale raffigurante la Cupola della Roccia a Gerusalemme, 25 luglio 2017. (Foto: Ashraf Amra/APA Images)

Decine di foto sono sparse in giro. Sulla sedia ci sono un vecchi album fotografici Mia nipote Sahar, 3 anni, riconosce con entusiasmo suo padre in una foto. Raccolgo le foto e guardo la versione più giovane dei miei genitori, visitando attraverso le immagini numerosi luoghi della Palestina occupata.

Le foto sono la mia unica finestra su una Palestina che non ho mai visto.

“Nella Palestina occupata”, è scritto a mano sul retro di una foto di mia madre, riguardante un viaggio organizzato dalla sua scuola 35 anni fa.

Mia madre ha visitato molte volte la Palestina occupata negli anni ’80. E ci ha raccontato innumerevoli storie sul nonno che li portava in gita alle montagne di Nablus, le spiagge di Jaffa e le bellissime strade di Beersheba.

Non sono mai stata in nessuna città palestinese diversa da Gaza, dove sono nata e cresciuta, e dove ora sono assediata.

Eppure, nel profondo del mio cuore, desidero essere lì per giocare con gli amici, correre nei campi e respirare la Palestina.

Voglio disperatamente scattare foto in tutte le città palestinesi e sentirmi palestinese. Ho bisogno di raccogliere ricordi di ogni viaggio per vantarmi con entusiasmo con i miei figli delle belle esperienze vissute. Per ora, mi sento palestinese al 10%.

Mentre sfoglio un album fotografico, rifletto sulla persona che avrei potuto essere in una Palestina libera. La mamma interrompe i miei pensieri.

“Papà  aveva noleggiato per me una macchina fotografica per il viaggio. Mi aveva insegnato come usarla, quindi abbiamo fotografato una Palestina che non sempre si vede. Tutto questo finì nel 1987, dopo la Prima Intifada, quando non potemmo più visitare nessuna Palestina al di fuori di Gaza”, spiega la mamma.

Di sicuro so che ci sono innumerevoli foto e video della Palestina su Internet. Ma ho bisogno di sentirmi più vicino alla terra. Sapere che mia madre una volta c’è stata allevia la mia nostalgia di casa.

“Era inverno e la giornata era troppo breve per riuscire a visitare più posti. Abbiamo visitato solo un parco e uno zoo”, continua la mamma.

«Ah, mamma, avresti potuto fare più foto del posto in sé, non degli animali. Voglio vedere com’era la Palestina!’ Penso.

11 gennaio 1985: foto numero 16 dall’album di famiglia. Visita allo zoo

È il 2022. Se potessi intraprendere il tanto agognato viaggio, sceglierei una lunga giornata di sole, pianificherei un elenco di destinazioni da visitare e mi porterei più di una macchina fotografica.

“La macchina fotografica che papà aveva noleggiato per me aveva solo 28 foto; non c’erano telefoni cellulari né Snapchat per catturare ogni immagine come si fa al giorno d’oggi”. La mamma mi ha letto di nuovo nel pensiero.

Il diritto di viaggiare

La Convenzione delle Nazioni Unite che garantisce la libertà di circolazione dichiara all’articolo 13:

“La libertà di movimento è un concetto di diritti umani che comprende il diritto delle persone di viaggiare da un luogo all’altro all’interno del territorio di un paese e di lasciare il paese e di tornarvi”.

Ai palestinesi di Gaza è impedito visitare la Palestina, o addirittura di pregare a Gerusalemme. E se sei abbastanza “fortunato” da avere il permesso di visita, dovrai essere ripetutamente “controllato”. Sebbene la mamma sia stata fortunata, lungo la strada si era sentita derubata della terra.

“La lunga strada verso la nostra destinazione era piena di cipressi e aranci, vaste aree si estendevano a perdita d’occhio. Per tutto il tempo mi dicevo: ‘Hanno rubato questa bellezza!'”, dice la mamma.

Annuisco mentre continua con le sue descrizioni.

Ho pensato a come un viaggio come quello sia uno dei sogni della mia vita: il viaggio lungo una strada, entrare in contatto con la natura, ascoltare la mia lista di canzoni preferite e cantare Sabbal Oyouno, Wein A’a Ramallah, Zareef AlToul.

Mi viene in mente una poesia di Susan Abulhawa, “Wala”:

Percorri

Il paese che ti hanno rubato

Semi fuori dalla tua finestra

E tu immagini

L’uomo che saresti stato

L’uomo che avresti dovuto essere

Là fuori

In una Palestina

Non stuprata

Non rubata

Se solo fossimo cresciuti in una Palestina non occupata. Se solo non chiamassimo “fortunati” i malati che si recano a Gerusalemme per le cure mediche. Se solo il proprietario terriero potesse visitare liberamente la terra.

Nella sua poesia “Gerusalemme”, Sara Ali definisce il soldato israeliano bianco europeo “fortunato” per essere rimasto a Gerusalemme.

A Gerusalemme, dove sarei una visitatrice con permesso.

Indovina un po’? Non puoi ottenere quel permesso a meno che tu non stia morendo o abbia più di 55 anni. . . se vivi fino a quell’età.

Poi, controllo la distanza tra Gaza e Jaffa, di dove sono originaria. Dista solo 175,9 km andata e ritorno, il che significa 2 ore e 18 minuti di macchina.

È umiliante e ingiusto essere così vicino alla città dei tuoi sogni, ma non poterla visitare. Ancora, come descrive Sara Ali in “Gerusalemme”:

Casa, per un momento sembra così vicina

Eppure così, così lontana

Gerusalemme

“Ci sono stati momenti in cui facevo colazione a Gaza,  andavo in autobus ad Haifa, pranzavo ad Haifa e cenavo a Jaffa”, commenta papà.

“E Gerusalemme?” Chiedo.

L’album fotografico di famiglia

“Per anni andavo ogni venerdì a Gerusalemme per pregare”, risponde papà eccitato.

Brontolando, la mamma dice: “Io ci sono andata solo una volta, dopo aver ottenuto il permesso di visitarla alla fine degli anni ’90. Avrei voluto visitarla di più”.

Gerusalemme non è così lontana da Gaza. Dista solo 78 km, un’ora e mezza di macchina. Tuttavia, agli abitanti di Gaza non è permesso pregare ad Al-Aqsa o mangiare un ka’k caldo di Gerusalemme.

La vivida descrizione della bellezza di Gerusalemme mi affascina ogni volta che i miei genitori iniziano a descriverla. Io e i miei fratelli guarderemmo e ascolteremmo per ore le loro storie.

“Vivere in una prigione a cielo aperto, privata della possibilità di vedere Gerusalemme per più di 22 anni, fa male. Soprattutto per una ragazza il cui hobby preferito è viaggiare, mentre non sono mai uscita dalla Striscia. Questa è una tragicommedia», mi lamento.

“Fa male anche quando lo visiti solo per lavoro. Niente relax” conclude papà.

“Almeno l’hai fatto, papà.” sussurro in silenzio.

Riprendo a guardare le foto,  ma i vecchi album fotografici cadono a terra. Penso che siano stufi di tutti i sentimenti di nostalgia, nostalgia e ancora nostalgia.

“Quds, vero zia?” chiede la piccola Sahar.

“Sì,” sorrido.

Adesso riconosce bene le foto di suo padre. E presto riconoscerà la sua patria. È ora che cominci a sentirne la mancanza.

Reem A. Hamadaqa è assistente didattica presso IUG, traduttrice e scrittrice, interessata a scrivere per e sulla Palestina.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org