A partire dagli inizi del XIV secolo, alcuni dipinti italiani presentano una scrittura delicata e scorrevole che a prima vista sembra essere araba. Uno sguardo più attento rivela che in realtà si tratta di uno script simulato.
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A cura degli editori dell’Enciclopedia Britannica
Immagine di copertina: Madonna col Bambino in trono di Gentile da Fabriano, tempera su tavola, c. 1420, 95,7 x 56,5 cm Per gentile concessione della National Gallery of Art, Washington, DC (Collezione Samuel H. Kress, 1939.1.255)
Nel Medioevo e nel Rinascimento, pittori e scultori incorporavano spesso iscrizioni nelle loro opere. Molte di queste erano testi leggibili in latino o in altre lingue europee, ma a volte i pittori si volgevano a est, prendendo in prestito le lingue della Terra Santa. L’arabo era particolarmente popolare, ma c’era un piccolo problema: prima del 16° secolo, quasi nessun europeo conosceva davvero la lingua. La soluzione? Arabo falso.
A partire dagli inizi del XIV secolo, alcuni dipinti italiani presentano una scrittura delicata e scorrevole che a prima vista sembra essere araba. Uno sguardo più attento rivela che in realtà si tratta di uno script simulato. Gli artisti stavano cercando di riprodurre la forma dell’arabo senza sapere effettivamente cosa stessero riproducendo. Avevano visto dei bei ghirigori, quindi hanno dipinto dei bei ghirigori. Gli storici dell’arte chiamano questo stile di ornamento pseudo-arabo o pseudo-kufico, sebbene quest’ultimo termine confonda, poiché il cufico è una scrittura pesante e angolare mentre le forme prodotte dagli artisti europei assomigliano alla scrittura curva thuluth.
Lo pseudo-arabo di solito appare nelle immagini religiose, spesso come una fascia inscritta sull’orlo di un indumento o nell’aureola di una figura sacra. Entrambe queste convenzioni derivano probabilmente da opere d’arte islamiche. Nei primi secoli della storia islamica, i governanti e altri individui in posizioni importanti avevano abiti speciali con bande di testo ricamate su di esse. Questi erano chiamati tiraz, da una parola persiana che significa “ornamento” o “abbellimento”. Nell’arte europea è comune vedere bande a tiraz sugli orli delle vesti della Sacra Famiglia, in particolare della Vergine Maria. Gli artisti compresero che un tale indumento indicava lo stato elevato di chi lo indossava, quindi lo presero in prestito dai califfi e dai loro entourage e lo collocarono sulle figure più importanti della cristianità. Che le versioni arabe di questi indumenti potessero includere iscrizioni religiose islamiche non sembra essere stato un problema. I disegni pseudo-arabi che spesso compaiono negli aloni dorati di angeli e di altre figure religiose potrebbero essere stati ispirati da oggetti in metallo intarsiato, come piatti e ciotole, che spesso presentavano iscrizioni circolari in arabo. I manufatti islamici in metallo (e molti altri tipi di opere d’arte portatili) giunsero in Europa in grandi quantità ad opera dei commercianti veneziani.
Perché gli artisti europei erano così interessati all’arabo? Una possibilità è che credessero erroneamente che l’arabo fosse la lingua del primo cristianesimo. Gli europei medievali erano consapevoli che il cristianesimo e la Bibbia provenivano dal Medio Oriente, ma erano confusi sui dettagli. I Cavalieri Templari, ad esempio, credevano che la Cupola della Roccia a Gerusalemme fosse il Tempio biblico di Salomone ma, in realtà, questa era stata costruita dal califfo omayyade Abd al-Malik ibn Marwan alla fine del VII secolo d.C. L’interno della Cupola della Roccia presenta in primo piano iscrizioni arabe, quindi i Cavalieri Templari non dovevano essere a conoscenza del fatto che la presenza dell’arabo nella regione risaliva solo al tempo della conquista islamica (intorno al 636 d.C.). Un’altra cosa da considerare è il ruolo che hanno svolto nella cultura dell’Europa tardo medievale e rinascimentale i beni di lusso importati dal mondo islamico, come tessuti, vetro, metalli e ceramiche. Questi oggetti finemente lavorati erano simboli di ricchezza e status. Incorporando ornamenti islamici nelle loro opere d’arte, gli artisti potevano onorare i personaggi religiosi che stavano raffigurando, pubblicizzando contemporaneamente la ricchezza e il buon gusto dei loro mecenati.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictpalestina.org