Europa. Parte oggi la raccolta di un milione di firme per chiedere alla Commissione un quadro normativo sul commercio con i territori occupati. Dagli insediamenti israeliani a quelli marocchini: l’Ice promossa da oltre cento organizzazioni è diretta a tutti i casi di colonizzazione nel mondo.
Chiara Cruciati Edizione Il Manifesto del 20.02.2022
Basta affari con le colonie, è tempo di regolamentare le transazioni commerciali dell’Europa con entità basate su territori illegalmente occupati secondo il diritto internazionale. Ovvero di impedire l’ingresso nei mercati dell’Unione dei prodotti provenienti da colonie, ovunque si trovino.
È partita oggi la raccolta firme, lunga un anno, con cui una rete di oltre cento organizzazioni non governative europee e internazionali, movimenti di base e sindacati chiede all’Unione europea coerenza.
Si chiama Ice, Iniziativa dei Cittadini europei, e non è una semplice petizione: se paragonata al sistema legislativo italiano, è una sorta di legge di iniziativa popolare.
Ovvero uno strumento di democrazia diretta con cui i cittadini dell’Unione possono muovere una proposta legislativa alla Commissione, in qualità di – si legge nel testo dell’Ice – «Guardiana dei Trattati» e dunque responsabile della «coerenza delle politiche dell’Unione e il rispetto dei diritti fondamentali».
A promuovere l’iniziativa è il Coordinamento europeo per la Palestina. Con un obiettivo importante: un milione di firme da raccogliere entro un anno in tutti i paesi della Ue (ognuno con una soglia da raggiungere, pena la non ammissibilità dell’intera Ice: per l’Italia un minimo di circa 55mila firme) perché la Commissione europea discuta del blocco dell’importazione e dello scambio di merci con tutti gli insediamenti illegali costruiti in territori occupati, da quelli israeliani nei Territori palestinesi a quelli marocchini nel Sahara occidentale.
Si chiede dunque di fornire un quadro normativo applicabile a tutte le occupazioni e non a casi specifici (per i quali si opera con sanzioni mirate), sulla base di quanto dettato dal diritto internazionale che considera la colonizzazione di un territorio occupato crimine di guerra.
«La Ue considera gli insediamenti illegali un ostacolo alla pace e alla stabilità internazionali. Nonostante ciò la Ue autorizza il commercio con tali entità. Un commercio che genera profitto dall’annessione e che contribuisce all’espansione di insediamenti illegali nel mondo», spiega la campagna.
Per l’Italia, tra i tanti promotori dell’iniziativa ci sono Cobas, Fiom-Cgil, Arci, Assopace Palestina, Cospe, Libera, Medicina democratica, New Weapons Research Group, Ebrei contro l’occupazione, Fondazione Basso, Upp, Cultura è Libertà. Potete trovare la lista completa, italiana e internazionale, su stopsettlements.org, dove da oggi ogni cittadino e cittadina italiani può depositare la propria firma.