Per i palestinesi in Cisgiordania, non si è di fronte a “un’ondata di terrore”, ma a un’eccezione

Sebbene l’opinione pubblica palestinese comprenda le motivazioni degli aggressori, la stragrande maggioranza di essi non sceglie questa strada, in quanto non porta avanti la loro causa, e ha delle riserve sul prendere di mira i civili. Ma la condanna? Che prima gli israeliani condannino la violenza che esercitano contro i palestinesi.

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Amira Hass – 2 aprile 2022

Immagine di copertina:  truppe israeliane si scontrano con palestinesi durante una caccia all’uomo nella città di Beit Jala, in Cisgiordania, il 6 febbraio 2020. (Wisam Hashlamoun/Flash90)

I tre atti di omicidio-suicidio perpetrati da quattro palestinesi in meno di due settimane da entrambi i lati della Linea Verde, evidenziano solo l’assenza di un organismo politico palestinese di primo piano che utilizzi un’unica strategia chiara e unificante. Gli attacchi riflettono divisioni interne e la dolorosa consapevolezza della debolezza e dell’incapacità palestinese di agire di fronte alla potenza di Israele. D’altra parte, il fatto che così pochi scelgano questa strada, nonostante la sua disponibilità, indica una più ampia comprensione politica del fatto che tali attacchi non promuovono la causa palestinese.

La stragrande maggioranza è contraria: sa che gli attacchi di “lupi solitari” spinti dalla disperazione o dalla vendetta non hanno, non sono e non realizzeranno nulla. Non cambieranno l’equilibrio di potere. Il pubblico palestinese in Cisgiordania lo capisce senza essere indirizzato dall’alto, senza un aperto discorso pubblico sull’argomento e mentre le sue organizzazioni politiche, principalmente quelle dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina e dell’Autorità Palestinese, sono al loro punto più basso in termini di potere e di fiducia del pubblico – e sono tra loro in conflitto e in competizione più che mai.

Ogni palestinese, su entrambi i lati della linea verde, ha molte ragioni per desiderare che gli israeliani provino dolore, perché sono loro e non solo il loro governo ad essere responsabili della loro difficile situazione. È probabile che questo fosse il desiderio dei quattro assassini suicidi, indipendentemente dal loro background, dalle circostanze familiari o dal carattere individuale. Gli israeliani sanno subito, poiché esiste un intero apparato che diffonde tali informazioni, quale aggressore era stato arrestato in precedenza, dopo quale attacco sono state distribuite caramelle e vicino a quale casa degli aggressori i giovani hanno festeggiato (con totale mancanza di rispetto per il dolore della famiglia). Ma gli israeliani, nel complesso, non sono interessati alla misura in cui Israele, e loro stessi in quanto suoi cittadini, hanno costantemente e per molti decenni danneggiato i palestinesi, come individui e come popolo.

Questo enorme divario tra conoscenza specifica e ostinata mancanza di conoscenza è sufficiente a spiegare perché il pubblico palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza è indifferente ai recenti attacchi individuali, siano essi commessi da cittadini israeliani o residenti in Cisgiordania, e non obbedisce alle  richieste israeliane di condannare gli omicidi. Ciò che è degno di nota non è che gli aggressori siano sfuggiti all’attenzione dello Shin Bet  ma che, nonostante la loro comprensione delle motivazioni degli assalitori, la stragrande maggioranza dei palestinesi non sceglie di intraprendere questa strada.

Migliaia di palestinesi senza permesso di lavoro entrano apertamente in Israele ogni giorno attraverso i molteplici varchi nel muro di separazione. Questo va avanti da anni, con la piena conoscenza dell’esercito e della polizia. Come tutti sanno, ci sono armi e munizioni in abbondanza tra i palestinesi in Israele e in Cisgiordania. Questi due fatti avrebbero potuto generare molti altri attacchi di vendetta da parte di individui che non potevano essere scoperti in anticipo, attacchi compiuti sia da cittadini palestinesi di Israele che da residenti in Cisgiordania. Anche se nelle prossime settimane dovessero esserci imitazioni, come è avvenuto con l’attacco con il cacciavite di giovedì, per i palestinesi il numero di questi attacchi impallidisce rispetto all’entità dell’ingiustizia inflitta loro da Israele e alla sua natura sistematica.

Ogni palestinese ha buone ragioni per desiderare di infrangere la falsa normalità di cui godono i cittadini ebrei, che in generale ignorano il fatto che il loro stato agisce instancabilmente, giorno e notte, per espropriare sempre più palestinesi dalle loro terre e dai loro diritti storici e collettivi come popolo e società. Per raggiungere questo obiettivo, Israele mantiene un continuo regime di oppressione. Ciò include la violenza burocratica come i divieti di costruzione, di sviluppo e di  movimento che discriminano i palestinesi a favore degli ebrei, nel Negev, in Galilea e in Cisgiordania; la violenza disciplinare attraverso la sorveglianza, le incursioni notturne e gli arresti; le violenze fisiche come le torture durante gli interrogatori e la detenzione, gli attacchi regolari da parte dei coloni e le  lesioni e la morte per mano principalmente di soldati e poliziotti, ma anche per mano di civili israeliani. Il fatto che gli autori siano lo Stato, le sue istituzioni e i cittadini, non rende questa violenza accettabile, legittima o giustificata agli occhi dei palestinesi, che costituiscono metà della popolazione che vive tra il fiume Giordano e il Mediterraneo.

Anzi. La natura meticolosamente pianificata di questa violenza e il numero infinito di israeliani che vi prendono parte danno ai palestinesi un diverso senso delle proporzioni quando l’azione violenta viene intrapresa dai loro compatrioti. Quella che è considerata un'”ondata di terrore” dagli ebrei israeliani è vista dai palestinesi come un’eccezione, composta da pochi giovani che si sono stufati dell’impotenza di tutti, compresi sè stessi, scegliendo invece di uccidere e morire. Per le stesse ragioni, molti più giovani diventano dipendenti da antidolorifici e altri farmaci, oppure seguono i propri sogni ed emigrano.

In conversazioni private, i palestinesi in Cisgiordania e a Gaza esprimono dolore per la morte di civili. Sembra che gli attacchi con il coltello e l’omicidio di donne e anziani, come accaduto a Be’er Sheva, siano più scioccanti degli spari contro i passanti che includono poliziotti e soldati in uniforme. Alcune persone sottolineano il fatto che gli assalitori ad Hadera hanno sparato solo contro gli agenti della polizia di frontiera e, secondo testimoni israeliani, hanno deliberatamente evitato di sparare contro donne e bambini. In un rapporto in arabo, questa distinzione tra persone in uniforme e civili è attribuita – per errore o apposta, chi può dirlo – all’aggressore a Bnei Brak, anche se questi ha sparato indiscriminatamente contro i civili.

Per vari motivi, il dolore e le riserve personali non si traducono in condanna pubblica (tranne Mahmoud Abbas, che è così impopolare che la sua opinione non conta). Innanzitutto perché gli attacchi del “lupo solitario” non rappresentano il grande pubblico, che non ne è responsabile, ma anche perché l’uso delle armi ha un’aura di santità e legittimità storica difficile da scrollarsi di dosso. In secondo luogo, nasce dalla compassione istintiva per un palestinese che ha scelto di essere ucciso. Terzo, non vi è alcuna condanna pubblica da parte di Israele dopo ogni atto di violenza da parte dello stato o da parte di elementi ufficiali o privati ​​contro i palestinesi. Una condanna palestinese appare come un disprezzo quasi collaborazionista per l’equilibrio di un potere così diseguale.

L’apparenza della normalità israeliana potrebbe essersi incrinata per alcuni giorni, espressa come isteria e paura alimentate dai media israeliani e da Hamas, dalla Jihad islamica e da Hezbollah, che lodano questi attacchi per le loro ragioni politiche utilitaristiche.  Non volendo offendere le famiglie degli aggressori uccisi, anche le persone consapevoli dell’inutilità e dell’inefficacia di tali atti di disperazione e vendetta non lo affermano pubblicamente. In ogni caso, gli attacchi dei coloni e dell’esercito e l’istigazione di destra contro tutti gli arabi perpetrati subito dopo gli attacchi del lupo solitario hanno attirato l’attenzione della gente.

Nonostante il tradizionale sostegno emotivo alla resistenza armata, la stragrande maggioranza dei palestinesi sa che per ora, anche se questa tipologia di  lotta riprendesse (e non solo dai singoli) e anche se fosse meglio pianificata rispetto alla Seconda Intifada, essa non può sconfiggere Israele o migliorare la sorte dei palestinesi. Proprio come la diplomazia, il movimento BDS e le sanguinose dimostrazioni a Beita e Kafr Qaddum non sono riuscite e non stanno riuscendo a bloccare la costante e quotidiana acquisizione dello spazio da parte degli israeliani e l’espulsione dei palestinesi che continuano ad  essere spinti in enclavi sovraffollate che possono essere accerchiate in un attimo da un pugno di soldati.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org