La Linea Verde ha fallito. Cosa succederà ora?

Mentre i capisaldi del regime di separazione israeliano si sgretolano, gli israeliani devono scegliere: espulsione di massa, Apartheid formalizzato o piena uguaglianza per tutti.

Fonte: english version
Di Meron Rapoport – 1 aprile 2022
Immagine di copertina: Giovani palestinesi aprono un cancello del muro di separazione durante una manifestazione che celebra i 12 anni di lotta contro l’occupazione nel villaggio di Bil’in, in Cisgiordania, il 17 febbraio 2017. (Oren Ziv)

Non conosciamo ancora il reale motivo che ha spinto gli aggressori di Be’er Sheva, Hadera e Bnei Brak a commettere i loro atti omicidi nell’ultima settimana. Dopo aver ucciso undici persone, sia civili che agenti di polizia, sono stati neutralizzati dalle forze di sicurezza israeliane senza lasciare un messaggio chiaro. I messaggi di favore da parte di Hamas e della Jihad islamica hanno collegato le uccisioni al “Vertice del Negev” tenutosi la scorsa settimana, che includeva rappresentanti dei Paesi arabi che hanno normalizzato le relazioni con Israele dopo gli Accordi di Abramo.

L’incontro è stato etichettato come il “Vertice del Male” da alcuni media palestinesi, in quanto apparentemente mirava a dimostrare che la questione palestinese non è più rilevante e che Israele può vivere in pace a fianco del mondo arabo mantenendo un regime di Apartheid e occupazione militare. Gli attacchi della scorsa settimana ci hanno ricordato che questa è poco più che un’illusione.

Gli attacchi si intersecano anche con un altro evento non meno degno di nota. In questi giorni, i media israeliani stanno commemorando i vent’anni dall’Operazione Scudo Difensivo. Si può anche dire che i media stiano celebrando l’anniversario, dal momento che segna la presunta vittoria di Israele nella Seconda Intifada, il momento in cui l’esercito israeliano ha rioccupato le città palestinesi in Cisgiordania e ha in gran parte posto fine ai violenti attacchi che hanno fatto oltre 650 vittime israeliane nel 2001-2002. Ci sono voluti altri tre sanguinosi anni prima che la Seconda Intifada finisse davvero, e Scudo Difensivo ha avuto molto meno successo di quanto la gente voglia affermare, ma non c’è dubbio che sia stato un punto di svolta in quegli anni.

Persone in lutto Haredi seppelliscono una delle vittime dell’attacco nella città di Bnei Brak da parte di un uomo armato palestinese, 30 marzo 2022. (Oren Ziv)

Due decenni dopo, gli attacchi a Be’er Sheva, Hadera, Bnei Brak e chissà dove altro, ci ricordano che gran parte di ciò che affliggeva questo Paese allora rimane ancora oggi. L’Operazione Scudo Difensivo non ha potuto “porre fine” a nulla per un semplice motivo: questo conflitto non può essere risolto con la forza delle armi e tutta la potenza militare di Israele non gli garantirà mai la pace finché occuperà e negherà i diritti fondamentali a un altro popolo.

Eppure, Israele e i palestinesi sono in un posizione diversa rispetto a venti anni fa. L’Operazione Scudo Difensivo si basava sull’idea che il conflitto israelo-palestinese potesse essere diviso in “qui”, all’interno di Israele e “là”, le città palestinesi dove operano gruppi armati come Fatah e Hamas. Ma quella nave è salpata da tempo. Le città palestinesi sono sotto occupazione, con soldati israeliani e agenti dello Shin Bet che entrano ed escono regolarmente per arrestare militanti e attivisti politici, così come coloro che sono completamente estranei. La doppia Linea Verde tra “qui” e “là” è completamente inesistente.

Non si tratta di sicurezza

Uno dei progetti centrali dell’era di Netanyahu era la cancellazione della Linea Verde, l’espansione e la normalizzazione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e la creazione di una “pace economica” con e per i palestinesi. Le politiche di Netanyahu, ovviamente, non hanno portato la pace, ma la Linea Verde è stata sicuramente cancellata.

La genealogia della barriera di separazione faceva parte di questo processo. La costruzione del muro e della recinzione iniziò al culmine della Seconda Intifada e fu l’espressione più chiara del vecchio modello della separazione. Israele starebbe da una parte, i palestinesi dall’altra. Politici, funzionari della sicurezza e la maggior parte degli ebrei israeliani erano convinti che fosse la barriera a fermare gli attentati suicidi e le sparatorie della Seconda Intifada.

Ma chi conosce la realtà può dirvi che la funzione principale della barriera allora come oggi è psicologica; è lì per segnare un confine nella coscienza ebraico-israeliana, più che per fungere da vero ostacolo fisico per i palestinesi. Centinaia di migliaia di coloni la attraversano ogni giorno. Ci sembra normale, ma è chiaro che è impossibile creare un vero ostacolo in una realtà del genere. Se ricordiamo che decine di migliaia di cittadini palestinesi di Israele che ogni settimana attraversano la barriera verso la Cisgiordania per lo shopping, il tempo libero e lo studio, iniziamo a capire che la separazione non esiste veramente.

Lavoratori palestinesi entrano in Israele attraverso una breccia nella barriera di sicurezza vicino alla città di Hebron, in Cisgiordania, 25 luglio 2021. (Wisam Hashlamoun/Flash90)

I palestinesi residenti in Cisgiordania non godono della stessa libertà di movimento, ma anche per loro il muro non è un ostacolo insormontabile. Più di 100.000 lavoratori palestinesi con permessi, e diverse decine di migliaia di lavoratori senza permesso, attraversano ogni giorno la recinzione per lavorare in Israele. A volte dormono persino in Israele e tornano in Cisgiordania dopo pochi giorni.

Se aggiungiamo i 400.000 palestinesi di Gerusalemme Est con carte d’identità blu, sembra che quasi mezzo milione di palestinesi dei territori occupati risiedano o possano rimanere in Israele. Se non ci sono stati quasi attacchi terroristici, non è stato perché la barriera li ha fermati.

Come ha scritto nel 2020 Ameer Fakhoury, cittadino palestinese di Israele e responsabile del Centro di Ricerca per la Pace di Wahat al-Salam-Neve Shalom, piuttosto che creare separazione, Israele ha effettivamente “inghiottito” i palestinesi. Dopo gli attacchi a Be’er Sheva e Hadera e prima dell’attacco a Bnei Brak, Menachem Klein, membro della Facoltà del Dipartimento di Scienze Politiche presso l’Università di Bar-Ilan in Israele, ha scritto in Local Call che “l’annessione de facto della Cisgiordania a Israele e la creazione di un regime tra il fiume e il mare, hanno tutti trasformato la questione palestinese da una questione di politica estera a una che riguarda il regime interno di Israele”.

Tra uguaglianza ed espulsione di massa

Le implicazioni politiche di questa realtà sono enormi. Nel maggio 2021 abbiamo visto i palestinesi, a loro volta, cancellare, o almeno ignorare, la Linea Verde; i palestinesi di Lydd hanno risposto alle violenze a Sheikh Jarrah, Gaza ha risposto a Lydd, la Cisgiordania ha risposto a Gaza e così via. All’epoca, Amjad Iraqi di +972 Magazine scrisse che, sebbene questa non fosse la prima volta che le manifestazioni coinvolgevano i palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde, “qualsiasi palestinese che ha assistito alle proteste in corso o ha seguito le notizie dall’estero non può fare a meno di percepire che questa onda è diversa dalle altre. La cancellazione della Linea Verde ha svolto un ruolo significativo in questo sviluppo.

Dopo le violenze del maggio 2021, e soprattutto dopo l’instaurazione di un governo che include il Partito Islamista Ra’am, la destra israeliana ha spostato la sua attenzione. Invece di parlare di annessione ed espansione, sta guardando verso l’interno, contrassegnando i cittadini palestinesi di Israele come un nemico interno. Il “fronte interno” nelle cosiddette città miste israeliane non è meno importante degli insediamenti e degli avamposti della Cisgiordania.


 I residenti palestinesi di Lyd proteggono una moschea locale durante gli scontri con agenti di Polizia di Frontiera e coloni estremisti, 13 maggio 2021. (Oren Ziv)

Questo perché la destra ha capito che minare la separazione tra ebrei e palestinesi e il rafforzamento degli spazi condivisi potrebbe, un giorno, portare alla democratizzazione di Israele-Palestina. Temendo la perdita della supremazia ebraica, la destra ha cercato di provocare un confronto deliberato tra lo Stato e i cittadini palestinesi. L’incitamento orchestrato contro i beduini nel Naqab/Negev, compreso l’insediamento di una milizia armata nell’area, fa parte di questo processo.

Non possiamo dire con certezza che gli ultimi tre attacchi siano il risultato del dissolvimento della Linea Verde. Ma hanno certamente rafforzato il dilemma che Israele stesso ha creato annullandolo e cancellando ogni differenza tra “qui” e “là”. Se la questione palestinese è diventata interna, come scrive Klein, il nemico esterno di Israele scompare. Dopotutto, non si possono rioccupare Umm al-Fahm o Hura nel Naqab: sono sotto il controllo di Israele da 74 anni. Si possono inviare agenti sotto copertura a Jenin, ma tutti sanno che questo non ci avvicinerà a una soluzione.

Se il problema è davvero interno, richiederà una soluzione interna, che è molto più complessa dell’invasione di Ramallah o del bombardamento di Gaza. In questa situazione, ci sono due opzioni: stabilire un regime basato sull’uguaglianza, il partenariato e la riconciliazione tra tutti coloro che vivono tra il fiume e il mare; o formalizzare l’Apartheid, e forse qualcosa di peggio, in ogni angolo del Paese. Le vecchie soluzioni di vittorie militari o di “gestione” e “riduzione” del conflitto stanno rapidamente diventando irrilevanti.

Non c’è dubbio che ciò che abbiamo visto nell’ultima settimana vira fortemente verso la formalizzazione dell’Apartheid, con alcune città israeliane che hanno deciso di non impiegare più palestinesi, sia dalla Cisgiordania che all’interno di Israele.

Centinaia di cittadini palestinesi di Israele protestano nella città di Jaffa in solidarietà con Sheikh Jarrah e Gaza, 15 maggio 2021. (Oren Ziv/Activestills

Sul tavolo c’è anche l’espulsione di massa, ciò che gli israeliani chiamano “trasferimento”. Uzi Dayan, che fino a poco tempo fa era un parlamentare del Likud, ha detto all’emittente di estrema destra Channel 14 che “se arriviamo a una guerra civile, finirà con un’altra Nakba, è una specie di  guerra di indipendenza, e dobbiamo portarla a termine”. È particolarmente interessante che queste parole provengano da Dayan, che come capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale è stato uno dei padri della barriera di separazione. Nel 2002 credeva che la separazione avrebbe portato a una soluzione; oggi crede che per raggiungere una soluzione i palestinesi debbano essere rimossi completamente. Proprio come nel 1948.

Questo è un momento estremamente pericoloso e, anche se non si conclude con una seconda Nakba o con un’espulsione di massa, potrebbe portare a violenze omicide che toglieranno indiscriminatamente la vita a palestinesi ed ebrei.

Eppure c’è ancora spazio per l’ottimismo. L’ingresso dei cittadini palestinesi nel gioco politico in Israele, il crescente riconoscimento da parte del centrosinistra ebraico della necessità di una collaborazione con i palestinesi, l’espansione e il rafforzamento degli spazi condivisi: tutto ciò potrebbe costituire una base per un fronte di resistenza all’incitamento e alle minacce di espulsione. L’attuale momento è delicato e pericoloso, ma la battaglia, per le nostre vite e per il nostro futuro di ebrei e palestinesi, deve ancora essere decisa.

Meron Rapoport è un editore di Local Call

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org