Un nuovo movimento sta portando un modello innovativo nella lotta per i diritti dei gruppi più invisibili ed emarginati della società israeliana. Riuscirà ad avere successo?
Fonte: english version
Di Ben Reiff 12 aprile 2022
Immagine di copertina:attiviste di Shovrot Kirot davanti alle rovine del quartiere di Givat Alam nel nord di Tel Aviv e del condominio di lusso costruito sal suo posto. Aprile 2021 (OrenZiv)
Sapir Sluzker Amran stava ancora lavorando come avvocato a tempo pieno quando incontrò Dalal Daoud per la prima volta. Era il novembre 2018 e, come ogni anno, Sluzker Amran stava cercando un modo significativo per celebrare l’imminente Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
A quel tempo, Daoud, una cittadina palestinese di Israele, stava scontando una condanna a 25 anni nell’unico carcere femminile di Israele, Neve Tirtza, per aver ucciso suo marito che l’aveva ripetutamente abusata, violentata e tenuta incatenata in casa. Dopo aver appreso la storia di Daoud e averle parlato al telefono, Sluzker Amran decise: quell’anno avrebbe raccolto dei soldi per Daoud, da spendere nello spaccio della prigione, per dimostrarle che all’esterno vi erano donne a cui importava di lei.
Quando visitò Daoud per la prima volta però Sluzker Amran capì che i soldi per lo spaccio erano solo l’inizio della loro relazione. Decise di lanciare una campagna per il rilascio di Daoud, riducendo il suo orario di lavoro in modo da poter dedicare un giorno alla settimana a coordinarla.
“Un piccolo gruppo di donne e alcune organizzazioni si unirono alla campagna e tutto fu pianificato insieme a Dalal”, dice Sluzker Amran a +972 Magazine. La campagna combinò la protesta sul campo con un’attività diffusa sui social media e la copertura mediatica tradizionale, insieme al lobbismo alla Knesset, cercando di rifocalizzare la narrativa sulla resilienza e sulla capacità di Dalal di sopravvivere in una situazione impossibile.
Funzionò. Dopo diversi mesi di campagna, Daoud fu rilasciata sulla parola nel giugno 2019. Oltre a trasformare la vita di Daoud, il successo della campagna si rivelò un momento cruciale per Sluzker Amran, dopo quasi un decennio di tentativi per bilanciare il suo attivismo radicale con la sua carriera legale. “Il giorno in cui [Daoud] fu rilasciata, decisi di lasciare il mio lavoro di avvocato perché vidi che questo era più efficace”, dice.
Armata di una formula per il successo, Sluzker Amran non aveva ancora i mezzi per mettere in atto quella formula su scala più ampia. Ciò di cui aveva bisogno era un movimento e sapeva esattamente a chi rivolgersi per aiutarla a realizzarlo: la sua compagna di attivismo di lunga data, Carmen Elmakiyes Amos. Per diversi anni la coppia era stata attiva in una serie di lotte relative alla povertà e all’edilizia popolare, e portare il loro attivismo “un passo avanti, verso qualcosa di più organizzato”, era un loro sogno condiviso, afferma Elmakiyes Amos.
E così, alla fine del 2019 nacque un nuovo movimento: “Shovrot Kirot” (in ebraico “Breaking Walls, in forma femminile).
Il nome del movimento rende omaggio a una poesia di Vicki Shiran – una delle madri fondatrici del femminismo mizrahi (Mizrahi significa ebrei immigrati in Israele da paesi arabi o musulmani) che racconta la storia di una donna mizrahi della periferia che vuole fuggire dalle mura che la imprigionano e vola in cielo. Il nome è anche inteso come un rimprovero al femminismo “liberale” tradizionale, accusato di aver trascurato il razzismo e le difficoltà finanziarie vissute da molte donne non bianche.
“Le femministe liberali parlano sempre di “rompere il soffitto di vetro” e di celebrare donne privilegiate che dovrebbero essere la nostra ispirazione”, afferma Sluzker Amran. “Noi parliamo di donne che devono rompere i muri prima ancora di poter rompere il soffitto di vetro: le donne che non hanno nemmeno una casa, o che non hanno i soldi per pagare l’elettricità, o che sono preoccupate che il loro marito le uccida. Queste sono le leader più stimolanti che abbiamo”.
“Volevamo che le persone parlassero di questioni meno sexy”
La storia di Sluzker Amran ed Elmakiyes Amos inizia più di un decennio fa, nell’estate del 2011. Le proteste israeliane per la “giustizia sociale” occupavano il lussuoso Rothschild Boulevard di Tel Aviv, l’apice del distretto finanziario della città, e si stavano rapidamente diffondendo in tutto il paese. Centinaia di migliaia di persone erano scese in strada e aveva piantato tende in risposta alla scarsità di alloggi e all’impennata del costo della vita nel paese, esprimendo il grido ampio ma unificante ispirato dalla Primavera araba: “Il popolo chiede giustizia sociale!”
Per Sluzker Amran, che all’epoca aveva 20 anni, l’ondata di proteste fu l’inizio del suo viaggio nell’attivismo: dopo aver letto delle manifestazioni, decise di dirigersi verso la prima tenda sul Rothschild Boulevard per prendervi parte. Ma invece di incontrare un movimento radicale che cercava di alleviare le terribili condizioni economiche dei settori più emarginati della società, trovò una folla di attivisti ashkenaziti, per lo più della classe media, preoccupati prima di tutto di abbassare il prezzo dell’affitto a Tel Aviv. Non trovando ispirazione, tornò a casa.
In quell’accampamento di protesta mancava il riconoscimento del fatto che non tutti gli israeliani sperimentavano lo stesso livello di difficoltà finanziarie. Per decenni, i mizrahim hanno subito discriminazione ed emarginazione per mano dell’establishment ashkenazita-sionista, andando a formare una sottoclasse etnica all’interno della società ebraico-israeliana. I mizrahim hanno resistito alla loro oppressione sin dall’istituzione dello stato: dalle rivolte nei ma’abarot [campi di transito] all’inizio degli anni ’50, alla ribellione nel quartiere di Wadi Salib di Haifa nel 1959, alle proteste delle Pantere Nere all’inizio degli anni ’70. Ma la lotta per un’equa redistribuzione delle risorse del Paese e il riconoscimento delle passate ingiustizie persiste ancora oggi.
Mentre le proteste del 2011 continuavano a crescere, Sluzker Amran tornò con la sua tenda e trovò una folla diversa nel cosiddetto accampamento di tende “No Choice”, costituito da coloro che non avevano mezzi o accesso a qualsiasi forma di alloggio e con il quale sentiva più affinità. “Invece di stare con gli studenti o le persone della mia età, mi ritrovai in connessione con i senzatetto, le madri single e coloro che erano appena stati rilasciati dal carcere e avevano bisogno di trovare un posto dove vivere”, dice. Da lì, Sluzker Amran trovò la strada verso gli accampamenti di protesta paralleli che si erano formati nei quartieri generalmente più poveri e prevalentemente Mizrahi del sud di Tel Aviv, dove un amico comune la mise in contatto con Elmakiyes Amos.
Si rivelò uno dei tanti incontri fatali tra attivisti mizrahi nel mezzo dell’esplosione delle organizzazioni di base di quell’estate, unite dalla loro insoddisfazione per la visione limitata degli accampamenti di protesta tradizionali. “Volevamo che le persone parlassero anche della povertà, di alloggi pubblici, di sussidi per i figli e di tutti i tipi di questioni meno “sexy””, afferma Elmakiyes Amos. Una sera lei e un gruppo di altri attivisti si sedettero insieme e decisero di fondare un nuovo movimento chiamato “Lo Nechmadim/Lo Nechmadot” (“poco carino” in maschile e femminile, rifacendosi ironicamente alla descrizione che l’allora Primo Ministro Golda Meir aveva fatto delle Black Panthers da lei incontrate negli anni ’70).
Da allora in poi, per diversi anni e molto tempo dopo che le proteste tradizionali del 2011 si erano placate, Lo Nechmadim/Lo Nechmadot, insieme a una serie di altri movimenti e organizzazioni di base, ha continuato a condurre un’infaticabile lotta per l’edilizia popolare in Israele. I gruppi portavano le loro manifestazioni direttamente davanti alle case dei ministri di gabinetto; a loro avviso, le case private dei funzionari eletti diventavano un luogo legittimo di protesta pubblica quando quei politici erano responsabili dello sfratto di altre persone dalle proprie case. Tuttavia, frustrate dal non riuscire ad ottenere risultati consistenti nonostante gli sforzi congiunti, si resero conto che “il modo in cui ci stavamo organizzando era sì fantastico per quei tempi, ma che c’era ormai bisogno di qualcos’altro”.
Un nuovo modello di attivismo
Riflettendo sulle loro esperienze nelle ONG e non essendo riuscite a realizzare il tipo di cambiamento che desideravano nella società israeliana, Sluzker Amran ed Elmakiyes Amos identificarono un problema sistemico che chiamano il “triangolo delle ONG”. C’è una separazione totale, sostengono, tra gli “esperti” che lavorano professionalmente nelle organizzazioni per i diritti umani, i loro “clienti” nelle comunità emarginate, che spesso diventano dipendenti dal sostegno delle ONG, e quelli che finanziano il lavoro delle ONG, di solito grandi fondazioni internazionali, ricchi donatori stranieri o persino governi stranieri.
Il modello di Shovrot Kirot, al contrario, mira a comprimere queste tre categorie separate in una: gli stessi “clienti” sono in prima linea nella lotta per i loro diritti e il loro finanziamento proviene principalmente da piccole donazioni che consentono al movimento di mantenere la sua indipendenza. “Coloro che hanno svolto questo tipo di lavoro sanno esattamente quanto sia importante questa libertà”, afferma Elmakiyes Amos. In poco più di due anni il modello si sta già mostrando vincente: “Vediamo donne che solo un anno o due fa stavamo aiutando, diventare partner del movimento – sia come donatrici che come attiviste – una volta che riescono a sollevare la testa fuori dall’acqua”, aggiunge.
Daoud ne è un ottimo esempio. Dopo essere stata rilasciata dal carcere, è entrata a far parte di Shovrot Kirot come attivista e ora guida una “comunità” (termine del movimento per un gruppo di attivisti che si dedica a una lotta specifica) che si occupa di carcerazione e riabilitazione, in particolare delle donne. “La gente che sta fuori non ha idea di cosa succede in prigione”, dice Daoud a +972. “Io ora so come aiutare le persone quando sono dentro e dopo che sono state rilasciate, in termini di denaro, assistenza e supporto. Ci sono cose fondamentali che possiamo fare per aiutarle a ricominciare la loro vita ed essere indipendenti. Il mio obiettivo è che nessuno debba passare quello che ho passato io”.
Tuttavia, come ci si poteva aspettare, l’aspirazione a sostenere il movimento principalmente attraverso piccole donazioni si sta rivelando impegnativa. Elmakiyes Amos spiega che è particolarmente difficile raccogliere fondi per questo tipo di lavoro, perché poche persone, oltre a coloro che sono direttamente interessati da questi problemi – gli inquilini delle case popolari, coloro che non possono permettersi la bolletta dell’elettricità, gli ex carcerati – sono spinte a fare qualcosa al riguardo. Lo scoppio della pandemia di Covid-19 poco dopo l’istituzione del movimento ha ulteriormente esacerbato questo problema. “Per ora sopravviviamo, ma dobbiamo incrementare il nostro budget mensile di piccole donazioni, altrimenti semplicemente non saremo in grado di continuare”, avverte.
“Il tema delle donne che vivono in povertà, in particolare delle donne mizrahi o etiopi, davvero non interessa la maggior parte delle persone”, continua Elmakiyes Amos. “Per molti che si professano attivisti per i diritti umani sembra che sia meno comodo affrontare i nostri problemi e le nostre popolazioni. È davvero difficile convincere le persone a capire perché cose come la povertà, il diritto all’alloggio e il diritto all’elettricità sono una parte inseparabile della lotta per i diritti umani in Israele e perché questi problemi non sono meno importanti della lotta contro l’occupazione e la lotta per la democrazia. Quelle lotte sono importanti, ma ce ne sono altre che sono completamente invisibili”.
‘La politica degli sfratti è violenza contro le donne’
Seguendo le orme di Lo Nechmadim/Lo Nechmadot e di altri movimenti che l’hanno preceduto, la lotta per l’edilizia popolare rimane un’area centrale di interesse per Shovrot Kirot. Oltre 30.000 famiglie in Israele sono attualmente nella lista d’attesa del governo per tali alloggi, mentre altre migliaia non sono nemmeno idonee a presentare domanda a causa dei severi criteri richiesti. E poiché le donne povere mizrahi tendono ad essere maggiormente sfruttate da questo sistema, è una lotta con un carattere spiccatamente mizrahi e femminista.
Oltre alla mancanza di alloggi pubblici e all’estrema difficoltà ad accedervi, gli inquilini che riescono ad ottenerli hanno scarsa possibilità di ricorso nel caso le autorità decidano di sfrattarli, creando una situazione di vita altamente precaria. Negli ultimi anni, il quartiere di Givat Amal nel nord di Tel Aviv è diventato un potente simbolo di un sistema difettoso e della lotta per la giustizia, una lotta alla quale Shovrot Kirot ha portato ancora una volta il suo modello organizzativo.
“Nel 2011, le persone scesero in strada perché sentivano che lo Stato era stato loro negato”, afferma Ronit Aldouby, un membro del comitato d’azione di Givat Amal che ha vissuto nel quartiere fino a quando i suoi ultimi residenti sono stati sgomberati con la forza nel novembre 2021 e le loro case rase al suolo. “Ci siamo uniti alle proteste anche quell’estate, ma la differenza è che a Givat Amal non abbiamo mai sentito che lo Stato fosse con noi “.
La storia di Givat Amal è una storia di sfruttamento, abbandono e promesse non mantenute. Originariamente fondato nel 1947 da un’istituzione sionista ashkenazita che considerava i Mizrahim come “materiale umano” per la colonizzazione della Palestina, i primi residenti ebrei di Givat Amal si stabilirono lì per impedire il ritorno dei profughi palestinesi dal villaggio di al-Jammasin al-Gharbi. Alle famiglie Mizrahi, tuttavia, fu impedito di possedere formalmente le proprietà in cui erano state trasferite.
Nonostante le molteplici promesse che i residenti di Givat Amal non sarebbero stati sfrattati senza il pieno risarcimento e il ricollocamento, la terra è stata ripetutamente venduta da sotto i loro piedi fino a quando nel 2005 l’attuale proprietario, il magnate immobiliare Yitzhak Tshuva, ottenne l’approvazione del suo progetto di sviluppo su larga scala che rese il loro sfratto inevitabile. Prima dello sfratto delle ultime famiglie rimaste, la lotta condotta dai residenti ha finalmente prodotto un pacchetto di risarcimenti governativi accettabile per i residenti, ma i fondi sono trattenuti presso l’ufficio del ministro della Giustizia Gideon Sa’ar (il cui partito New Hope detiene attualmente anche il Ministero dell’edilizia abitativa).
Shovrot Kirot ha svolto un ruolo chiave in quella che Aldouby descrive come la “lotta di Sisifo” dei residenti sin dalla fondazione del gruppo nel 2019, anche se i suoi fondatori e attivisti sono stati coinvolti dal 2014, anno in cui circa 80 famiglie furono sfrattate dal quartiere. “Quell’anno abbiamo combattuto una guerra per fermare gli sgomberi e Carmen e Sapir sono state presenti in tutte le proteste. C’erano anche loro durante gli sgomberi e Sapir è stata arrestata durante una di queste proteste.
In una protesta co-organizzata da Shovrot Kirot all’inizio di febbraio per chiedere giustizia per i residenti sfrattati del quartiere, circa 100 attivisti hanno bloccato il trafficato incrocio che separa Givat Amal dall’appartamento di Gideon Sa’ar – che, per un crudele scherzo del destino, si affaccia su quelle che oggi sono le rovine del quartiere. Tenendo in mano cartelli, megafoni e tamburi, e seguiti da una dozzina di agenti di polizia, gli attivisti hanno gridato “Governo criminale, basta con gli sfratti!” e “Non rinunceremo al risarcimento!” All’ingresso di Givat Amal, accanto ad alcune dozzine di lumini che erano stati disposti sul pavimento per scrivere “Non perdoneremo”, c’era un cartello vergato a mano con il nome di Shovrot Kirot, che diceva “Una politica di sfratto è violenza contro le donne. ”
Sebbene i residenti stiano ancora aspettando il risarcimento promesso, il fatto stesso di aver forzato la mano al governo è un risultato che dà loro qualcosa a cui aggrapparsi mentre la lotta continua. Anche la diversificazione delle tattiche sperimentata da Shovrot Kirot, in particolare la decisione di concentrarsi sull’arena legislativa insieme alle proteste sul campo e alla creazione di supporto attraverso i media nuovi e tradizionali, ha avuto un suo ruolo.
“Carmen e Sapir partecipano e portano altri attivisti a tutte le discussioni alla Knesset”, dice Aldouby. “Sono anche nel gruppo Whatsapp del team della campagna elettorale del quartiere, ricevono tutti gli aggiornamenti e pensano con a noi a ciò che deve essere fatto. Sono con noi in ogni fase e in ogni decisione”.
Connettere le lotte
Nonostante si definisca un movimento femminista Mizrahi, la natura del lavoro di Shovrot Kirot consente connessioni tra la lotta Mizrahi e le lotte di altre comunità oppresse in Israele, compresi i cittadini palestinesi. Negli ultimi mesi il movimento è stato sempre più attivo a Jaffa, dove un aggressivo processo di gentrificazione sta mettendo a dura prova la popolazione palestinese rimasta in città dopo la Nakba. Anche in questo caso, le madri single soffrono maggiormente della mancanza di investimenti nell’edilizia popolare da parte dello Stato e del comune.
Nel novembre 2021, la stessa settimana in cui gli ultimi residenti di Givat Amal sono stati cacciati dalle loro case, Farida Najar, una madre single palestinese che era in lista d’attesa per le case popolari da quattro anni, decise di piantare una tenda in un parco di Jaffa insieme ai suoi quattro figli. Najar venne presto raggiunta da altre otto madri e dai loro figli, che riempirono il parco di tende per protestare contro l’incapacità del comune di Tel Aviv-Jaffa di fornire soluzioni alla loro situazione, e con l’intenzione di rimanervi fino a quando non fosse stato raggiunto un compromesso.
Ohad Amar, un avvocato per i diritti sociali e membro del consiglio di amministrazione di Shovrot Kirot, visitò il parco per incontrare le madri e iniziò subito a organizzare assistenza legale per le donne. “Quando parlai con loro, capii che nessuna di quelle donne godeva di pieni diritti in termini di sicurezza sociale o alloggio, nessuna aveva un avvocato o qualcuno che le aiutasse a richiedere i loro diritti”, dice a +972 .
“Stiamo cercando di creare un gruppo di avvocati volontari per fornire queste cose, perché è molto complicato per le persone richiedere i propri diritti”, continua. Le nove donne che il movimento ha assistito a Jaffa ora hanno tutte in atto soluzioni temporanee i e le loro domande di previdenza sociale sono in sospeso. Ma, secondo Amar, anche con quei benefici le madri “continueranno a vivere in povertà”.
Anche le donne ebree etiopi sono sproporzionatamente rappresentate tra gli inquilini di alloggi pubblici in Israele. Elmakiyes Amos ricorda un episodio che aveva coinvolto una donna mizrahi, Rachel Levy, cacciata di casa insieme ai suoi figli dopo la morte della madre, perché non soddisfaceva i criteri per continuare a vivere in alloggi sociali.
“Le autorità avevano portato una donna etiope per sostituirla”, dice Elmakiyes Amos. “Quando vide Rachel, che aveva piantato una tenda fuori sull’erba dopo lo sfratto, siscusò. Ma Rachel le rispose: ‘Non è colpa tua. Non dovremmo litigare per questo appartamento; ci dovrebbe essere un appartamento per te e un appartamento per me.’ Questa, ai miei occhi, era tutta la triste storia. Vedere quella situazione significava vedere l’essenza malvagia della politica che contrappone le popolazioni deboli l’una all’altra, ed è anche l’esempio perfetto del perché le popolazioni deboli devono lottare insieme e formare queste connessioni”.
“La lotta dei Mizrahi deve rispondere da sola”
Costruire la solidarietà tra le comunità oppresse è certamente un’ambizione degli attivisti di Shovrot Kirot, anche se attualmente è solo un sottoprodotto indiretto del loro lavoro. Per ora, Amar crede che esista ancora tensione tra coloro che promuovono i “diritti sociali” e coloro che promuovono i “diritti politici”, principalmente la lotta palestinese.
Parte di questa tensione deriva dalla natura peculiare della divisione sinistra/destra in Israele, in cui quella che è considerata la “sinistra” – e in particolare la “sinistra sionista” – rappresenta in gran parte i settori più ricchi, per lo più ashkenaziti, della società; ciò che è considerata “la destra”, nel frattempo, ha tradizionalmente rappresentato i settori della società più poveri, per lo più mizrahi.
“Non abbiamo ancora trovato la base per combinare campagne e lotte”, sostiene Amar. “Non sono sicura che siamo pronti a dire che esiste una connessione tra i diritti dei palestinesi e la lotta al capitalismo e che dobbiamo lavorare insieme in queste lotte. È più facile per la sinistra in Israele occuparsi dei territori occupati piuttosto che delle persone scollegate dall’elettricità, ad esempio, dove devono chiedersi: “Beh, questo significa che devo pagare più tasse?”
“D’altra parte”, continua, “la nostra comunità è molto aperta all’idea di diritti sociali, quindi stiamo costruendo ponti per poter unire il discorso sui diritti dei palestinesi e il diritto all’edilizia sociale nella stessa rivendicazione. Penso che la necessità di Shovrot Kirot sia aumentare la consapevolezza sui diritti sociali in modo da poter combattere il colonialismo e il capitalismo allo stesso tempo”.
Sluzker Amran crede che ci sia un valore strategico nel concentrarsi prima di tutto sulla propria comunità. “Non è che abbiamo rinunciato a combattere l’occupazione, penso che i palestinesi metteranno fine all’occupazione”, sottolinea. “Ma quello che possiamo fare allo stesso tempo è assicurarci che le nostre comunità siano in una forma migliore e parlare di tutto questo insieme in un modo che sia riconoscibile e identifichi le somiglianze.
“Non miro al ‘campo della pace’, la maggior parte dei quali proviene da un luogo molto privilegiato e da famiglie che sono già di sinistra”, continua Sluzker Amran. “Miro alle persone che sanno cosa si prova a subire la brutalità della polizia, quindi non saranno sorprese quando vedranno la polizia uccidere Iyad al-Hallaq, o quando vedranno come la polizia si comporta nei confronti dei beduini nel Negev e, ogni venerdì, durante le manifestazioni nella Gerusalemme Est occupata. Vedono gli sfratti a Givat Amal e in altri luoghi, a Sheikh Jarrah e nel Negev, vedono la foto della vecchia che supplica la polizia o i soldati di lasciarla restare a casa sua.
“Non è la stessa cosa”, chiarisce Sluzker Amran, “ma le persone vedono le somiglianze; non ho bisogno di segnalarle perché sono chiare. Quindi questo non è il motivo per cui lo sto facendo, ma mi vedo a combattere l’occupazione con questo lavoro”.
Per Sivan Tahel, un’attivista di Shovrot Kirot che si occupa principalmente della questione della violenza della polizia, non c’è alcun valore da guadagnare dal movimento conforme alle etichette politiche tradizionali. “Dire “Sono una donna mizrahi’ è già una dichiarazione politica”, sostiene, “perché in realtà vede le relazioni di potere; non “Sono a sinistra” o “Sono a destra”.
“Ecco perché gli spazi come il nostro sono molto importanti”, continua, “perché non abbiamo davvero una casa politica. E cosa c’è di così radicale nel cercare una sede politica all’interno del sistema? Siamo attivisti, il nostro obiettivo è cambiare il sistema, non solo cambiare la persona che sta al vertice”.
Tuttavia, anche se Tahel riconosce le connessioni tra i diversi gruppi emarginati che affrontano le stesse questioni sociali, mette anche in guardia dall’appiattire le loro differenze. “Connettere le popolazioni significa creare un meccanismo che sovverte il sistema del divide et impera”, afferma. “Ma se vogliamo unificare le lotte, è importante riconoscere che ogni popolazione è unica”.
Spiega inoltre: “Parlare sempre della lotta dei Mizrahi come una porta d’accesso alla lotta di un’altra comunità che è presumibilmente più debole di noi è dannoso, perché i Mizrahi sono stati esclusi e oppressi per oltre 70 anni senza alcun processo di giustizia o restituzione. Essere Mizrahi significa dover combattere costantemente per il tuo posto e convincere costantemente le persone che stai dicendo la verità sulla tua oppressione. Quindi la lotta dei Mizrahi deve rispondere da sola e Shovrot Kirot ci sta dando il potere di farlo”.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org