I Mista’arvim sono un’unità speciale sotto copertura israeliana i cui agenti si travestono da palestinesi o arabi per raccogliere informazioni, infiltrarsi nelle proteste e compiere omicidi.
Fonte: english version
Di Emad Moussa – 18 aprile 2022Nel tentativo di far fronte a una serie di attacchi in Israele e contrastare le crescenti tensioni a Gerusalemme e nel resto dei Territori Occupati, all’inizio di aprile il Primo Ministro israeliano Naftali Bennett ha concesso alle forze di sicurezza israeliane piena libertà di operare contro i palestinesi.
Ciò è stato preceduto dal dispiegamento di ulteriori dodici battaglioni dell’esercito nella Cisgiordania occupata e due al confine di Gaza.
Dal punto di vista israeliano l’intensificazione delle “misure di sicurezza”, attuata principalmente attraverso un’aumento della forza militare schierata, mira a reprimere la dissidenza palestinese.
Raramente tali metodi si sono tradotti in risultati strategici a lungo termine, in parte a causa del fatto che gli strumenti militari convenzionali sono notevolmente limitati se usati contro i movimenti popolari o una popolazione civile.
Per compensare alcune di queste carenze tattiche, Israele ha anche fatto affidamento su uno dei suoi metodi tradizionali di repressione: le unità sotto copertura note come mista’arvim.
Mista’arvim è una parola ebraica derivata dall’arabo musta’ribeen (singolare: musta’rib), che significa “coloro che si travestono da arabi”.
Si vestono, parlano e si comportano come palestinesi e svolgono missioni nel cuore di paesi e città.
Il loro ambito di attività include, ma non esclusivamente, la raccolta di informazioni, operazioni di polizia sotto copertura, l’infiltrazione e il controllo delle sommosse, missioni segrete e omicidi.
L’unità è antecedente alla fondazione dello Stato israeliano e originariamente faceva parte del Palmach ebraico, una divisione d’élite della milizia dell’Haganah divenuta in seguito il fulcro dell’esercito israeliano.
La fondazione dell’unità fu il risultato della cooperazione tra il Movimento Sionista e le autorità del Mandato Britannico in Palestina durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli inglesi avevano bisogno di agenti sotto copertura per infiltrarsi nella popolazione locale nel Levante e sabotare l’avanzata dei tedeschi.
È a questo punto che fu avanzata la proposta di reclutare per l’incarico ebrei mizrahi immigrati in Palestina dai Paesi arabi . Diversi agenti furono infiltrati nei Paesi arabi vicini, in particolare Siria e Libano, formando quello che in seguito divenne il “Plotone Siria”.
Con la sconfitta della Germania, gli inglesi non ebbero più bisogno del Plotone, portando infine al suo scioglimento. Ciò coincise con le crescenti tensioni tra le milizie sioniste e gli inglesi, nonché con i palestinesi locali.
Il Plotone fu presto rilanciato come unità indipendente del Palmach, chiamata Ha-Shahar (Alba,) con l’obiettivo principale di infiltrarsi nelle comunità palestinesi a fini di spionaggio e sabotaggio.
All’ex Primo Ministro israeliano, poi Generale dell’esercito israeliano, Ehud Barak è stato attribuito il merito di aver potenziato la capacità operativa dell’unità istituendo nel 1986 una forza mista’arvim più sofisticata e meglio organizzata chiamata Duvdevan (in ebraico Ciliegia).
Egli stesso un ex membro dell’Unità di Intervento Speciale Sayeret Matkal, nota per aver assassinato figure chiave palestinesi, Barak si occupò personalmente che le reclute fossero esperte nella cultura, nella lingua e nei costumi arabi in modo che “sembrassero, parlassero e si vestissero come arabi, e andassero in bicicletta in Cisgiordania e a Gaza con la stessa disinvoltura con cui lo fanno a Tel Aviv”.
Duvdevan è attualmente una delle unità sotto copertura più attive nei Territori Occupati, che lavora a fianco dell’esercito israeliano, ed è uno dei numerosi gruppi mista’arvim in tutto il Paese, ciascuno con un diverso obiettivo operativo.
Di questi gruppi ci sono l’Unità 367 Sansone, che opera nel Sud vicino al confine di Gaza; Yamas, un’unità associata alla Polizia di Frontiera israeliana e operante principalmente nella Gerusalemme occupata; e l’Unità 33 Gideonim, una forza della polizia israeliana che opera all’interno di Israele.
Infiltrati nelle proteste
Nelle loro operazioni sul campo, nei Territori Occupati, i mista’arvim si sono distinti principalmente grazie al loro ruolo di infiltrazione nelle proteste palestinesi. Operano in gruppi da cinque a dieci e usano il caos degli scontri tra i palestinesi e l’esercito israeliano per posizionarsi tra i manifestanti e persino prendere parte all’incendio di pneumatici e lanci di pietre. Di solito indossano la kefiah e tengono le camicie fuori dai pantaloni per nascondere le pistole.
I mista’arvim prendono solitamente di mira i giovani palestinesi più vicini alla prima linea dell’esercito israeliano e li agguantano non appena l’esercito inizia a caricare in avanti verso i manifestanti. Usando granate stordenti e pistole, bloccano le loro vittime e le arrestano violentemente. Altri agenti, insieme all’esercito, forniscono copertura mentre l’unità si ritira frettolosamente.
Probabilmente, gli arresti effettuati dal mista’arvim non rappresentano un colpo significativo per i manifestanti. L’esercito israeliano prende regolarmente d’assalto i paesi e le città palestinesi conducendo arresti di massa di gran lunga superiori in termini di organico e valore militare di qualsiasi operazione lampo da parte delle unità mista’arvim.
L’esercito israeliano può usare, e ha ripetutamente utilizzato, filmati e fotografie dei manifestanti, oltre alla tecnologia di riconoscimento facciale, per rintracciare e arrestare i palestinesi nelle loro case o mentre attraversano i posti di blocco militari israeliani nei Territori Occupati.
Infatti, dal 2019 l’esercito israeliano ha costruito una banca dati con migliaia di foto di palestinesi. Ha persino organizzato “concorsi” per premiare i soldati che avevano scattato il maggior numero di foto di persone.
Teoricamente, la tecnologia di localizzazione dell’esercito israeliano e gli arresti di massa rendono le attività di mista’arvim irrilevanti, nella migliore delle ipotesi un ruolo di supporto marginale. Ma uno degli obiettivi principali dell’unità è minare la volontà dei palestinesi di resistere.
Muhammad Nasser (nome fittizio), un ex detenuto in Israele e ricercatore sulle tattiche operative dell’esercito israeliano, ha detto al sito gemello arabo di The New Arab che scatenare i ‘mista’arvim contro i manifestanti è in gran parte un’operazione psicologica, altrimenti nota come PSYOP.
L’obiettivo principale è creare un’atmosfera di sfiducia, paranoia e paura, scoraggiando così le proteste e, quando si verificano, limitare il margine d’azione dei manifestanti.
“Perché non si può davvero sapere se la persona che si ha accanto durante una protesta è un altro manifestante, o un agente sotto copertura che può rapirti in qualsiasi momento o estrarre un’arma”, ha spiegato Esmat Omar, un altro esperto palestinese di affari e intelligence israeliani.
Già nel lontano 1948, il mista’arvim si affidava alle PSYOPS per studiare le intenzioni dei profughi palestinesi fuggiti o espulsi dalle loro case sulla scia della nascita di Israele. Travestiti da profughi stessi, gli agenti mista’arvim hanno anche diffuso voci per convincere i rifugiati che tornare in Palestina era impossibile.
Un primato controverso
Non ci sono statistiche specifiche su quanti palestinesi siano stati uccisi da mista’arvim, non ultimo a causa della natura clandestina delle loro missioni e perché l’esercito israeliano e le operazioni sotto copertura di solito si sovrappongono.
Tuttavia, la più grande organizzazione israeliana per i diritti umani, B’Tselem, ha stimato che tra il 2000 e il 2010 agenti sotto copertura hanno ucciso 161 palestinesi in imboscate, di cui 19 di età inferiore ai 16 anni.
Un caso recente e ben documentato è quello di Ahmad Fahd del campo profughi di al-Amari in Cisgiordania, nel maggio 2021. Venne colpito più volte da mista’arvim e lasciato morire dissanguato. I tentativi israeliani di incastrare il giovane come un “sospetto di terrorismo” sono stati confutati.
Il mese successivo, due poliziotti palestinesi furono uccisi da un’unità mista’arvim che si era infiltrata nella città di Jenin, nel Nord della Cisgiordania.
Nel marzo di quest’anno, agenti sotto copertura della Polizia di Frontiera israeliana hanno ucciso a colpi di arma da fuoco un cittadino palestinese di Israele del villaggio di Rahat nel Negev dopo che avrebbe sparato contro di loro. Diverse testimonianze locali hanno contestato il racconto della polizia.
Nell’attuale ondata di recrudescenza dall’inizio del Ramadan, quaranta palestinesi sono stati uccisi durante le irruzioni dell’esercito nelle città e nei villaggi della Cisgiordania. Secondo fonti palestinesi alcune delle vittime a Jenin e Silwad (vicino a Ramallah), , sarebbero state uccise dalle forze mista’arvim.
Molti attivisti per i diritti umani israeliani e palestinesi considerano queste unità poco più di una squadra di sicari.
Questa argomentazione ha almeno tre meriti fondamentali. Primo, gli agenti israeliani sono addestrati per essere “macchine assassine”, come riportato da un servizio del Canale 10 israeliano nel 2015. Secondo, le unità sotto copertura che conducono missioni militari in un territorio classificato come occupato dal diritto internazionale sono molto controverse.
E infine, è noto che le operazioni segrete causano danni collaterali significativi; quando i civili palestinesi vengono picchiati e uccisi, inevitabilmente si colpisce anche passanti non coinvolti nell’azione.
Le unità di Mista’arvim sono state schierate anche contro i cittadini israeliani. Nel settembre dello scorso anno, Adalah, il Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele, ha contestato la legittimità della polizia israeliana di istituire un’unità sotto copertura per operare nelle città palestinesi di Israele, presumibilmente per combattere la criminalità organizzata in queste località.
“La pratica contraddice l’ordinanza di polizia, che richiede agli agenti di polizia di identificarsi”, ha affermato l’organizzazione.
Inoltre, Adalah ha espresso preoccupazioni circa il carattere discriminatorio della pratica, sostenendo che “l’atto stesso di dirigere l’attività di un’unità verso un gruppo distinto della popolazione sulla base dell’appartenenza nazionale è razzista ed equivale a una profilazione razziale”.
Nel frattempo in Cisgiordania, mentre tra lo Shin Bet e l’esercito israeliano aumenta la dipendenza da mista’arvim, gli attivisti palestinesi stanno imparando ad adattarsi.
Utilizzando i social media, hanno iniziato a condividere avvertimenti sulla presenza di agenti sotto copertura, con istruzioni su come evitare di essere arrestati o feriti da loro. Altri, secondo il Guardian, hanno iniziato a confrontarsi apertamente con gli agenti e persino a scontrarsi direttamente con loro.
Emad Moussa è un ricercatore e scrittore specializzato in politica e psicologia politica di Palestina e Israele.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
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