Il discorso di Naftali Bennett nel Giorno della Memoria israeliano deve essere decifrato per capire il messaggio razzista intrinseco.
Fonte: english version
Di Jonathan Ofir- 5 maggio 2022
Immagine di copertina: Il Primo Ministro israeliano Naftali Bennet (credit Yonatan Sindel Flash90)
Oggi è il Giorno dell’Indipendenza israeliana. Si svolge il giorno dopo il Giorno della Memoria, ufficialmente intitolato: “Giornata Commemorativa per i Caduti delle Guerre di Israele e Vittime di Azioni di Terrorismo” (i palestinesi generalmente non sono considerati vittime del massiccio terrore di Stato israeliano). Questo evento concomitante annuale è progettato strategicamente, principalmente enfatizzando l’effetto drammatico ed emotivo del vittimismo, prima di celebrare l’esaltato senso di “indipendenza” e vittoria che arriva il giorno successivo (una sequenza che è amplificata solo dalla Giornata della Memoria dell’Olocausto israeliana).
Il Primo Ministro Naftali Bennett, il Premier israeliano storicamente più di destra (nonostante sia stato accolto come una specie di liberale dal movimento “chiunque tranne Netanyahu”), ieri ha pronunciato un discorso razzista e sanguinario al cimitero del Monte Herzl a Gerusalemme:
“Il campo di battaglia ha le sue regole, ma sfortunatamente in Israele la nazione fa parte del fronte. Dagli albori del sionismo e dal ritorno di Sion, i nostri nemici non hanno mai accettato la nostra esistenza qui. Pensano che se ci uccidono, a un certo punto ci spezzeremo. Quanto si sbagliano. Se solo i nostri nemici investissero nella costruzione del loro futuro anche solo un decimo o un centesimo dell’energia che mettono per farci del male, la loro situazione sarebbe completamente diversa. Ma puntualmente scelgono la santificazione della morte, che li lascia crogiolarsi nella povertà, nello squallore e in un costante senso di vittimismo”
Queste parole devono essere decifrate per il pubblico internazionale. Stiamo leggendo queste parole, ma significano qualcosa di completamente diverso dal significato che di solito gli darebbe un lettore internazionale. Queste parole si devono leggere come un israeliano, perché sono strategicamente ed essenzialmente dirette agli israeliani.
La “nazione” di cui parla Bennett è presumibilmente tutta “Israele”, cioè tutti i cittadini israeliani, questo è ciò che normalmente intendiamo. Ma non è proprio così. “Israele” qui non è un Paese. È lo Stato Nazione del Popolo Ebraico, come sancito nella legge fondamentale con quel nome che è stata approvata nel 2018.
Questa legge razzista è stata descritta in capo al rapporto di Human Rights Watch sull’Apartheid israeliano dello scorso anno (pag. 6 dell’intero rapporto di 224 pagine):
Tentativo di mantenere il dominio: Un obiettivo dichiarato del governo israeliano è quello di garantire che gli ebrei israeliani mantengano il dominio in tutto Israele e sui Territori Palestinesi Occupati. La Knesset (Parlamento) nel 2018 ha approvato una legge con statuto costituzionale che dichiara Israele come lo “Stato Nazione del Popolo Ebraico”, sancendo che all’interno di quel territorio il diritto all’autodeterminazione “è unicamente per il popolo ebraico” e stabilendo “un insediamento ebraico” come valore nazionale. Per sostenere il controllo ebraico israeliano, le autorità israeliane hanno adottato politiche volte a mitigare quella che hanno apertamente descritto come una “minaccia” demografica rappresentata dai palestinesi.
Quindi, “Israele” nel discorso di Bennett è in realtà, essenzialmente, solo per gli ebrei (riflettendo l’uso tradizionale del nome nel giudaismo, “Sono Israele” o “Nazione di Israele”). Si deve capire questo in termini di sentimento religioso. Si potrebbe pensare che Bennett sta parlando come un Primo Ministro laico, ma non lo è, è un fondamentalista religioso, e i suoi sostenitori, soprattutto dal campo religioso-sionista, capiscono molto bene i suoi codici velati.
In questa comprensione, la “Nazione di Israele” è essenzialmente ebraica, anche a livello internazionale. Quindi, i “nostri nemici” non sono altri Paesi in quanto tali, questo è ciò che un normale lettore internazionale capirebbe, ma non è questo ciò che significa per gli israeliani. I “nostri nemici” sono essenzialmente i non ebrei, in particolare i palestinesi. Quindi i “nostri nemici” non sono solo un nemico esterno, ma anche interno. Non sono altro che agitatori, si sanno solo piangere addosso, invece di accettare educatamente il loro destino di segregati, potrebbero fare molto di più delle loro vite. Bennett dice che la loro “povertà” e “miseria” è proprio ciò che hanno scelto.
Negli Stati Uniti, quando questo tipo di linguaggio razzista viene utilizzato per riferirsi agli afroamericani, non sono necessari ulteriori commenti. Tutti sanno già che questo è un vile tentativo di incolpare le vittime del razzismo sistemico. Ma Bennett può presumibilmente nasconderlo parlando di valori patriottici di “difesa”. Questo linguaggio è simile ai “Paesi senza valore” di Trump, ma Bennett non sta davvero parlando di altri Paesi, sta parlando di palestinesi sotto il controllo di Israele, nelle loro enclavi ghettizzate.
Bennett dice che, a differenza di “noi”, “scelgono di santificare la morte”. L’ironia è incredibile, perché sta parlando nel Giorno della Memoria, dove glorifichiamo coloro che hanno ucciso centinaia di palestinesi. Le migliaia di palestinesi massacrati non meritano nemmeno una menzione, anche se si tratta di un’intera famiglia di 30 persone di Gaza completamente decimata, che i “migliori” piloti israeliani hanno bombardato. La “santificazione della morte” è un nodo ricorrente della propaganda Hasbara israeliana: queste persone semplicemente non amano la vita come “noi”, e se solo si preoccupassero della vita tanto quanto glorificano la morte, avrebbero una vita migliore e meno odiosa. Quando la pensi così, nulla di ciò che fai è causa di sofferenza per i palestinesi. Se li opprimiamo sotto un assedio soffocante e illegale a Gaza per decenni, è solo perché non amano la vita. È solo perché hanno fatto scelte sbagliate.
Bennett rimprovera i “nostri nemici” per il loro “costante senso di vittimismo”. Serve una gran sfacciataggine per farlo, e a Bennett di certo non manca. Israele sa una o due cose su quel senso di vittimismo, e l’intera strategia di allineare i giorni della commemorazione in questo modo, ha lo scopo di accentuare il vittimismo, in modo che “l’indipendenza”, la vittoria finale sui “nostri nemici” sia rappresentata come null’altro che una risposta all’oppressione. Tenere le persone sotto assedio nel campo di concentramento di Gaza non può mai essere paragonato con l’Olocausto, l’Apartheid non è mai vero Apartheid quando è un Apartheid perpetrato da Israele.
Quindi, quando i palestinesi mostrano un senso di Sumud (fermezza) di fronte alla costante oppressione e spoliazione dell’Apartheid, sono solo irriconoscenti, quando invece dovrebbero esserne grati.
Bennett ha continuato:
“Illustri concittadini, non possiamo influenzare ciò che penseranno, possiamo assumerci la responsabilità di noi stessi, delle nostre decisioni. E la nostra decisione fondamentale rimane: Rimaniamo saldi sulla nostra terra, nella Terra di Israele. Niente e nessuno spezzerà lo spirito della Nazione di Israele. Niente ci sposterà di qui, perché la gloria d’Israele non mentirà”
Quindi la fermezza ebraica è grande. Non è così per la fermezza palestinese, è solo terrorismo. Quando Bennett dice “la Terra d’Israele” (Eretz Israel in ebraico) lo intende nel senso biblico, è con “Giudea e Samaria” (i nomi biblici per la Cisgiordania) e tutto il resto. Quando dice “la gloria d’Israele non mentirà”, è una citazione biblica dal libro di Samuele, pagina 15 passo 29, ed è anche un’allusione alla rete di spionaggio sionista NILY (acronimo ebraico di Nezah Israel Lo Yeshaker, dalla citazione biblica) che operava per conto degli inglesi nel 1915-1917, un periodo in cui gli inglesi stavano complottando per conquistare la Palestina dall’Impero Ottomano con la complicità sionista.
Questo discorso di Bennett è stato disturbato per molti minuti da genitori in lutto che gli hanno gridato di non aver fatto abbastanza, cioè di non essere abbastanza nazionalista e militante. Bennett è stato sotto pressione della destra da quando ha formato il governo l’anno scorso, e l’opposizione (anche di destra) ha intaccato il suo sostegno, che ora sembra sgretolarsi per la presunta mancanza di “identità ebraica”, per quanto ironico possa sembrare. Bennett era infatti in piedi sul palco e “soccombé” alle grida per quasi cinque minuti prima di iniziare il suo discorso. Riuscì a ritrarsi come paziente, clemente e magnanimo, rispondendo alle grida con: “Vi dono di un grande amore e sento il vostro dolore”.
Molti israeliani, credo, compreranno questa immagine, di un uomo maturo e saggio, sobrio e prudente. Non terranno conto dell’incitante discorso razzista che verrà dopo, né lo percepiranno come folle propaganda nazionalista. Al contrario, Bennett sta solo rispolverando retoricamente le sue credenziali e dimostrando di non essere debole, per così dire.
E questa è la triste, triste realtà di Israele, è tutta una questione di sfumature dell’Apartheid. C’è il tipo più spregiudicato e palese, poi c’è il tipo più civile, ce ne sono cinquanta sfumature se non di più. Ma è sempre lo stesso: noi siamo le vittime, i palestinesi giocano a fare le vittime, ma sono nemici assetati di sangue. C’è amore infinito per gli ebrei, anche se ti urlano contro e ti dicono di stare zitto, ma solo odio per i palestinesi, che non sanno gestire le loro vite e vogliono solo ucciderci.
Che “governo del cambiamento”, vero?
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org