Lo sport come mezzo per abbattere i confini, il razzismo e i pregiudizi.
Lorenzo Giovannetti – Maggio 2022
Immagine di copertina: Le ragazze del Palestine Youth Club e di Basket Beats Borders nel campo di Qasqas (immagine da FB)
Il campo palestinese di Shatila, situato nella periferia meridionale della città di Beirut, è un luogo in cui il tempo sembra seguire un andamento diverso rispetto alla realtà circostante. La vita degli abitanti del campo, sorto nel 1949 in seguito alla Nakba e all’esodo palestinese, viene scandita dal susseguirsi delle commemorazioni e dei giorni di lotta che mantengono viva la resistenza di un popolo condannato a vivere ai margini della storia.
A settembre si terranno le celebrazioni per il quarantesimo anniversario del massacro del 1982, e come ogni anno attivisti di tutta Europa si recheranno a Beirut per manifestare il proprio sostegno al popolo palestinese.
Negli anni la popolazione di Shatila è aumentata esponenzialmente e, a causa del poco spazio a disposizione, gli edifici e i palazzi sono cresciuti verso l’alto, dando vita ad un fitto dedalo di vie attraversate da grovigli di fili elettrici in cui spesso è difficile scorgere il cielo. Le condizioni di vita degli abitanti del campo sono tuttora terrificanti. Il Libano non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra che regola lo status di rifugiato, e alla completa mancanza dei diritti più basilari si aggiungono l’inefficienza e la corruzione delle istituzioni del paese dei Cedri. I cumuli di spazzatura ammassati in ogni angolo del campo e l’assenza di un adeguato sistema di drenaggio delle acque, poi, rendono inaccettabili le condizioni igienico-sanitarie di Shatila.
Con lo scoppio della crisi economica libanese nel 2019 e il collasso dell’apparato statale che ha fatto seguito all’esplosione del porto di Beirut è diventato sempre più difficile accedere ai beni di prima necessità come il gas e l’acqua. I prezzi sono in continuo aumento e il crollo del valore della lira libanese rende proibitivo anche l’acquisto dei generi alimentari essenziali. La legge libanese, in più, impedisce ai palestinesi di praticare decine di professioni (tra cui quelle di medico, avvocato e ingegnere) e il tasso di disoccupazione è altissimo sia a Shatila che in tutti i campi sparsi nel paese.
In un contesto di tale gravità, l’impegno quotidiano delle numerose organizzazioni non governative attive sul territorio rimane l’ultimo argine contro l’oblio e l’isolamento. Pur non avendo mai assunto un ruolo politico, il lavoro di UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Uniti che si occupa dei rifugiati palestinesi nei paesi del Vicino Oriente, resta fondamentale sia nel settore dell’educazione che in quello della sanità. Tra le diverse organizzazioni attive sul territorio spicca Beit Aftal Assumoud, che a Shatila ha un centro operativo che comprende una scuola, una clinica dentistica e uno spazio dedicato agli incontri tra famiglie e ai laboratori artistici, ma sono decine le associazioni nate dal basso che ogni giorno si battono per la propria gente.
Uno dei tanti problemi che affligge gli abitanti del campo, a partire dai più giovani, è l’assenza di spazi sociali e la conseguente impossibilità di trovare valvole di sfogo ad una realtà fatta di emarginazione e pregiudizi. Per le giovani donne di Shatila, in particolare, gli stereotipi e le reticenze sono ancora oggi parte di una cultura che si inasprisce per via della chiusura fisica del campo e delle condizioni di vita al limite. Per rompere il muro del pregiudizio e donare positività e speranza alle ragazze del campo, nel 2016 è nato Basket Beats Borders, un progetto transnazionale che lega le ragazze del Palestine Youth Club a realtà di sport popolare europee. L’iniziativa nasce grazie all’incontro tra Majdi, l’allenatore della squadra di basket del PYC, e un gruppo di giovani cooperanti italiani che hanno messo a disposizione entusiasmo e contatti per creare un network che ancora oggi permette alle giovani donne di Shatila di viaggiare in Europa, facendo conoscere la propria realtà e creando legami di solidarietà tra popoli.
Lo sport diventa così un modo per abbattere i confini, il razzismo e i pregiudizi. Le ragazze si allenano due volte a settimana sul campo di Qasqas, ai margini di Shatila.
“Grazie al basket riesco a dimenticare i problemi di tutti i giorni e a ritrovare positività” dice Marwa Hamdan, palestinese di 21 anni, “giocare mi ha fatto crescere come persona, mi ha resa più sicura e consapevole. Sul campo, con le altre ragazze, stiamo costruendo legami che dureranno per sempre”. Marwa porta l’hijab, e giocando a basket è riuscita a sconfiggere la diffidenza di chi non la considerava adatta a fare sport. “Il basket mi aiuta nelle relazioni sociali. Il nostro obiettivo è anche quello di far conoscere il più possibile la nostra realtà all’estero e in Europa. Sogno di lasciare Shatila, ma un giorno mi piacerebbe aprire una scuola di basket”. A giugno le ragazze del Palestine Youth Club voleranno a Madrid per giocare con una realtà di sport popolare locale. Negli anni passati, grazie a Basket Beats Borders le ragazze hanno visitato Irlanda, Italia e Paesi Baschi, entrando in contatto con realtà diverse e creando connessioni che vanno oltre la pallacanestro.
Per Majdi Majzoub, l’allenatore della squadra, lo sport è una parte essenziale della vita di ognuno. “Fare sport significa sconfiggere la negatività e l’inerzia. Ho sempre pensato che fosse importante fare qualcosa per gli altri e soprattutto per le donne e per i più giovani. Se educhi una ragazza educhi una famiglia, e se educhi una famiglia migliori la società” ripete Majdi come un mantra. “All’inizio le famiglie delle ragazze erano scettiche, ma ora i benefici sono evidenti per tutti e siamo diventati un punto di riferimento”. L’impegno di Majdi e di Basket Beats Borders, però, non si ferma allo sport, e nel centro operativo dell’associazione si svolgono attività che vanno dal doposcuola ai laboratori di arte. Con lo scoppio della crisi economica, in collaborazione con l’associazione Medical Hope è stato lanciato un progetto di raccolta e distribuzione di medicine per la gente di Shatila, in un momento in cui in tutto il paese reperire farmaci è sempre più complicato.
L’entusiasmo e la passione delle giornate che nell’ottobre del 2019 avevano segnato lo scoppio della thawra hanno lasciato spazio all’apatia e alla rassegnazione degli ultimi mesi. Mentre il Libano sprofonda in una delle peggiori crisi economiche della storia recente, la vita a Shatila prosegue staticamente e il destino di molti sembra segnato. Ma dal vortice di miseria e oblio che sembra inghiottire la vita degli abitanti dei campi emergono ancora oggi l’impegno quotidiano di chi rifiuta di arrendersi ai verdetti della storia. Nei campi del Libano, a 40 anni dal massacro di Sabra e Shatila si lotta ancora per un futuro migliore e gli sforzi di chi ogni giorno si muove per cercare di abbattere i muri dell’indifferenza rappresentano la linfa vitale di tutto il popolo palestinese.
Qui raccolta fondi per sostenere la prossima trasferta della squadra in Spagna
Lorenzo Giovannetti: nato nel 1989, ha studiato cooperazione internazionale e ha vissuto e lavorato a Beirut per un anno. Scrive e collabora con diverse testate italiane.