A Israele non dovrebbe essere permesso di insabbiare l’uccisione della giornalista Shireen Abu Akleh con l’ennesima falsa “indagine”.
Fonte: english version
Di Hagai El-Ad – 14 maggio 2022
Immagine di copertina: palestinesi prendono parte a una manifestazione in seguito all’uccisione della giornalista veterana di Al-Jazeera Shireen Abu Akleh a Gaza City il 12 maggio 2022.
L’unica risposta possibile alla pronta offerta fatta ai palestinesi dal Ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid di condurre “un’indagine forense congiunta” sull’uccisione della famosa giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, non può essere che la rabbia.
Tali “indagini” condotte da Israele non servono a scoprire la verità, ma a seppellirla, non a stabilire la responsabilità, ma a preservare l’impunità, non per incriminare i colpevoli, ma a proteggerli.
Che l’offerta di una “indagine congiunta” sull’uccisione di Abu Akleh sia arrivata direttamente dal Ministro degli Esteri Lapid, e sia stata poi rinnovata dal Primo Ministro Naftali Bennett, parla dell’entità della preoccupazione di Israele per il danno d’immagine che sta affrontando. Tali offerte per “indagini” e “analisi” sono normalmente lasciate a funzionari di rango inferiore nell’apparato di mascheramento israeliano.
Infatti, Israele si impegna in un processo di questo tipo solo se crede che l’uccisione di un palestinese possa danneggiare l’immagine del Paese. Altrimenti, non si preoccupa nemmeno di gesti così vuoti.
B’Tselem ha cercato in buona fede di coinvolgere i meccanismi investigativi interni di Israele per decenni. Nel corso degli anni, abbiamo presentato centinaia di richieste alle autorità competenti per indagare sui casi di palestinesi uccisi dalle forze di sicurezza israeliane, ma non è si è mai arrivati al perseguimento di una responsabilità significativa. Sei anni fa, abbiamo concluso che ciò con cui avevamo a che fare non era semplicemente un meccanismo di indagine disfunzionale, ma un’operazione sistematica e organizzata di copertura. Di conseguenza, abbiamo deciso di continuare il nostro lavoro su tali omicidi, ma senza mai farci coinvolgere nelle cosiddette “indagini” di Israele.
Il meccanismo di indagine di Israele è chiaramente una farsa. Anche se viene aperta un’indagine sull’uccisione di un palestinese per mano delle forze israeliane, non si conclude quasi mai con un’accusa o il perseguimento di qualcuno. L’intero meccanismo è una farsa perché i suoi difetti sono, di fatto, le sue caratteristiche essenziali, quelle che gli consentono di offrire l’impunità. Innanzitutto, l’esercito ha il compito di indagare su sè stesso. I soldati vengono generalmente interrogati senza contraddittorio, non viene fatto quasi nessuno sforzo per raccogliere prove esterne e le “indagini” si protraggono per anni. Oltre a tutto questo, anche la finzione sopra descritta è diretta solo ai soldati di basso rango: coloro che decidono le politiche che consentono ai soldati di premere il grilletto contro i palestinesi non affrontano mai nessuna conseguenza. Tutto questo, nonostante in molti casi le vittime non siano state causate da deviazioni dalle politiche dell’esercito israeliano, ma dalle stesse politiche criminali.
Prendiamo, ad esempio, i casi di cecchini israeliani che spararono a palestinesi disarmati alla barriera di Gaza durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno. Israele ha condotto “indagini” su alcuni casi specifici di tiro da parte di cecchini. Ma nessuno ha indagato, e nessuno in Israele lo farà, sulle regole di ingaggio.
L’avvocato militare generale israeliano, la stessa persona responsabile delle indagini militari israeliane, è incaricato di attuare tali politiche. Quindi, ovviamente, nessuno è tenuto a rispondere per aver dato ai cecchini quegli ordini palesemente illegali.
Israele ha bisogno dell’impunità per mantenere il suo regime di Apartheid. Non può mantenere il controllo su una popolazione soggiogata senza la violenza di Stato. Pertanto è essenziale che il regime si assicuri l’impunità totale, mentre svolge quelle che sembrano indagini, per soddisfare le aspettative internazionali.
L’impunità apre la strada ad altri omicidi. Non si deve cadere nell’inganno della propaganda israeliana, nelle sue promesse di “indagare”. Israele non si riterrà responsabile, proprio come il suo regime di Apartheid non si smantellerà da solo. Le parti internazionali interessate che non lo denunciano sono semplicemente diventate un ingranaggio della macchina di propaganda israeliana. La grottesca pressione degli Stati Uniti sui palestinesi affinché accettino un’indagine “congiunta” e la dichiarazione dell’ambasciatore statunitense in Israele Tom Nides, che vagamente “incoraggia” un’indagine, dimostrano solo in quale misura l’amministrazione Biden sia parte dell’ingranaggio
Shireen Abu Akleh una volta disse che mentre “potrebbe non essere facile cambiare la realtà”, lei avrebbe almeno potuto portare “la voce della sua gente nel mondo”. Per mantenere viva quella voce, onorare la sua eredità e chiedere giustizia, dobbiamo dire no alla propaganda israeliana, guardare la realtà con chiarezza e dimostrare a Israele che il momento della responsabilità è finalmente arrivato, anche se tardivamente.
Hagai El-Ad è il direttore esecutivo di B’Tselem
Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org