Nakba74: i rifugiati palestinesi a Gaza ricordano la Nakba attraverso gli oggetti dei loro antenati

Vecchie chiavi, abiti tessuti a mano, strumenti musicali, ceramiche antiche e vecchie attrezzature agricole: servono tutti a ricordare la vita prima della fondazione di Israele.

Fonte: english version

Tareq Hajjaj – 15 maggio 2022

Immagine di copertina: una ragazza palestinese con la chiave di una casa da cui durante la Nakba del 1948 gli abitanti palestinesi sono stati espulsi.

Le storie di come i palestinesi furono cacciati dalle loro terre vengono tramandate di generazione in generazione. Le vecchie generazioni raccontano ai figli le storie dei massacri a cui hanno assistito, spiegando come i membri della famiglia siano diventati profughi in esilio.

Ogni anno il 15 maggio i palestinesi commemorano la Nakba. Ma la Nakba, o catastrofe, non rappresenta quel solo giorno, quando nel 1948 sono diventati rifugiati.

Come mi ha detto un rifugiato della Striscia di Gaza “Dal momento in cui il mandato britannico ha iniziato a legittimare coloni ebrei in Palestina e ad armarli, fino ad oggi la Nakba rappresenta storie quotidiane di persone che quotidianamente vengono uccise e sfollate dalle loro case e dalle loro terre”.

Sebbene siano trascorsi 74 anni dalla Nakba, molte famiglie di profughi palestinesi conservano ricordi e beni di al-Belad, o”casa” in arabo. Alcuni si aggrappano a vecchi abiti tessuti a mano dalle loro nonne, o alle antiche ceramiche che le loro famiglie usavano un tempo per il cibo e per acqua, mentre altri tengono ancora stretti i documenti legali vecchi di decenni che dimostrano l’esistenza delle loro famiglie nelle loro terre d’origine.

Un thobe, o abito tradizionale palestinese, del tempo della Nakba, così come svariati strumenti musicali e oggetti antichi, adornano le case dei rifugiati palestinesi a Gaza. Ci sono più di 2 milioni di Palestinesi nella Striscia, di cui il 75% sono rifugiati (Mohammed Salem Mondoweiss)

Questi beni non sono oggetti da collezione, ma raccontano una storia. Storie di fuga dalla morte che incombeva  da parte dei fucili israeliani. Storie di uomini, donne e bambini sradicati dalle loro case, senza mai sapere quando sarebbero tornati.

Dopo che le milizie sioniste saccheggiarono e distrussero villaggi e città in tutta la Palestina, uccidendo migliaia di persone ed espellendone altre centinaia di migliaia, Israele venne fondato e il mondo celebrò tale nascita

David Ben-Gurion, il primo Primo Ministro di Israele, disse: “I vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno”.

Ma Daiffallah Abu Al-Gussain, 82 anni, un palestinese di Gaza più vecchio dello stesso stato israeliano, dice che dopo 74 anni, quella affermazione non potrebbe essere più falsa. “I giovani riprenderanno la Palestina”, afferma.

‘Per il giorno in cui tornerete’

Al-Gussain fu  costretto a lasciare la sua casa a Beer al-Sabe (ora conosciuta come Beer Sheva) insieme alla sua famiglia quando aveva solo sette anni. Vive a Gaza da 74 anni ormai, ma ricorda come se fosse ieri il giorno in cui la sua famiglia dovette fuggire.

“Partimmo  prima che le uccisioni ci raggiungessero”, ha raccontato. “Gli abitanti di altri villaggi  erano in fuga  e  raccontavano storie di ciò da cui stavano scappando, quindi le persone dei villaggi più lontani fecero i bagagli e fuggirono”, racconta.

Daiffallah Abu Al Gussain, 82 anni, mostra a suo nipote i documenti di suo padre e di suo nonno che provano la proprietà della casa e della terra nel loro villaggio di Al Shalalah, in Beer Al Sabe  (Mohammed Salem – Mondoweiss)

Al-Gussain racconta come i sopravvissuti di altri villaggi riferivano storie strazianti dei crimini a cui avevano assistito per mano delle milizie sioniste: storie di persone che correvano in preda al panico mentre le milizie prendevano d’assalto le case con i fucili, uccidevano gli uomini e violentavano le donne.

Ricorda che dopo che le loro famiglie furono sfollate a Gaza, credevano  fosse solo questione di tempo prima di poter tornare alle loro case. Poco dopo che al-Gussain e la sua famiglia di sei persone fuggirono dal loro villaggio di Al-Shalalah a Beer al-Sabe, questo venne distrutto dalle milizie sioniste.

Seduto accanto a suo nipote, punta il dito sui documenti che mostrano le proprietà che la famiglia possedeva un tempo nel villaggio. “Queste terre appartengono ai tuoi nonni, sono stato costretto a lasciarle e tu non le hai viste, ma è l’eredità della tua famiglia”, dice a suo nipote Abdullah, 15 anni.

Daiffallah Abu Al Gussain mostra a suo nipote gli atti di proprietà originali della loro casa e terra nel villaggio di Al Shalalah, in Beer Al Sabe, quello che è ora conosciuto come Beer Sheva, nel deserto del Negev  (Mohammed Salem – Mondoweiss)

“Questo è un atto che apparteneva a mio nonno e risale all’anno 1938. Possedeva oltre 500 acri. Mio padre e mio nonno sono nati lì e lavoravano la terra per vivere”, dice Abu Al-Gussain.

“Ho conservato questi documenti per mostrarti la verità, perché tu li trasmetta ai tuoi figli e nipoti per mantenere i nostri diritti fino al vostro ritorno”,  dice ad Abdullah.

Ricordi preziosi

La maggior parte delle persone che lasciarono le loro terre nel 1948 non avrebbero mai immaginato di non potervi tornare.  Fuggirono in un attimo, portando solo i beni più necessari. Per le generazioni di rifugiati che  da allora si sono susseguite, quelle poche cose che i loro nonni portarono con sé, sono ora diventate i loro beni più preziosi.

Ogni anno a Gaza si tengono eventi straordinari in tutta la striscia per ricordare la Nakba, durante i quali i rifugiati palestinesi condividono gli oggetti dei loro villaggi e delle loro case originarie. Alcune persone hanno parti di un vecchio mulino, risalente a 130 anni fa, in cui le loro nonne macinavano il grano e l’orzo per impastare il pane. Altri portano le grandi chiavi di ferro delle loro case originarie, o gli abiti un tempo indossati dalle nonne.

Una galleria a Gaza espone vecchie chiavi appartenenti ai rifugiati palestinesi. La chiave è diventata il simbolo del diritto al ritorno, in quanto molti rifugiati hanno conservato le chiavi originali della propria casa, in attesa di potervi tornare (Mohammed Saleh – Mondoweiss)

Ayyat Zyadah, 27 anni, è una rifugiata di terza generazione del villaggio di Qatra, situato tra al-Lydd (ora conosciuto come Lod) e Yaffa (ora conosciuto come Jaffa). E’ all’interno di una galleria di Gaza City, che  espone abiti tradizionali palestinesi, o thobe.

Ayyat Zyadah, 27 anni, si piega sul thobe della sua bisnonna (Mohammed Salem – Mondoweiss

Uno degli abiti in mostra apparteneva alla bisnonna materna.

“Questi averi portano le storie di quattro generazioni”, ha detto Zyadah a Mondoweiss. “Abbiamo ascoltato centinaia di storie sulla Nakba dalle nostre madri, che le hanno a loro volta ascoltate dalle loro madri. Racconti orribili su come gli israeliani uccisero i loro cari dopo aver rubato le loro case e averle rase al suolo”.

“Con questo vestito della mia bisnonna, posso raccontare la storia di una grande donna. Nelle sue cuciture puoi ancora sentire l’odore del pane che faceva, puoi sentire com’era la vita dei palestinesi prima della Nakba”, ha detto appassionatamente. “Era colorata, proprio come questi vestiti.”

“Vengo da Qatra e un giorno tornerò, prima o poi”, ha detto Zyadah.

In un magazzino a Gaza City, Salah Dibari, 50 anni, conserva una serie di antichi oggetti d’antiquariato dei tempi della Nakba, tra cui un Rabab, uno strumento musicale popolare usato dai suoi antenati beduini di Beer al-Sabe nell’al-Naqab (ora conosciuto come il deserto del Negev).

Lo strumento apparteneva al suo defunto padre, che lo portò con sé quando scappò nel 1948. Per Dibari non è solo un segno per ricordare suo padre, ma un simbolo della sua eredità familiare e del suo luogo di origine.

Salah Dibari, 50 anni, con un rabab, uno strumento musicale utilizzato dai beduini dell’Al Naqab (ora Negev) Lo strumento apparteneva a suo padre. (Mohammad Salem – Mondoweiss)

“Mio padre è morto due mesi fa, aveva 92 anni. Suonava il Rabab e cantava le nostre canzoni tradizionali per noi da bambini”, ricorda Dibari. “Fino al suo ultimo respiro, sognava di tornare a casa sua a Beer al-Sabe”.

“Il Rabab era la cosa più preziosa per lui, perché l’aveva portato da al-Belad. Per me è l’eredità di mio padre e lo lascerò ai miei figli per mantenere vivo il nostro sogno di tornare”, ha detto Dibari.

Anche Awdah al-Amouri, 45 anni, capo del consiglio beduino di Gaza, è originario della zona di Beer al-Sabe. La sua casa è disseminata di oggetti antichi che la sua famiglia portò con sé fuggendo a Gaza durante la Nakba, insieme a mappe di com’era Beer al-Sabe prima della fondazione di Israele.

Indica il luogo sulla mappa in cui un tempo viveva la sua famiglia e tutti i piccoli villaggi e frazioni che non esistono più, spazzati via dalle milizie sioniste.

Awdah Al Amouri, 45 anni, indica il luogo sulla mappa mappa in cui un tempo viveva la sua famiglia e tutti i piccoli villaggi e frazioni che non esistono più, spazzati via dalle milizie sioniste.(Mohammed Salem – Mondoweiss)

Per al-Amouri, la mappa è un importante promemoria per le nuove generazioni, per ricordare cosa è successo durante la Nakba.

“I nostri genitori vissero e morirono sognando il ritorno, conoscevano i loro villaggi, le strade e tutto ciò che era nella nostra terra. Ma ora ci sono generazioni che sono nate senza la minima idea delle loro radici, perché sono nate sotto l’occupazione che ha rimosso il loro luogo di nascita dalla mappa”, dice al-Amouri a Mondoweiss.

Sugli scaffali, al-Amouri conserva cimeli del suo villaggio originale, compresi gli abiti tradizionali di sua madre e sua nonna, e gli attrezzi che suo padre e suo nonno usavano per coltivare le loro terre.

“Noi, la generazione più anziana, abbiamo la responsabilità di ricordare alle nostre nuove generazioni la loro casa e le loro terre, in modo che possano portare avanti i diritti dei loro genitori” dice.

La Nakba continua

Per molti palestinesi, la Nakba non è semplicemente un evento storico, ma un racconto della pulizia etnica che i palestinesi devono affrontare ancora oggi.

“Non c’è differenza tra l’anno 1948 e il 2022 per i palestinesi”, dice a Mondoweiss Mohammed Abu Jabal, 22 anni, un rifugiato palestinese di terza generazione di Askalan (ora noto come Ashdod) che vive a Gaza City.

“La gente ha continuato a perdere la propria casa ogni anno, proprio come nel 1948. L’anno scorso migliaia di persone hanno e lasciato le proprie case a Gaza a causa della guerra israeliana. Molti di loro sono tornati e hanno trovato le loro case distrutte e sono diventati di nuovo rifugiati” ha detto Abu Jabal, raccontando come nel 2021 era fuggito dalla sua casa, mentre suo padre era fuggito dalla sua casa a Gaza durante la guerra del 2014 e suo nonno dalla loro casa nel 1948.

“Dal 1948 fino ad oggi, la Nakba continua”, dice Abu Jabal.

“Ognuno in Palestina ha la sua Nakba, in ogni casa troverai qualcuno che è stato ucciso da Israele, qualcuno che è stato ferito e ha una disabilità, o qualcuno che, nonostante sia riuscito a sfuggire a morte e ferite, vive in povertà a causa dell’occupazione ,” aggiunge.

Abu Jabal  afferma che mentre l’obiettivo dell’occupazione israeliana è “distruggere lo spirito dei palestinesi”, lui crede che un giorno i palestinesi si alzeranno e trasformeranno il giorno della Nakba nel giorno dell’indipendenza della Palestina.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org