La “brutale solidarietà” tra Buffalo e la Palestina

La violenza che ha colpito la comunità afroamericana di Buffalo e i palestinesi in lutto per la morte di Shireen Abu Akleh parlano di un’oppressione condivisa.

Fonte:  english version

di Dave Zirin, 17 maggio, 2022

Immagine di copertina: La gente accende candele in un memoriale improvvisato vicino a un negozio di alimentari Tops a Buffalo, New York, il 15 maggio 2022, il giorno dopo che un suprematista bianco armato ha ucciso 10 persone.(Photo by Usman Khan / AFP via Getty Images)

“Quindi ci siamo trovati ripetutamente di fronte alla crudele ironia di guardare ragazzi neri e bianchi sugli schermi televisivi mentre uccidono e muoiono insieme per una nazione che non è stata in grado di farli sedere insieme nelle stesse scuole. Poi li osserviamo con brutale solidarietà mentre bruciano le capanne di un povero villaggio, ma ci rendiamo conto che non vivrebbero mai nello stesso isolato a Detroit.

-Martin Luther King Jr. “Oltre il Vietnam” 1967

“Brutale solidarietà”

Quelle parole risuonano pesanti nella mia testa  in seguito alle tragedie della scorsa settimana. Un suprematista bianco a Buffalo ha guidato per ore verso una delle città più emarginate del paese per aprire il fuoco sulle stesse persone che sono state vittime della storia di segregazione della città. Ha individuato la comunità nera di Buffalo, si è armato e ha iniziato ad uccidere.

Solo pochi giorni prima, un cecchino israeliano aveva ucciso una giornalista palestinese-americana di Al Jazeera di nome Shireen Abu Akleh. Dopo la tragedia, le forze israeliane hanno attaccato le persone che stavano partecipando al suo funerale. Il suo crimine è stato quello di cercare  di dire la verità sulla realtà della segregazione violenta e dell’espropriazione che definiscono l’apartheid israeliano.

Difficilmente i media tracciano un collegamento tra le due storie. Per i principali organi di stampa, essi sono a migliaia di chilometri di distanza- proprio come la reale distanza che separa Buffalo dalla Palestina.

Ma sono legati  dalla stessa “brutale solidarietà” che li accomuna. Questa è la solidarietà derivante dalla storia condivisa di essere preda del colonialismo europeo e della perversione del fucile. Le radici della violenza anti-nera sono state incessanti su questa terra, a partire dalla tratta transatlantica  degli schiavi alla storia del lavoro forzato, dei linciaggi e del terrore.

La radice della violenza contro i palestinesi da parte di Israele inizia con la fondazione dello stesso Israele nel 1948, l’espropriazione della terra palestinese – la Nakba – e gli accordi presi tra i coloni israeliani e l’Europa e gli Stati Uniti per creare un avamposto occidentale in Medio Oriente, armato fino ai denti e costruito su terra rubata. Quel processo è continuato nel presente con gli stessi insediamenti di cui Shireen Abu Akleh parlava.

È una “solidarietà brutale” forgiata dagli sforzi in Israele e negli Stati Uniti per eliminare l’insegnamento della storia, una guerra alla verità e ai fatti al servizio dell’oppressione e della violenza. In Israele, e sempre più negli Stati Uniti, parlare di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni contro lo stato israeliano in difesa pacifica della vita dei palestinesi significa mettersi un bersaglio alle spalle. Nel nostro paese, più di 40 stati hanno presentato leggi per smettere di insegnare quella che chiamano “teoria critica della razza”.

Hanno chiesto aiuto allo stato centrale, due anni dopo che le manifestazioni di massa seguite all’uccisione di George Floyd da parte della polizia avevano suscitato paura nei loro cuori, affinchè  abolisse  qualsiasi insegnamento sulla schiavitù e sul razzismo sistemico (senza una sbirciatina da parte di Elon Musk e dei suoi cagnolini nella brigata della libertà di parola ). Il manifesto dell’assassino di Buffalo, ovviamente, ha alimentato la retorica contro la teoria della critica della razza  da parte di Tucker Carlson di Fox News e dei suoi simili.

Vediamo anche la “brutale solidarietà” tra Buffalo e la Palestina nel panico dei loro oppressori: panico contro la verità, panico contro il pluralismo e contro la paura di essere sostituiti dall’altro. Negli Stati Uniti, questa è chiamata la teoria del “grande sostituto”. In Israele, le persone si riferiscono a “bombe  demografiche a orologeria”. In entrambi i casi, questi richiami alla paura sono anche un richiamo alla violenza. In entrambi i casi, gli sbruffoni televisivi e i politici razzisti si appropriano di queste teorie, aumentando la temperatura interna di coloro che sono predisposti a uccidere. La lana d’acciaio non è riuscita a strofinare via il sangue che macchia le mani di Tucker Carlson.

A volte sembra che la brutale solidarietà sia tutta la solidarietà che otteniamo, e cercare briciole di speranza può sembrare un’impresa simbolica e vuota. Ma c’è una speranza, e se vogliamo trovarla, sarà in una generazione giovane che è più diversificata e meno tollerante all’intolleranza di qualsiasi altra nella storia. È nei primi sforzi dei giovani palestinesi e neri che tentano di costruire ponti e collegare le loro esperienze comuni. È nel murale di Michael Brown che qualcuno ha dipinto sul muro dell’apartheid israeliano a Gaza. È negli sforzi dei giovani neri di visitare la Palestina quest’estate, condividere esperienze e fare qualcosa di veramente rivoluzionario: sostituire la brutale solidarietà con una solidarietà di speranza, forgiata non solo da esperienze condivise ma anche da lotte condivise.

Ma non possiamo neanche semplicemente incrociare le braccia e aspettare che i giovani ci salvino dalla catastrofe globale creata dalle generazioni precedenti. Non possiamo twittare per uscire da questo pasticcio. Abbiamo bisogno di sostenere gli emarginati dal punto di vista organizzativo, politico e finanziario, mentre ci mettiamo da parte  e facciamo spazio affinché loro guidino. La disperazione è naturale in questo momento. Lo sento nelle ossa. Ma il cinismo o le distrazioni fornite da una cultura della banale celebrità ci daranno soltanto ulteriore violenza. In nome di Shireen e dei caduti di Buffalo, dobbiamo agire.

Dave Zirin è il redattore sportivo di The Nation e l’autore di “The Kaepernick Effect: Taking a Knee, Changing the World”.

Traduzione di Nicole Santini -Invictapalestina.org