“Voglio che le persone si immaginino al mio posto”: un’intervista al poeta palestinese Mosab Abu Toha

Nella sua raccolta di poesie di debutto, “Cose che potresti trovare nascoste nel mio orecchio: poesie da Gaza”, Mosab Abu Toha scrive della vita quotidiana a Gaza: l’assedio, le guerre, la povertà e la disoccupazione. Mondoweiss ha intervistato Abu Toha nella sua casa di Gaza City sulla sua raccolta e sulle storie dietro le sue poesie.

Fonte: english version

Tareq S.Hajjaj – 18 maggio 2022

Immagine di copertina: Bambini palestinesi giocano a calcio davanti alle macerie delle case che sono state distrutte durante l’offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza nel quartiere di Shuja’iyya, a est di Gaza City, il 31 dicembre 2014. (Foto: Ashraf Amra/APA Images)

Dop aver incontrato Mosab Abu Toha, 29 anni, uno scrittore e poeta di Gaza la cui prima raccolta di poesie intitolata “Things You May Find Hidden in My Ear: Poems from Gaza” ha debuttato ad aprile, ci sono due cose che non posso negare.

Prima, è che la sofferenza produce creatività, e seconda, che scrittori e poeti non nascono come tali, ma piuttosto c’è un momento nella loro vita, o un sentimento profondo, che fa emergere lo scrittore che è in loro. Nel caso di Abu Toha, molti di questi sentimenti sono incentrati sulla depressione e sulla solitudine, qualcosa che molti di noi a Gaza provano.

“A Gaza, respirare è un compito, sorridere è eseguire interventi di chirurgia plastica sul proprio viso e alzarsi la mattina, cercando di sopravvivere un altro giorno, è tornare dalla morte”.

È così che Abu Toha esprime la vita a Gaza, una vita segnata da guerre inaspettate e dagli effetti di un lungo assedio. Nel suo libro “Things You May Find Hidden in My Ear: poems from Gaza”, Abu Toha accompagna i lettori in un viaggio che inizia dal momento in cui ha iniziato a scrivere poesie nel bel mezzo di un’offensiva israeliana a Gaza nel 2014.

In quasi ogni pagina, la sua raccolta di poesie presenta storie sulla povertà a Gaza, la vita sotto assedio, la disoccupazione, le bombe. Questo ovviamente non è un caso, poiché la poesia di Abu Toha è nata nel bel mezzo della guerra del 2014.

Mondoweiss ha intervistato Abu Toha nella sua casa di Gaza City sulla sua collezione e sulle storie dietro le sue poesie.

Mondoweiss: Quando hai iniziato a scrivere? Cosa ti ha spinto a iniziare a scrivere poesie?

Mosab Abu Toha è un giovane poeta palestinese a Gaza. Ha debuttato con la sua prima collezione di poeseie “Cose che potresti nel mio orecchio: poesie da Gaza” nell’aprile 2022

Abu Toha: Prima della guerra del 2014 non scrivevo, non avevo ancora scoperto il mio talento per la scrittura. Durante la guerra ho iniziato a scrivere di case bombardate e di persone uccise, ma in modo diverso dai telegiornali e dai soliti cantastorie.

Il trovare un pubblico che mi ha incoraggiato, mi ha spinto a considerare che scrivere avrebbe potuto darmi la possibilità di documentare la storia, non solo scrivendo quello che sta succedendo ora, ma immaginando come potrebbe essere la vita da altri luoghi e da altri punti di vista. Questo è un dovere che ho come poeta, immaginare la vita degli altri e viverla.

Coloro che sono morti in guerra, è stato solo un caso che loro siano morti e io sia sopravvissuto. Avrei potuto essere io al loro posto. Sono stato toccato dalle vite della famiglia Tanani, spazzata via nella guerra del 2014. Una famiglia di sei persone è stata spazzata via. Avrebbe potuto essere la mia famiglia, ma per caso il pilota dell’aereo da guerra ha scelto la loro casa invece della mia.

Immaginare che avrei potuto essere al loro posto mi ha ispirato una dolorosa poesia su di loro, intitolata “Shrapnel Looking For Laughter”. In questa poesia scrivo che quella scheggia non solo ha ucciso la madre e il padre, ma anche le risate che erano dentro la loro casa, le parole sui libri dei bambini. Anche la radio di casa: quando è stata distrutta, il produttore della stazione ha sentito la bomba  mentre trasmetteva la notizia.

Schegge  in cerca di risate

La casa è stata bombardata. Tutti morti:

i bambini, i genitori, i giocattoli, gli attori in TV, i personaggi dei romanzi,

i personaggi nelle raccolte di poesie, l’io, il lui e la lei.

Nessun pronome rimasto. Nemmeno per i bambini, quando imparano parti del discorso

l’anno prossimo. Le schegge volano nel buio,

cercano gli scoppi di risa della famiglia

risate che si nascondono dietro pareti

 squarciate e cornici sanguinanti. La radio

non parla più. Le sue batterie sono bruciate,

l’antenna è rotta.

Anche l’emittente ha sentito il dolore quando la radio è stata colpita. Anche noi, sentendo la bomba

mentre cadeva, ci lanciavamo

a terra, ciascuno di noi contando gli altri intorno a sé.

Eravamo salvi, ma i nostri cuori fanno ancora male.

 

Mondoweiss: Quindi sei ispirato dalle scene che vedi intorno a te?

Abu Toha: Sì. Guerra, assedio, sofferenza psicologica, negazione, privazione e così via. L’uomo è creato dall’ambiente che lo circonda. Se fossi nato nella giungla amazzonica, i miei scritti riguarderebbero alberi, passeri e lucertole.

Ho raggiunto l’età di 27 anni e non ho lasciato lasciato Gaza nemmeno una volta: questa è una privazione. Non ho mai avuto la possibilità di avere una veduta aerea di Gaza o di casa mia, perché non c’è un aeroporto.  Siamo assediati da tutte le parti. Alla fine ho capito che a Gaza ci è impedito persino di immaginare il mondo che ci circonda.

Mondoweiss: In alcune delle tue poesie, come in “Singhiozzando senza rumore”, parli delle cattive condizioni in cui vivono le persone a Gaza. Quali sono alcune delle tue esperienze personali su questo argomento?

“Cose che puoi trovare nascoste nel mio orecchio” la prima collezione di poesie di Mosab Abu Toha, ha debuttato nell’aprile 2022

Abu Toha: Desideriamo le cose più semplici. In questa epoca c’è un posto in cui le persone vorrebbero svegliarsi e trovare che l’elettricità non è andata via. Invece di pensare di studiare nelle più grandi università del mondo o di fare un viaggio nell’oceano, noi desideriamo ascoltare il suono degli uccelli senza il ronzio dei droni. I nostri desideri sono abitudini quotidiane per le altre persone: loro le vivono senza nemmeno  immaginare che ci siano persone a cui queste cose vengono negate.

Siamo sotto assedio e c’è sempre una guerra alle nostre porte e i nostri singhiozzi non sono ascoltati dal mondo. Siamo disperati e pieni di speranza per una vita normale.

Mondoweiss: Stavo per chiederti come la guerra ha influenzato i tuoi scritti, ma sembra che la guerra sia ciò che ti ha creato come scrittore. Come è successo?

Abu Toha: Quando leggi il lavoro di grandi poeti e scrittori, rimani colpito dall’ingiustizia che hanno descritto e di cui hanno scritto ai loro tempi. Ma scoprirai che i palestinesi hanno affrontato condizioni molto peggiori.

Siamo nel 21esimo secolo e viviamo ancora con la paura di andare in bagno, perché in un secondo forse la tua casa potrebbe essere bombardata e pensi: non voglio essere ucciso mentre sono nudo. Questi sentimenti umilianti suscitano il desiderio di esprimermi. Ho scoperto che scrivere è uno dei modi in cui posso esprimere i miei sentimenti per la guerra che sta accadendo nella mia testa.

Mondoweiss: In che modo le guerre hanno influenzato la tua infanzia e in che modo l’assedio ha continuato a influenzare la tua vita?

Abu Toha: Quando scrivo, scrivo a nome della mia generazione. L’occupazione ci ha  rubato l’infanzia.

Ricordo che quando ero bambino, c’erano lezioni a scuola, come geografia, durante la quale c’era un’attività che parlava di andare in gita su una montagna in Palestina e di andare alla scoperta di uno zoo. Ma a quel tempo, quelle cose non erano possibili per noi, e non sono ancora possibili.

Ora ogni guerra ci porta via qualcosa, dalle nostre anime e dalle nostre vite. Ecco perché cresciamo così in fretta. Avevo nove anni quando ho visto un elicottero sparare contro un edificio e farlo crollare.

Vivendo in queste condizioni, siamo costretti a lasciarci alle spalle la nostra infanzia. La guerra ci invecchia, aumentando la nostra sofferenza e il nostro dolore. Ora che sono padre, mi vedo attraverso gli   occhi dei miei tre figli, che ora vivono in condizioni ancora peggiori di quando io ero bambino.

Mondoweiss: Pensi che i tuoi figli vivranno in condizioni peggiori o migliori di quando tu eri bambino?

Abu Toha: Spero che le cose non peggiorino. Spero che possiamo dare migliori condizioni di vita a tutti i bambini come i miei figli. Personalmente, sono in una situazione leggermente migliore rispetto a quella di mio padre quando io ero bambino, quindi posso dare ai miei figli ciò che non ho potuto avere io. Ancora ora chiedo ironicamente a mia madre una stanza piena di giocattoli, perché da piccolo non ho potuto averne una.

Mondoweiss: In tutto il libro includi molti temi e motivi sull’oscurità. Questo riflette la tua visione di come sarà una Gaza del futuro? O è più un riflesso della situazione attuale?

Abu Toha: La maggior parte delle mie poesie parla dell’oscura realtà di Gaza. La gente qui pensa alla morte e alle guerre, non può pensare al domani o al futuro, perché temiamo sempre che la storia si ripeta.

A Gaza, le persone misurano la propria vita e il proprio tempo con la guerra. Ad esempio, qualcuno direbbe: “Mio figlio è nato durante la guerra, oppure mio figlio è nato 2 mesi dopo la guerra”.

È vero che nel mio libro parlo di guerre e distruzioni, ma ne descrivo i dettagli nascosti. Scrivo ciò che le telecamere non possono mostrare, come le schegge che prendono di mira i sorrisi e le risate per uccidere.

Quando scrivo in inglese, penso a un ascoltatore occidentale come se stessi parlando direttamente con lui per dirgli cosa sta succedendo qui a Gaza. Avevo un amico che era un giocatore di football e un pescatore. È stato ucciso dalla marina israeliana mentre era in mare. La sua morte mi ha davvero colpito, quindi ho scritto di lui in una poesia. Ho scritto: “Il suo corpo non galleggerà sull’acqua, perché le navi sparpagliate non galleggiano”.

Scrivo delle nostre condizioni per raccontare al mondo la vita ingiusta che viviamo. Questo è il mio dovere, parlare del mio popolo.

Mondoweiss: Hai una poesia intitolata “Mio nonno è un terrorista”, in cui descrivi tuo nonno che fa cose normali e banali come raccogliere arance, prendere il tè e fumare una sigaretta. Puoi dirci qual è il messaggio nell’avere dato  quel titolo alla poesia?

Abu Toha: L’occupazione tenta di manipolare le azioni delle vittime – i palestinesi – e di trasformarli in terroristi. Se qualcuno odia qualcun altro, penserà che tutto ciò che fa è male. Ad esempio, se lo vedesse prendersi cura del suo arancio, penserebbe che sta pianificando di usarlo contro di lui. Se lo vedesse andare nella sua terra, penserebbe che lo attaccherà. Le persone sotto la copertura dell’occupazione hanno sempre paura di noi, qualunque cosa facciamo, perché sanno che non è la loro casa o la loro terra.

Per me, mio ​​nonno rappresenta la Palestina. L’occupante pensa che mio nonno o qualsiasi palestinese sia un terrorista, ma io mostro chi erano veramente.

Mio nonno era un terrorista

Mio nonno era un terrorista… Si occupava del suo campo,

innaffiava le rose nel cortile,

 fumava con la nonna sigarette sulla spiaggia gialla,

sdraiato lì come un tappeto da preghiera.

 

Mio nonno era un terrorista…

Raccoglieva arance e limoni,

andava a pescare con i fratelli fino a mezzogiorno, durante il tragitto

dal maniscalco col suo cavallo pezzato

cantava una canzone confortante.

 

Mio nonno era un terrorista…

Preparava una tazza di tè con il latte,

sedeva sulla sua terra verdeggiante, morbida come seta,

 

Mio nonno era un terrorista…

Uscì di casa, lasciandola agli ospiti che venivano, lasciò in tavola dell’acqua, la migliore,

affinché gli ospiti non morissero di sete dopo la loro conquista.

 

Mio nonno era un terrorista…

Camminò verso la città sicura più vicina, vuota come il cielo cupo,

vacante come una tenda deserta, buia come una notte senza stelle.

 

Mio nonno era un terrorista…

Mio nonno era un uomo,

un capofamiglia di dieci,

il cui lusso era avere una tenda,

con una bandiera blu delle Nazioni Unite posta sul palo arrugginito, sulla spiaggia accanto a un cimitero.

 

Mondoweiss: In che modo la scrittura ti aiuta a sopportare la guerra?

Abu Toha: Penso che scrivere a volte sia una terapia, ma non necessariamente un’autoterapia. Incubi inspiegabili arrivano a qualsiasi persona, scrivere in modo creativo in qualche modo aiuta a mettere da parte questi pensieri che rimangono nelle nostre anime; improvvisamente queste idee e pensieri compaiono sulla carta.

A volte mi chiedo, quale peccato abbia  commesso il foglio per dover racchiudere in sé  tutte quelle morti e distruzioni, quale peccato ha commesso!

Penso che scrivere sia un modo di fare terapia. Non voglio dire che mi curo, ma a volte non riusciamo a interpretare gli incubi. Il trauma della guerra rimane nelle nostre anime, non si manifesta necessariamente immediatamente ma col tempo, il suo effetto viene dopo, spinto da un’azione familiare o anche da una parola.

Mondoweiss:  Cosa speri che resti alle persone dopo aver letto questa raccolta?

Abu Toha:Spero che il mio libro trovi una via nei sentimenti e nei pensieri dei lettori, suscitando non solo simpatia, ma magari trasformandola in un tentativo di cambiamento. Le persone in Occidente possono svolgere un ruolo efficace all’interno delle loro società per agire contro la nostra occupazione e sofferenza. Per porre fine alle guerre e all’assedio, possono esortare i loro governi a compiere passi concreti per ottenere giustizia per la questione palestinese.

Voglio che le persone sappiano che non abbiamo scelto di nascere in questo posto, così come loro non hanno scelto di nascere nei loro Paesi. Voglio che le persone si immaginino al mio posto, sotto assedio, circondati dall’occupazione. Non puoi viaggiare, la tua vita è piena di guerre e non sai se sopravviverai o no. Non hai ripari, nemmeno un casco da indossare quando stai scappando dalle bombe.

Immagina, accetteresti quel tipo di vita per te stesso?

 

*”Schegge in cerca di risate” e “Mio nonno era un terrorista” da “Cose che potresti trovare nascoste nel mio orecchio: poesie da Gaza”. Copyright (c) 2022 di Mosab Abu Toha. Ristampato con il permesso di City Lights Books

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org

 

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