Mentre la marcia della bandiera dei coloni israeliani attraverso la Città Vecchia di Gerusalemme è infarcita fino al midollo di razzismo coloniale, essa rivela anche un’ansia di appartenenza che il sionismo non potrà mai soddisfare.
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Omar Zahzah – 28 maggio 2022
Immagine di copertina: I coloni sventolano bandiere israeliane mentre entrano alla Porta di Damasco durante la marcia nazionalistica nella Città Vecchia di Gerusalemme, 2 giugno 2019. (Foto: Afif Amera/WAFA)
Non c’è danza macabra come l’insopportabile sequenza di omicidi che punteggiano il crimine rappresentato dalla guerra dell’entità sionista alla vita palestinese. Non ci sono vere pause di cui parlare rispetto a questa melodia terrificante, perché gli unici momenti che assomigliano a qualcosa di simile a una cessazione sono quelli in cui si combatte e i luoghi di dolore e panico anticipatorio che sembrano arrivare quasi troppo tardi, perché non appena diventiamo consapevoli di questi stati, la cacofonia omicida ricomincia.
Se solo il linguaggio esistesse per catturare ciò che è impossibile da provare, quelle sensazioni sarebbero ugualmente inflitte; e non solo uno stato di lutto perpetuo, perché questo è almeno definibile, se non meno insopportabile. No, c’è di più: è anche il peso terribile tra la discordanza tra il lutto perpetuo (che include la certezza del lutto a venire) e il fatto che, a 74 anni di distanza, anche se la facciata continua a incrinarsi, ci sono ancora luoghi comuni che sanciscono questo status quo o, peggio ancora, lo biasimano, chiedendoci di tacere sull’essere massacrati impunemente, sulla distruzione per capriccio delle nostre case, di ingoiare il nostro sudore, le nostre lacrime e il nostro sangue oltre al peso insopportabile di una falsa “pace”: chiederci di dire che andava bene, di abbandonare le nostre chiavi nella polvere o, se non possiamo farlo, almeno di morire in silenzio affinché un’establishment liberale, che definisce il genocidio sanzionato dallo stato come un antidoto all’orrenda oppressione, possa sospirare di conforto.
74 anni sarebbero considerati un segno di maturità in una persona. È quindi molto più che ragionevole presumere che sia trascorso un tempo più che sufficiente (tempo che per cominciare non sarebbe mai dovuto passare in questo modo, e non sarebbe passato se non fosse che l’imperialismo ha sancito l’odierno sistema coloniale di coloni ) per i vari politici che piagnucolano di “pace” e di “stabilità” per crescere, perché smettano di agitarsi nervosamente e rifiutino l’idea che la nostra vita collettiva debba essere il prezzo di un’atrocità con cui i palestinesi non hanno nulla a che fare.
Devono rifiutarlo, in primo luogo, perché è assolutamente astorico. Ma nella sua stessa natura astorica, possiamo intravedere quanto profondamente la disumanizzazione palestinese sia stata e rimanga radicata nella politica imperiale capitalista statunitense. Questo è senza dubbio parte di ciò che potremmo considerare il successo, se non addirittura la magia etica del sionismo, che alla fine è riuscito – mai completamente, ma potremmo dire abbastanza bene – a cancellare le proprie aspirazioni coloniali e la propria violenza entro la radicalmente sottosviluppata coscienza politica della cultura egemonica statunitense.
Qualunque cosa si potesse dire sui palestinesi e sugli arabi in senso lato, non importa quanto ridicolo, doveva essere creduto. Nel frattempo, il sionismo era praticamente intoccabile, tanto che palestinesi e arabi potevano essere sorvegliati, espulsi, cancellati dalla vita pubblica, persino assassinati per le loro critiche.
Si potrebbe obiettare – giustamente, direi – che molti di questi funzionari non credono davvero a quello che stanno dicendo, che gli interessi geo-imperiali determinano le loro mosse e che le ragioni che forniscono non sono altro che un livello di apparente difesa artificiale . Ed è proprio questo il problema. Per i palestinesi, certamente non c’è mai stato alcun tipo di “apparenza” che potesse giustificare ciò che ci è stato inflitto fin dall’inizio della Nakba, ma in questo momento non c’è nemmeno alcuna apparenza di cui parlare all’interno della politica tradizionale.
Attraverso le telecamere, abbiamo visto l’entità sionista infliggere ogni possibile tipo di violenza, l’abbiamo letta sui giornali, guardata sui nostri computer e cellulari. Abbiamo visto finte dita puntate e sentito variazioni su “siamo molto preoccupati” ripetute così spesso da punteggiare molte delle nostre infanzie e della nostra prima età adulta. Tuttavia, il denaro fluisce per garantire che il sangue palestinese continui a scorrere
Ma sta succedendo anche qualcos’altro. Ciò con cui convivono i palestinesi sotto la supremazia coloniale sionista, non solo le forme e le condizioni di violenza spettacolari, ma anche quelle quotidiane, vengono sempre più trasmesse. E mentre ciò accade, nella brutalità sionista non c’è nè rimorso, nè riservatezza.
Sta andando abbastanza bene, gonfiandosi in dimensioni e modalità sempre più arroganti.
L’entità sionista ha brutalmente assassinato il quindicenne Zaid Ghneim, il terzo bambino palestinese martirizzato nell’arco di una settimana. Otto comunità palestinesi a Masafer Yatta (situata nel sud della Cisgiordania) possono vedersi distrutte le case in qualsiasi momento a causa di una sentenza disumana dell’Alta Corte sionista. Dopo l’assassinio della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, le forze sioniste hanno iniziato la pratica continua di aggredire i palestinesi ai funerali.
Come se tutto ciò non fosse abbastanza orrendo, questa domenica, 29 maggio, i coloni sionisti fascisti terranno una marcia con la bandiera in tutte le aree palestinesi della Città Vecchia di Gerusalemme. Impregnata fino al midollo dal razzismo coloniale, questa marcia ha lo scopo di celebrare la presa di Gerusalemme Est da parte delle forze sioniste nel 1967. Evento durante il quale nel 2021 si sentirono frotte di coloni fascisti cantare “morte agli arabi”, la marcia con la bandiera non è che una provocazione razzista. Eppure il commissario di polizia sionista Kobi Shabtai insiste sul fatto che i coloni hanno il diritto di organizzare l’evento.
Ma nell’apparente sicurezza dell’escalation della violenza, della spavalderia sfacciatamente fascista, si nasconde un’ansia di appartenenza. Ed è questa ansia che guida la continua spietatezza della brutalità sionista contro i palestinesi. Perché, come scrive Steven Salaita, “Il colono non ha bisogno di una “ragione” per uccidere il nativo. Il colono uccide perché sradicare il nativo è una precondizione della sua identità sociale”.
Il colono sionista – lo squatter affrancato, la colonizzazione fascista con giochi di ruolo – è talvolta definito come la “frangia” della società sionista, ma ne è il cuore vuoto e pulsante. Sospeso in uno stato di irresolutezza internazionale e brutale impazienza giovanile, con ogni suo atto di violenza il colono esercita la storia e il futuro dello stato sionista. Uno stato coloniale nato e sostenuto nel sangue palestinese. Uno stato la cui “statualità”, le cui possibilità di affiliazione, sono in definitiva di orientamento negativo, negative perché possono esistere solo attraverso e con la negazione del nativo, il palestinese.
Ma il palestinese ha ciò che il colono non raggiungerà mai, non potrà mai realizzare: una storia. Una rivendicazione. Una narrativa.
Una cultura.
Minacciato da questa intrinseca dimostrazione di legittimità, di appartenenza senza sforzo, il colono attacca. Distrugge e spezza le storie finché non riguardano lui. Sventola una bandiera i cui colori, nonostante tutti i suoi slogan e la sua allegria, mai appariranno così profondi come il rosso, il bianco, il verde e il nero. E, naturalmente, uccide. Uccide anche se le vite che prende continuano a sopravvivergli nella posterità e nelle connessioni.
Uno stato definito da e attraverso la negazione, attraverso il razzismo e la supremazia legittimata, è uno stato che funziona su un tempo preso in prestito. I coloni potranno marciare domenica. E potranno sventolare le loro bandiere.
Ma la loro bandiera, come il loro stato, cadrà.
E possa quella caduta essere tanto rapida quanto sicura.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralemente uguali” -Invictapalestina.org