Dalla seconda guerra mondiale e dalla fondazione dello stato di Israele nel 1948, la storia araba palestinese e quella israeliana sono state ineluttabilmente legate . I sionisti israeliani si sono appropriati di eventi nella storia ebraica, olocausto compreso, per scopi propagandistici per asserire il loro “diritto” sulla Palestina-una terra su cui avevano avanzato la loro sospetta pretesa coloniale mezzo secolo prima del genocidio. Appropriandosi dell’Olocausto, Israele afferma che qualsiasi riconoscimento del genocidio è un riconoscimento del “diritto di Israele a esistere come stato ebraico”, mentre qualsiasi tentativo di negare questo diritto è negare l’Olocausto.
Fonte: english version
di Joseph Massad, 29 Maggio 2022
I sionisti israeliani hanno utilizzato il genocidio degli ebrei per obiettivi propagandistici nella rivendicazione del loro diritto alla terra della Palestina storica. L’Ong SHARAKA, che unisce israeliani e cittadini dei paesi del golfo, si è recentemente vantata di aver organizzato un viaggio ad Auschwitz con una delegazione araba per commemorare le vittime dell’olocausto. Tra partecipanti c’erano attivisti,politici e media influencer da Siria, Libano, Arabia saudita, Giordania, Egitto, Turchia, Marocco, Gerusalemme est occupata , Emirati arabi e Bahrain. Fondato verso la fine del 2020 in seguito alla ratifica degli accordi di “Abramo”, l’organizzazione Sharaka ha l’obiettivo di costruire legami tra giovani israeliani e i leader dei paesi del golfo. Anche circa 100 cittadini palestinesi di Israele hanno partecipato alla commemorazione. Mentre i delegati dei vari paesi arabi che hanno parlato con la stampa non hanno fatto cenno alla continua oppressione del governo israeliano contro il popolo palestinese, questi ultimi hanno parlato di come ,nel parlare dell’importanza di commemorare l’olocausto, volessero rafforzare i legami arabo israeliani e vedere “gli arabi unirsi volontariamente agli israeliani”.
Dalla seconda guerra mondiale e dalla fondazione dello stato di Israele nel 1948, la storia araba palestinese e quella israeliana sono state ineluttabilmente legate . I sionisti israeliani si sono appropriati di eventi nella storia ebraica, olocausto compreso, per scopi propagandistici per asserire il loro “diritto” sulla Palestina-una terra su cui avevano avanzato la loro sospetta pretesa coloniale mezzo secolo prima del genocidio. Appropriandosi dell’Olocausto, Israele afferma che qualsiasi riconoscimento del genocidio è un riconoscimento del “diritto di Israele a esistere come stato ebraico”, mentre qualsiasi tentativo di negare questo diritto è negare l’Olocausto. Questa formula è stata sancita nella Dichiarazione della fondazione dello Stato di Israele del 1948: “L’Olocausto nazista, che ha travolto milioni di ebrei in Europa, ha dimostrato nuovamente l’urgenza di ripristinare uno stato ebraico, che risolverebbe il problema dei senzatetto ebrei, aprendo la porta a tutti gli ebrei ed elevando il popolo ebraico all’uguaglianza nella famiglia delle nazioni». Israele iniziò a usare l’Olocausto in modo più insistente negli anni ’60 e ‘70 in difesa della violenza coloniale israeliana contro i palestinesi. Palestinesi e altri arabi sono stati chiamati ad accettare il legame tra l’Olocausto e il “diritto di esistere come Stato ebraico” di Israele come un pacchetto.
L’ex primo ministro israeliano David Ben-Gurion ha affermato inequivocabilmente che “lo stato ebraico è l’erede dei sei milioni [di ebrei morti nell’Olocausto)… l’unico erede”.
Trappola ideologica
La risposta di palestinesi e arabi a questo collegamento si è diversificata. Alcuni, cadendo nella trappola ideologica sionista, hanno argomentato che se accettare l’Olocausto significa accettare il diritto di Israele di essere uno stato coloniale e razzista, allora l’Olocausto deve essere negato o almeno messo in discussione. Al contrario, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), insieme a molti intellettuali arabi, ha attivamente cercato di slegare i due eventi. Questi tentativi sono stati condannati da Israele, che respinge anche la tesi palestinese secondo cui i sopravvissuti all’Olocausto hanno lasciato l’Europa come rifugiati ma sono arrivati in Palestina come coloni armati. Secondo il libro di Hanna Yablonca (Survivors of the Holocaust)il fatto che circa 22.000 soldati, o un terzo dell’esercito sionista, l’Haganah, e metà della sua forza combattente durante la guerra del 1948 erano sopravvissuti all’Olocausto è fondamentale, poiché gli stessi hanno partecipato all’espulsione dei Palestinesi e a molti orribili massacri. Come sottolinea Tom Segev nel suo libro Il settimo milione, i sopravvissuti all’Olocausto hanno anche preso parte al saccheggio e alla razzia delle proprietà palestinesi. Nei media israeliani, una foto di soldati israeliani che cacciavano palestinesi riportava la didascalia: “ si noti il numero tatuato sul braccio del soldato di guardia. Molti degli immigrati che hanno attraversato l’inferno dei campi di concentramento europei non hanno il giusto atteggiamento nei confronti dei prigionieri arabi dello stato”.
I sopravvissuti al ghetto di Varsavia, per fare un esempio importante, costruirono il kibbutz Lohamei HaGeta’ot, che ospita il Museo dei combattenti del ghetto, in cima al villaggio palestinese distrutto di al-Sumayriyya, i cui abitanti furono espulsi durante la guerra del 1948. Molti palestinesi hanno sostenuto che l’Olocausto è stato un crimine cristiano europeo che il popolo palestinese è costretto ad espiare.
Da parte sua, I’OLP ha sempre distinto tra sionisti ed ebrei. In questo, differisce nettamente da Israele e dai suoi sostenitori, che identificano il sionismo e Israele come “ebrei” e avanzano la rivendicazione coloniale del sionismo sulla Palestina sulla base dell’ebraicità.
L’OLP ha sempre rifiutato questo accoppiamento, definendo Israele non lo “Stato ebraico” ma “l’entità sionista”. Israele considera questo un segno di antisemitismo palestinese. L’OLP ha sempre voluto dimostrare la sua simpatia per gli ebrei vittime dell’Olocausto e condannare i nazisti. Quando l’ex leader palestinese Yasser Arafat si rivolse all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1974, “condannò apertamente (ndr] i massacri di ebrei sotto il dominio nazista”; sottolineando che la lotta palestinese non era contro gli ebrei, ma contro il “Sionismo razzista”. Negli ultimi anni Hamas ha adottato questa posizione quasi alla lettera.
Inoltre, dopo aver esaminato le atrocità britanniche e sioniste contro il popolo palestinese, Arafat aveva sottolineato che “i palestinesi]deplorano tutti quei crimini commessi contro gli ebrei … [e] la vera discriminazione che hanno subito a causa della loro fede”.
“Vittime dei nuovi nazisti’
Per il 40° anniversario della rivolta del ghetto di Varsavia del 1943, l’OLP aveva annunciato l’intenzione di deporre una corona commemorativa al monumento del ghetto di Varsavia per onorare “gli eroi ebrei”. A differenza della delegazione Sharaka, che cerca di mostrare solidarietà con Israele piuttosto che con gli ebrei vittime dell’Olocausto, Fuad Yassin, rappresentante dell’OLP in Polonia, in quell’occasione, aveva affermato che gli ebrei morti combattendo per respingere gli occupanti tedeschi sono “i nostri compagni e fratelli …consideriamo questi gli eroi ebrei”.
Il piano dell’OLP suscitò immediatamente le proteste dei leader del Simon Wiesenthal Center, un gruppo statunitense che partecipava alla commemorazione. Il rabbino Alexander Schindler, il leader della delegazione statunitense, espresse indignazione: “La partecipazione di coloro che uccidono donne e bambini ebrei e che celebrano Il massacro di innocenti rappresenterebbe un’orrenda presa in giro di tutto ciò che questa commemorazione rappresenta. Yassin si dimostrò stupito; per lui i palestinesi volevano onorare gli eroi del Ghetto perché, disse: ”stiamo ancora affrontando quel tipo di fascismo contro il nostro popolo”. Alla cerimonia, Yassin, accompagnato da altri delegati dell’OLP, depose una corona di fiori al monumento e affermò: “Ho deposto una corona di fiori perché il popolo ebraico è stato vittima del nazismo e il popolo palestinese è la vittima dei nuovi nazisti… i sionisti e Israele”.
Israele ordinò ai suoi delegati di tornare a casa per protesta.
Gli accordi di Oslo del 1993 non hanno smorzato i tentativi di Israele di paragonare i palestinesi ai nazisti. Quando l’allora presidente polacco Lech Walesa pianificò di invitare i vincitori del Premio Nobel per la pace, tra cui Arafat, al 50° anniversario della liberazione di Auschwitz nel gennaio 1995, i sopravvissuti all’Olocausto, i funzionari dello Yad Vashem e i gruppi ebraici andarono su tutte le furie.
Il capo della Mengele Twins Organisation dichiarò che “Arafat non deve essere per forza ad Auschwitz … egli rappresentava una continuazione di ciò che i nazisti avevano fatto”. Il Congresso ebraico europeo chiese il boicottaggio dell’evento perché Arafat “rappresentava una grande sofferenza per il popolo ebraico”. Con l’aumento della pressione contro il governo polacco, Walesa decise di non invitare i premi Nobel.
Protesta pubblica
Arafat fu persuaso nel 1998 dall’amministrazione Clinton a fare una visita all’Holocaust Memorial Museum di Washington DC. Il museo, tuttavia, respinse l’intervento di apertura di Arafat. I membri della comunità ebraica americana avvertirono il direttore del museo Walter Reich che “questo (Arafat] è l’incarnazione di Hitler” I funzionari israeliani applaudirono al rifiuto, ma ci fu una protesta pubblica a Washington.
Di fronte a una ribellione da parte del consiglio del museo, Miles Lerman, presidente dell’Holocaust Memorial Council, estese l’ invito ad Arafat. Un funzionario dell’ambasciata israeliana spiegò che se Arafat “fosse venuto a conoscenza dell’Olocausto e non lo avesse negato, tanto meglio”. Il presidente della direzione dello Yad Vashem aggiunse: “Forse Arafat sarà più riluttante a negare [l’Olocausto]”.
Il fatto che né Arafat né l’OLP avessero mai negato l’Olocausto e avessero sempre espresso solidarietà alle sue vittime era irrilevante per tale propaganda. Alla fine Arafat decise di non andare.
Con il tardivo invito al museo, il consenso sionista e israeliano su Arafat e l’Olocausto sembrava non reggere più. Poiché la condanna israeliana di Arafat, l’OLP e qualsiasi tentativo palestinese di mostrare solidarietà all’Olocausto continuò fino al 1994, questo improvviso cambiamento di atteggiamento era riconducibile ad unarecente resa di Arafat a Israele.
La potenziale visita di Arafat al museo non doveva essere organizzata come una manifestazione di solidarietà tra un popolo che continuava ad essere vittima dell’oppressione e un altro popolo che in passato era stato vittima dell’oppressione ma non lo era più, ma piuttosto come un’affermazione da parte di Arafat che capiva e simpatizzava con Israele, di cui aveva perdonato i crimini dalla firma degli accordi di Oslo.
L’Autorità Palestinese si è arresa tre decenni fa… ma i popoli palestinese e arabo continuano a resistere a questa riscrittura israeliana della storia sia palestinese che ebraica.
La sua visita avrebbe ratificato l’acquiescenza palestinese nel considerare l’Olocausto come una giustificazione del “diritto di esistere” di Israele come entità coloniale. La possibile visita di Arafat ricorda la visita di Anwar Sadat allo Yad Vashem nel 1977 in compagnia di Menachem Begin. Anche La visita di Sadat, come quella di Arafat, rappresentò una sottomissione simbolica all’appropriazione israeliana dell’Olocausto. La sottomissione dell’OLP alla riscrittura israeliana del colonialismo sionista era iniziata già prima di Oslo. Parte del prezzo per la Conferenza di pace di Madrid del 1991 è stata l’abrogazione, nel dicembre 1991, della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1975 che definiva il sionismo come “una forma di razzismo e discriminazione razziale”. Castigando le proteste contro il razzismo israeliano come antisemitismo genocida, l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Chaim Herzog, disse ai delegati dell’Assemblea generale, quando la risoluzione fu approvata nel 1975, che Hitler si sarebbe sentito a casa tra loro.
Il continuo tentativo israeliano di coinvolgere palestinesi e altri arabi con la storia dell’Olocausto è un tentativo di deviare l’impegno palestinese e arabo lontano dal presente sionista ebraico e israeliano e un tentativo di giustificare gli incessanti crimini di Israele contro il popolo palestinese.
Le richieste israeliane che palestinesi e arabi commemorino l’Olocausto non riguardano affatto l’Olocausto, ma l’altra parte della formula, vale a dire il riconoscimento e la sottomissione al “diritto di esistere” di Israele come stato ebraico razzista coloniale. L’Autorità Palestinese ha gettato la spugna tre decenni fa, così come i governi arabi che hanno firmato accordi di pace con Israele, ma i popoli palestinese e arabo continuano a resistere a questa riscrittura israeliana della storia sia palestinese che ebraica.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.
Joseph Massad è professore di politica araba moderna e storia intellettuale alla Columbia University di New York. È autore di numerosi libri e articoli accademici e giornalistici. I suoi libri includono Colonial Effects: The Making of National Identity in Jordan; Desiring Arabs; The Persistence of the Palestinian Question: Essays on Zionism and the Palestinians,(La persistenza della questione palestinese: saggi sul sionismo e sui palestinesi) e, più recentemente, l’Islam nel liberalismo. I suoi libri e articoli sono stati tradotti in una dozzina di lingue.
Traduzione di: Nicole Santini -Invictapalestina.org