Indagine ONU: l’impunità per Israele genera abusi

“La cultura dell’impunità genera ulteriori violazioni dei diritti umani”, secondo il rapporto.

Fonte: english version

Di Maureen Clare Murphy – 8 giugno 2022

Immagine di copertina: Un soldato impedisce a un lavoratore palestinese di attraversare il muro di Israele vicino al checkpoint di Meitar fuori dalla città di Hebron, in Cisgiordania, aprile 2022. Oren Ziv ActiveStills

Una Commissione d’inchiesta indipendente ha pubblicato un rapporto che esamina il sistema di oppressione israeliano contro i palestinesi nel suo insieme, la prima indagine del genere intrapresa dalle Nazioni Unite.

La Commissione è stata formata dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite dopo l’offensiva israeliana a Gaza nel maggio 2021. Più di 260 palestinesi a Gaza sono stati uccisi nell’assalto di 11 giorni mentre circa una dozzina di persone sono rimaste ferite a morte in Israele.

Come notato nel rapporto della Commissione d’inchiesta, quell’escalation “è stata innescata dalle proteste contro l’imminente sfratto delle famiglie palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est a beneficio dei coloni”, proteste che si sarebbero diffuse in tutta la Cisgiordania e Israele.

Il rapporto di 18 pagine degli investigatori, pubblicato martedì, esamina in gran parte i risultati e le raccomandazioni di una lunga serie di precedenti missioni conoscitive e commissioni d’inchiesta delle Nazioni Unite e organizzazioni per i diritti umani, la maggior parte delle quali sono state ignorate.

La Commissione afferma che lo smantellamento dell’occupazione israeliana imposta ai palestinesi in Cisgiordania e Gaza dal 1967 “rimane essenziale per porre fine al persistente ciclo di violenza”.

“La cultura dell’impunità genera ulteriori violazioni dei diritti umani”, secondo il rapporto.

Gli investigatori sottolineano “la mancanza di responsabilità per coloro che lanciano razzi Qassam indiscriminatamente su aree civili in Israele, così come la mancanza di responsabilità per le morti di civili causate dalle attività militari israeliane a Gaza”.

Accesso

I tre investigatori della Commissione, guidati da Navi Pillay, giurista sudafricano ed ex Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, non hanno potuto accedere a nessuno dei territori della Palestina storica.

L’Egitto non ha risposto alle richieste di accesso a Gaza attraverso il valico di Rafah e la Commissione non ha ricevuto risposta dalle autorità di Hamas nella Striscia.

L’Autorità Palestinese ha collaborato con la Commissione, ma Tel Aviv ha negato agli investigatori l’accesso a Israele e alla Cisgiordania.

Israele ha dichiarato il suo rifiuto di avviare l’indagine non appena è stato incaricato dal Consiglio per i Diritti Umani alla fine di maggio 2021.

Nessuno Stato dell’Unione Europea ha votato a favore della risoluzione che istituisce la Commissione permanente e Austria, Germania e Repubblica Ceca hanno votato contro. Anche il Regno Unito si è opposto alla risoluzione.

Gli Stati Uniti non hanno votato perché hanno lasciato il Consiglio per i Diritti Umani durante la presidenza di Donald Trump. Quella decisione è stata annullata dall’amministrazione di Joe Biden l’anno scorso.

Martedì, il Dipartimento di Stato americano ha espresso la sua opposizione alla “natura aperta e vagamente definita” della Commissione d’inchiesta, affermando che “rappresenta un approccio unilaterale e parziale che non fa nulla per far avanzare le prospettive di pace”.

Non è insolito che Washington accusi il Consiglio per i Diritti Umani di pregiudizi contro Israele.

In realtà, tuttavia, Israele gode di un’eccezione alla responsabilità nel sistema delle Nazioni Unite, grazie agli Stati Uniti e ad altri potenti alleati.

Human Rights Watch ha dichiarato l’anno scorso al Consiglio per i Diritti Umani che gli Stati occidentali hanno “supportato ogni meccanismo di responsabilità creato da questo Consiglio negli ultimi anni, su Siria, Yemen, Burundi, Myanmar, Bielorussia, Venezuela”.

Solo per quanto riguarda Israele e i suoi abusi contro i palestinesi, questi Stati “si sono rifiutati costantemente di perseguirne le responsabilità”.

Impunità

La falsa affermazione di pregiudizi anti-israeliani alle Nazioni Unite, spesso esercitata da Israele e dai suoi gruppi di lobby, è stata recentemente riproposta in un editoriale del New York Times che chiedeva la responsabilità per l’uccisione della corrispondente di Al Jazeera Shireen Abu Akleh.

Abu Akleh, cittadina statunitense, è stata ferita a morte il mese scorso mentre copriva un’operazione israeliana nel campo profughi di Jenin, nel Nord della Cisgiordania. Testimoni oculari e sopravvissuti affermano che Abu Akleh e i suoi colleghi sono finiti sotto il fuoco israeliano in un momento in cui non c’erano scontri con palestinesi armati.

Le indagini dell’Autorità Palestinese e dei gruppi israeliani per i diritti umani, nonché del gruppo di ricerca Bellingcat e dei media CNN e Associated Press indicano tutte la responsabilità israeliana per la morte di Abu Akleh.

L’amministrazione Biden ha rinviato l’autoindagine dell’esercito israeliano sull’omicidio di Abu Akleh, affermando che “gli israeliani hanno i mezzi e le capacità per condurre un’indagine approfondita e completa”.

 

La Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, tuttavia, osserva che una missione conoscitiva sull’offensiva israeliana del 2008-2009 a Gaza “concludeva che c’erano seri dubbi sulla volontà di Israele di condurre indagini autentiche in modo imparziale, indipendente, tempestivo ed efficace come previsto dal diritto internazionale”.

Tale Commissione d’inchiesta ha anche “ritenuto che il sistema presentasse caratteristiche intrinsecamente discriminatorie che rendevano estremamente difficile il perseguimento della giustizia per le vittime palestinesi”.

Poco è cambiato negli anni seguenti, come osservato nei successivi studi delle Nazioni Unite citati dalla Commissione.

Gli esperti dichiarano nel loro rapporto pubblicato martedì che “valuteranno attentamente le responsabilità degli Stati terzi” insieme a quelle dei “soggetti privati”, potenzialmente società che traggono profitto ed enti di beneficenza che finanziano attività di insediamento, “nelle continue politiche di occupazione”.

Gli investigatori notano “la recente dimostrazione della capacità degli Stati terzi di intraprendere un’azione tempestiva e unitaria per garantire il rispetto del diritto internazionale di fronte alle violazioni da parte di uno Stato membro delle Nazioni Unite”, un riferimento trasversale alle sanzioni e alle altre misure imposte alla Russia a seguito della sua invasione dell’Ucraina

La “promozione della responsabilità” è un obiettivo primario della Commissione delle Nazioni Unite.

L’anno scorso, Human Rights Watch, con sede a New York, ha chiesto un passaggio dall’ormai defunto “processo di pace” israelo-palestinese verso un approccio incentrato sui diritti umani e sulla responsabilità.

Nel suo storico rapporto dell’aprile 2021, Human Rights Watch ha affermato che Israele ha “perseguito l’intento di mantenere il dominio degli ebrei israeliani sui palestinesi in tutto il territorio che controlla”.

Nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza, “l’intento è stato unito all’oppressione sistematica dei palestinesi e agli atti disumani commessi contro di loro”.

La combinazione di questi tre elementi “equivale al crimine di Apartheid”, secondo il gruppo.

Occupazione permanente

Il nuovo rapporto della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite non menziona esplicitamente il sionismo, l’ideologia nazionalista di Israele, né usa i termini “Apartheid” o “Colonialismo”.

Tuttavia, afferma che le prove disponibili “indicano che Israele non ha intenzione di porre fine all’occupazione, ma ha politiche chiare per assicurarsi il controllo completo sul Territorio Palestinese Occupato”.

La Commissione aggiunge che Israele “sta agendo per alterare la demografia attraverso il mantenimento di un ambiente repressivo per i palestinesi e un ambiente favorevole per i coloni israeliani”.

In altre parole, l’occupazione permanente di Israele è al servizio dell’unico principio organizzativo dello Stato: rimuovere i palestinesi dalla loro terra in modo che possano essere sostituiti con coloni stranieri.

Notando che metà di tutti i palestinesi vive al di fuori della Cisgiordania, di Gaza e di Israele, la  Commissione afferma che “cercherà di impegnarsi con la più ampia diaspora palestinese situata nei Paesi vicini e nel mondo”.

Una rinnovata attenzione internazionale ai rifugiati palestinesi e al loro diritto al ritorno potrebbe essere tra i risultati più significativi della Commissione d’inchiesta, poiché l’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, lotta per raccogliere i fondi necessari per fornire servizi essenziali e rifugiati palestinesi rimangono apolidi e privati dei diritti civili.

La Commissione d’inchiesta ha il compito di “riferire annualmente sulle sue principali attività al Consiglio per i Diritti Umani e all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a partire rispettivamente da giugno e settembre 2022”.

Maureen Clare Murphy è caporedattrice di The Electronic Intifada.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org