Il documentarista Maen Hammad afferma che lo skateboard sta aiutando i giovani palestinesi a esprimersi e a ribellarsi
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By Samia Qaiyum – 11 giugno 2022
Immagine di copertina: Hammad dice che per molti lo skateboard è una rara tregua dall’oppressione che permea la vita dei giovani palestinesi
I giovani skaters palestinesi affrontano una serie di ostacoli prima ancora di poter entrare nello skate park di Nablus per provare i loro ultimi trucchi.
“Mi fermerò a un checkpoint e dovrò affrontare una sorta di “fermo e perquisizione” Non mi spareranno, ma mi faranno sentire umiliato. Poi andrò allo skate park e penserò: ‘Fanculo quell’ufficiale di polizia di frontiera che vuole farmi sentire inferiore’, dice Maen Hammad, un documentarista attivista per i diritti umani di 30 anni che racconta l’ascesa della cultura dello skate in Cisgiordania.
Hammad, secondo figlio di rifugiati palestinesi trasferitisi negli Stati Uniti all’età di due anni, è tornato nel suo paese natale nel 2014 in cerca di un senso di identità. Portando con sé il suo amato skateboard, ha trovato una scena locale emergente che alla fine ha documentato nel suo cortometraggio “ Kickflips Over Occupation”.
Riprende bambini che imparano a usare lo skate in strade di cemento polverose contro muri ricoperti di graffiti, scarabocchiati con frasi come “Cosa farebbe Anna Frank?”. Le clip mostrano giovani che si esercitano fuori dai centri commerciali, proprio come nelle periferie americane, o che sfrecciano davanti alle moschee. Giovani skaters parlano di quanto amino questo sport, mentre altri si esercitano dopo il tramonto nelle strade addobbate di luci.
Eppure, a sette anni dalla sua “nascita”, gli skate park rimangono scarsi e i negozi di skate sono praticamente inesistenti. Hammad dice che per molti lo skateboard è una rara tregua dall’oppressione che permea la vita dei giovani palestinesi.
“Sarebbe sbagliato presumere che si tratti solo di sangue, granate e arresti”, dice. “È chi puoi amare o come arrivi a scuola. Ecco perché lo skateboard è molto più di uno sport o di un hobby. In molte circostanze, è l’unico spazio in cui possono vivere una vita normale ed essere liberi dal contesto per un po’”.
Hammad sta mettendo in risalto queste dinamiche attraverso “Landing”, un progetto fotografico che mostra la “fuga intenzionale” fornita dallo skateboard durante l’occupazione militare israeliana.
Mentre alcune delle fotografie sono state scattate da Hammad, il resto è stato realizzato dal gruppo di skaters palestinesi utilizzando macchine fotografiche usa e getta.
“Mi sono sempre sentito a disagio nel parlare a nome degli skaters palestinesi, perché chi sono io per farlo? Sono cresciuto in America e ho un passaporto americano, che porta con sé molti privilegi”, ammette. “Ho sempre saputo che parte del mio rapporto con lo skate in Palestina è condiviso, mentre ci sono anche parti che non condivido, ma penso siano quelle ancora più interessanti. Volevo assicurarmi che questo non fosse un altro caso in cui qualcuno della diaspora tornava ad assumere la narrativa dei palestinesi”.
Ha scelto quindi di adottare un approccio collaborativo, con le fotocamere usa e getta che mirano a consentire ai giovani skater di scattare foto del mondo che li circonda, fornendo “uno sguardo all’essere giovani e palestinesi”.
“Ci sono foto di loro che escono, fanno i compiti, vanno in giro, si innamorano”, dice. “Certo, se guardati isolatamente, potrebbero sembrare privi di significato. Ma quando contestualizzati? Anche fare le cose più banali diventa radicale in un mondo che ha effettivamente disumanizzato la loro esistenza”.
In un luogo in cui l’età media è inferiore ai 21 anni, Hammad afferma che l’occupazione israeliana significa che molti giovani sono condizionati a sentirsi senza speranza. Ma la comunità dello skateboard, in lenta crescita, sta sfidando questa realtà quotidiana nel suo modo non violento, dice.
“Lo skateboard come sport è in sostanza molto disobbediente. Voglio dire, quando pensi al tuo prototipo di skater, pensi a un ribelle tenace e volitivo che cerca di scatenare l’inferno, giusto? Bene, lo skateboard in Palestina sta inviando quel messaggio”, dice
“Sta inviando un messaggio all’occupante e al mondo: è un rifiuto dello status quo. Sta dimostrando che nessuna quantità di soldati, nessuna quantità di posti di blocco, nessun muro, nessun esercito può tenerci fermi e tranquilli”.
Hammad vive a Ramallah, a soli 10 km a nord di Gerusalemme, nella Cisgiordania centrale, ma si riferisce alla città come a una bolla. Dice che molti giovani dimostrano una mancanza di aspirazione politica poiché non ci sono elezioni palestinesi da più di 16 anni.
“È la stessa crisi dei diritti umani che i palestinesi hanno affrontato per oltre 73 anni. E il motivo per cui sottolineo che è peggio, è perché la popolazione è ancora così giovane e non c’è spazio reale per immaginare altro che disperazione”.
Sebbene Hammad sia fiducioso riguardo al suo progetto, è cauto nel fare affermazioni audaci.
“Non sto dicendo che lo skateboard libererà la Palestina, ma penso che sia uno dei tanti strumenti importanti che consentono ai giovani di avere il controllo su come sostenere un senso di comunità”.
I suoi compagni skaters lo hanno anche aiutato nel comprendere le sfumature del suo luogo di nascita. “È assurdo presumere che un palestinese sia solo qualcuno che indossa una kefiah e ha un sasso in mano”, dice.
Ma con così tante restrizioni ai movimenti, forse non sorprende che l’aspetto da lui preferito dello skateboard sia semplicemente l’occupazione dello spazio.
“È un modo fantastico per non essere vittima dello spazio fisico, sia che ciò significhi rimanere bloccati nel traffico o dietro il muro di separazione”.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.com