L’intensificarsi della repressione di Israele sull’iconica bandiera rossa, verde, nera e bianca riflette la volontà di una continua cancellazione dell’identità palestinese e un crescente senso di agitazione politica interna.
Fonte: english version
Di Emad Moussa – 15 giugno 2022
Con le crescenti tensioni tra Israele e palestinesi nelle ultime settimane, è emersa una percezione accresciuta e piuttosto ristretta di ciò che costituisce una minaccia alla sicurezza nazionale di Israele.
Non si tratta più delle proteste palestinesi, dei lanciatori di pietre o persino dei razzi di Hamas, ma ora il simbolo stesso dell’identità nazionale palestinese è diventato una minaccia: la bandiera palestinese rossa, verde, nera e bianca.
Durante il funerale di Shireen Abu Akleh, dozzine di agenti di polizia israeliani hanno preso d’assalto il corteo e hanno cercato violentemente di impedire alle persone in lutto di sfilare fuori dall’ospedale, facendo quasi cadere la bara della giornalista assassinata.
Un obiettivo primario delle forze di polizia erano le bandiere palestinesi. La polizia ha attaccato tutti coloro che brandivano una bandiera palestinese, arrivando addirittura a sfondare il finestrino del carro funebre per rimuovere una bandiera che era stata deposta all’interno.
Ciò è avvenuto dopo che le autorità israeliane avevano fatto irruzione nella casa della famiglia di Abu Akleh e rimosso con la forza tutte le bandiere dai locali. Secondo quanto riferito, l’ordine è arrivato da un capo della polizia distrettuale per assicurarsi che i colori palestinesi non fossero esposti durante l’evento.
Pochi giorni dopo, in occasione del 74° anniversario della Nakba, centinaia di studenti israelo-palestinesi che sventolavano bandiere palestinesi all’Università Ben-Gurion e all’Università di Tel-Aviv sono stati interrotti da attivisti ebrei estremisti. L’incidente alla fine si è trasformato in violenza tra le due parti e ha portato all’arresto di tre palestinesi da parte della polizia israeliana.
La vista delle bandiere ha fatto arrabbiare il Ministro delle Finanze Avigdor Liberman, che ha minacciato di tagliare il bilancio della dell’Università Ben-Gurion. Nel frattempo, il Ministro dell’Istruzione Yifat Sasha-Biton ha dichiarato che le scene viste all’Università Ben-Gurion erano inaccettabili, giurando di esaminare la questione ed accertarsi se l’evento rientrasse nella categoria di “incitamento, violenza o oltraggio contro i simboli dello Stato”.
Tutto questo è avvenuto sullo sfondo di una frenetica campagna di rimozione delle bandiere da parte delle forze di occupazione israeliane, della polizia israeliana e dei coloni in Israele e nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme Est.
Nel villaggio di Huwwara, in Cisgiordania, amministrato dall’Autorità Palestinese, è stato documentato che l’esercito israeliano ha rimosso le bandiere palestinesi dai lampioni oltre a fornire copertura ai coloni mentre rimuovevano anch’essi le bandiere.
Altri coloni hanno pubblicato online video di se stessi che rimuovevano le bandiere palestinesi nel villaggio. In altri video, si vedevano i palestinesi riattaccare le bandiere ai lampioni.
Legalizzazione del divieto di bandiera
La scorsa settimana, la rabbia per l’esposizione della bandiera nelle università è arrivata alla Knesset, con il Likud dell’ex Primo Ministro Netanyahu che ha introdotto un disegno di legge che vieta la bandiera palestinese nelle istituzioni finanziate dallo Stato, comprese le università.
Il disegno di legge ha passato l’esame preliminare con 63 voti contro 16, con membri della Knesset (parlamentari) dei partiti di destra della coalizione Tikva Hadasha (Nuova Speranza), Yisrael Beitenu (Patria) e Yamina (un’alleanza di partiti politici israeliani di destra ed estrema destra nata in occasione delle elezioni del settembre 2019), incluso il Primo Ministro Naftali Bennett, che hanno votato assieme all’opposizione.
I partiti centristi della coalizione: Laburista, Blu e Bianco e Yesh Atid (Futuro) di Yair Lapid, si sono tutti astenuti. Solo l’arabo Ra’am e la sinistra Meretz si sono opposti.
Il disegno di legge deve essere esaminato ancora altre tre volte per diventare legge.
La spaccatura etnica e ideologica nel voto è stata sorprendente. Da una parte c’era la maggioranza ebraica, che considerava la bandiera palestinese una “bandiera nemica” e sventolarla come un oltraggio dei simboli dello Stato di Israele. Dall’altro, i parlamentari della minoranza araba hanno sfidato il disegno di legge, considerandolo un attacco deliberato alla loro identità nazionale di etnia palestinese.
Probabilmente, la divisione ha anche manifestato la natura gerarchica della “democrazia etnica” di Israele, che dà la precedenza al giudaismo sui diritti fondamentali per tutti. Si traduce solo in ebrei che hanno il pieno potere o il diritto di appropriarsi dello Stato e renderlo uno strumento per promuovere i loro interessi nazionali.
Sebbene il sistema garantisca ai cittadini palestinesi di Israele il diritto alla rappresentanza, li priva comunque di meccanismi significativi per rafforzare i loro diritti politici nei confronti delle loro controparti ebraiche. È particolarmente difficile quando quei diritti sono legati alla loro identità etnica e nazionale, gran parte della quale è vista come incompatibile alla struttura sionista che guida e caratterizza lo Stato. La bandiera palestinese è una di queste incompatibilità.
Considerato ciò, era quasi inevitabile che la sessione della Knesset si trasformasse in un vivace scambio di opinioni tra parlamentari ebrei e palestinesi. Il parlamentare del Likud Eli Cohen, che ha proposto il disegno di legge, ha attaccato la Lista Araba Unita, dicendo che “coloro che vogliono essere palestinesi, possono trasferirsi a Gaza o in Giordania”.
Citando l’ex Primo Ministro Yitzhak Shamir, Cohen ha detto: “Gli arabi sono ancora i vecchi arabi e il mare è ancora il mare”. Il messaggio era che gli “arabi” non cambieranno mai e il loro obiettivo sarà sempre quello di gettare gli ebrei in mare. La bandiera palestinese, detta anche la “bandiera dell’OLP”, è solo uno strumento per raggiungere tale scopo.
“Se non avessero vissuto in Israele, avrebbero vissuto nella paura in Libano, nella povertà o sarebbero stati massacrati a Gaza”, ha continuato Cohen mentre i parlamentari palestinesi indignati venivano scortati fuori dal plenum uno per uno.
La questione dell’identità
Ai sensi della legge israeliana, secondo Adalah, il gruppo per i diritti dei palestinesi israeliani, sventolare la bandiera palestinese non è un crimine. Un’ordinanza di polizia legittima gli agenti a confiscare una bandiera solo se usata come incitamento per “un’interruzione dell’ordine pubblico o disordini”.
Ciò che costituisce “interruzione dell’ordine pubblico” o “disordini”, tuttavia, è soggetto alla valutazione della polizia e dell’esercito israeliani. E come hanno dimostrato i recenti eventi in particolare a Gerusalemme Est, violare l’ordine pubblico può semplicemente significare sfidare l’ordine imposto dall’occupazione o mostrare i simboli nazionali palestinesi, che è anche un atto di sfida contro questo ordine.
Da questo punto di vista, ha spiegato Orly Noy, un membro del consiglio di amministrazione di B’Tselem, la repressione della bandiera palestinese potrebbe essere interpretata come parte della logica sionista di difesa della sovranità ebraica.
Tuttavia, la campagna di rimozione della bandiera si svolge anche nei territori occupati nel 1967, dove Israele non rivendica ufficialmente la sovranità.
Inoltre, la campagna ha preso di mira anche la sfera privata palestinese, come nella residenza di Shireen Abu Akleh, e non semplicemente le istituzioni pubbliche o i viali considerati simboli di Stato.
Per i palestinesi, “l’ossessione israeliana per la bandiera palestinese”, o ciò che il parlamentare palestinese Ahmad Tibi ha descritto come “vessillofobia-P” (fobia della bandiera palestinese), riguarda meno l’imposizione della sovranità statale e più la repressione e la cancellazione dell’identità e della coscienza nazionale palestinese.
Hussam Zomlot, l’ambasciatore palestinese nel Regno Unito, ha spiegato che attaccare la bandiera palestinese rappresenta “una totale negazione dei diritti individuali e collettivi palestinesi e una continuazione della cancellazione della demografia e dell’identità palestinese dal 1948”.
Il ricercatore in affari politici e relazioni internazionali di Gaza, Jehad Malaka, ha detto che la fobia della bandiera palestinese è diventata quasi come “un disturbo cronico nella società occupante, che innesca continuamente l’irrazionalità politica”.
“L’ossessione per la bandiera è in parte dovuta al fatto che rappresenta la legittimità e la statualità palestinese, come riconosciuto dalla comunità internazionale”.
Ma soprattutto, ha aggiunto Malaka, “la bandiera unifica i palestinesi di tutto il mondo, come un popolo e un’identità che condivide lo stesso destino e le stesse aspirazioni nazionali. Pertanto, funge da scomodo promemoria (visivo) per gli ebrei israeliani del peccato dell’occupazione e del peccato originale della Nakba del 1948. Dopotutto, i simboli nazionali palestinesi confutano la negazione sionista dell’esistenza dei palestinesi come popolo e identità unici, separati dal più ampio contesto arabo”.
Perché proprio adesso?
Anche se l’attacco israeliano ai simboli nazionali palestinesi è la norma dal 1948, l’intensità della recente ondata è senza precedenti.
Malaka attribuisce l’intensificazione, soprattutto, alla crisi politica interna di Israele. Il sistema politico israeliano è stato ridotto a una rivalità tra fazioni, tra la destra e l’estrema destra, e tra queste e i partiti di centro e di sinistra, ognuno sta facendo di tutto per dimostrare la propria lealtà e impegno nei confronti dello Stato a spese della stabilità del Paese e dei diritti dei palestinesi.
“La voce della ragione, tradizionalmente rappresentata dalla sinistra, è svanita. Quello che resta è un governo debole e instabile sull’orlo del collasso, e la possibilità di un’elezione generale, la quarta in tre anni, è ora molto reale”.
“Il risultato è ora un accresciuto senso di insicurezza riguardo al futuro dello Stato; in quanto tale, portando il pubblico e le istituzioni statali a diventare ipersensibili a minacce o fastidi altrimenti minori, come la bandiera palestinese”, ha affermato Malaka.
La crisi, infatti, ha spinto diversi funzionari israeliani, tra cui l’ex Primo Ministro Ehud Barak e l’attuale Primo Ministro Naftali Bennett, ad avvertire che l’esistenza di Israele potrebbe essere in pericolo.
Mettere in guardia da un pericolo esistenziale potrebbe essere una mossa tattica per spaventare il fronte interno verso l’unità. Tuttavia, le crescenti misure anti-palestinesi, i violenti tentativi di “dimostrare” la sovranità israeliana su Gerusalemme Est e le continue minacce contro l’Iran e i Paesi vicini possono suggerire che il sistema politico israeliano e la fiducia nello stesso a livello nazionale sono nel caos.
Questa tendenza è evidente in un recente sondaggio, che ha rilevato che il 69% degli ebrei israeliani è preoccupato per il futuro dello Stato ebraico.
Un altro motivo di preoccupazione per lo Stato israeliano, che potrebbe spiegare ulteriormente la campagna anti-bandiera, è l’ascesa del nazionalismo palestinese tra i cittadini palestinesi di Israele. Nello stesso sondaggio, il 75% ha affermato di non credere che gli ebrei abbiano diritto alla sovranità in Israele.
I palestinesi in Israele hanno raggiunto i livelli più alti in varie sfere, entrando anche a far parte per la prima volta di una coalizione di governo, ma il divario socio-economico tra loro e gli ebrei israeliani è ancora significativo. I loro diritti nazionalisti e politici, in particolare, sono stati erosi negli ultimi due decenni mentre il nazionalismo radicale di Israele è cresciuto vertiginosamente. Ciò è stato accompagnato da una serie di ulteriori legislazioni discriminatorie per sopprimere la loro identificazione nazionalista ed etnica.
Progressivamente, e in parte reattivamente alle politiche israeliane, le espressioni del nazionalismo palestinese tra gli israeliani palestinesi sono diventate più visibili, soprattutto dopo l’assalto a Gaza nel maggio 2021.
Hanno iniziato sfidando e cambiando la terminologia da “arabi israeliani” a “cittadini palestinesi di Israele”, per aumentare la partecipazione alle cerimonie di commemorazione della Nakba, fino alla normalizzazione con aria di sfida dell’alzabandiera della bandiera palestinese all’interno delle città arabe israeliane.
In casi estremi, come accaduto all’inizio di quest’anno, gli israeliani palestinesi sono stati coinvolti in attacchi armati contro le autorità israeliane.
Durante i recenti eventi di Al-Aqsa, gli scontri violenti tra la polizia e i giovani che portano la bandiera palestinese nelle città arabe israeliane di Nazareth e Um al-Fahm sono diventati la consuetudine.
Questo è il motivo per cui ora si teme che la decisione di Bennett di formare una “guardia nazionale civile”, per contrastare presunti attacchi palestinesi all’interno di Israele, sia diretta anche ai palestinesi di Israele, in previsione di un’implosione interna che potrebbe portare a scontri tra la maggioranza ebraica e la minoranza palestinese.
Emad Moussa è un ricercatore e scrittore specializzato in politica e psicologia politica di Palestina e Israele.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org