Il problema non sono i gay palestinesi che scelgono l’amore

L’attacco di Metras* alle comunità palestinesi omosessuali con l’accusa di aver minato la lotta nazionale è profondamente deludente e si inserisce in un aumento globale degli attacchi della destra contro coloro che sono più colpiti dalla violenza strutturale.

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Nada Elia – 29 luglio 2022

Immagine di copertina: Tal’at, la rete femminista contro il femminicidio e la violenza sessuale in Palestina, e altri gruppi progressisti palestinesi, sia in patria che in diaspora, hanno denunciato il recente editoriale di Metras che attacca i gay palestinesi. [GETTY]

Un recente editoriale di Metras, che attacca i gay palestinesi perché presumibilmente sminuiscono la lotta nazionale e cercano di imporre la loro ideologia e il loro programma politico alla società palestinese, rivela uno sviluppo estremamente controproducente dei circoli sociali palestinesi, quello verso l’intolleranza e l’odio, piuttosto che verso una maggiore inclusività.

L’editoriale costituisce un netto allontanamento dalla politica di lunga data di Metras, un sito web divenuto fonte alternativa affidabile di notizie e analisi da una prospettiva di sinistra. Ciò è stato denunciato da alcuni degli scrittori che avevano precedentemente contribuito al sito Web e che hanno pubblicato una lettera in cui affermano che questo editoriale non riflette le proprie opinioni politiche.

È stato denunciato anche da Tal’at, la rete femminista contro il femminicidio e la violenza sessuale in Palestina, e da altri gruppi progressisti palestinesi, sia in patria che nella diaspora.

”Nel mezzo di crisi reali come il catastrofico cambiamento climatico, un’inarrestabile pandemia, il totale collasso economico dallo Sri Lanka al Libano, guerre in corso e sfollamenti, per citare solo alcune delle criticità che richiedono un’attenzione urgente, stiamo assistendo a un cambio di posizione che prende di mira i membri della società che maggiormente sostengono la vita, i sopravvissuti resilienti alla violenza strutturale, che sposano l’amore anziché l’odio.”

Nel suo deludente allontanarsi dal pluralismo che un tempo sosteneva, il recente editoriale di Metras promuove anche l’Islam come bussola morale per far uscire la società dalla palude in cui ci trascinerebbero gli attivisti queer, alienando così potenzialmente  palestinesi di altre fedi, così come laici e atei.

Se qualcuno sta pensando di passare subito  alla pseudo-analisi islamofoba sostenendo  che questa intolleranza sia esclusivamente musulmana, può guardare ai “Soldati di Dio”, un gruppo cristiano maronita in Libano che, con il loro atteggiamento di “non imporci la tua agenda”, articola un’omofobia molto simile. In uno sproloquio pubblicato il 5 luglio, i Soldati di Dio denunciano l’omosessualità con l’immagine di un uomo che protegge con un braccio i suoi figli da un gigantesco arcobaleno, mentre con l’altro li abbraccia mentre loro stanno leggendo un libro. La didascalia recita: “Proteggi i tuoi figli dalla devianza sessuale”. “Immagina che tuo figlio veda un gigantesco cartellone arcobaleno e inizi a fare domande. Come spiegheresti allora il matrimonio gay? È innaturale”, ha detto a un giornalista il fondatore del gruppo, Joseph Mansour.

In quello stesso post del 5 luglio, i Soldati di Dio denunciano anche l’aborto, con l’affermazione “Tu dici che non ucciderai, ma uccidi legiferando sull’aborto”.

I post dei Soldati di Dio rivelano un grado spaventoso di valori profondamente patriarcali che definiscono ruoli chiari per uomini e donne, e fanno eco alla teoria della sostituzione del Suprematismo Bianco che si è diffusa negli Stati Uniti. Il 19 luglio, ad esempio, citano il cardinale Nasrallah Boutros Sfeir dicendo che “abbiamo fondato questo Paese e non vi diventeremo estranei”. In particolare, i “Soldati di Dio” desiderano liberare il Libano dai profughi palestinesi e siriani.

È interessante notare che sia i “Soldati di Dio” che Metras affermano che l'”agenda gay” è un’imposizione occidentale che minaccia rispettivamente il Libano e la Palestina.

La politicizzazione dei diritti queer è davvero un fenomeno reale, come vediamo con il pinkwashing di Israele, ma i diritti queer, in quanto diritti umani, non dovrebbero risentirne. È miope per coloro che occupano posizioni influenti far fare da capro espiatorio alle persone omosessuali, poiché  ciò può avere e ha conseguenze fatali.

Nel frattempo, Israele ha anche assistito a un aumento degli attacchi omofobici, con un forte aumento segnalato durante la pandemia, poiché il lockdown ha intrappolato persone omosessuali a casa con familiari violenti. Ciò non sorprende chi riesce a vedere oltre la pretesa di Israele di essere un paese gay-friendly, poiché la violenza di genere e l’intolleranza generale sono intrinseche al colonialismo e all’apartheid dei coloni, come hanno a lungo sostenuto molte queer e femministe.

Guardando oltre il mondo arabo, vediamo ovunque manifestazioni di violenza di genere, mentre l’omosessualità è persino sanzionata dallo stato. Molti paesi africani hanno leggi anti-gay, esse stesse eredità del colonialismo europeo. L’Inghilterra non ha depenalizzato l’omosessualità maschile, che era stata esplicitamente bandita nel regno dall’inizio del XVI secolo fino al 1967, al culmine dell’era permissiva degli anni Sessanta. È interessante notare che l’omosessualità femminile non era mai stata limitata in modo simile in Inghilterra, non per tolleranza, ma piuttosto per invisibilità.

In questo contesto globale di minacce e attacchi diretti ai diritti di genere, possiamo interpretare la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di ribaltare Roe come derivante dallo stesso impulso che motiva varie leggi che regolano la sovranità corporea e il diritto ad amare liberamente, vale a dire il fondamentalismo religioso al servizio di uno stato razzista misogino.

E nonostante qualche debole suggerimento da parte di alcuni giudici di non abrogare ulteriori diritti – un suggerimento di cui non possiamo fidarci, considerando che i nominati da Trump avevano anche  detto che non avrebbero ribaltato Roe – anche la Corte Suprema degli Stati Uniti sta cercando di rovesciare il diritto all’ intimità e i matrimonio gay. Così il giudice Clarence Thomas, nella sua dichiarazione a favore del voto per rovesciare Roe, ha scritto che “in casi futuri, dovremmo riconsiderare tutti i precedenti sostanziali del giusto processo di questa Corte, inclusi Griswold, Lawrence e Obergefell”. Griswold (1965) garantisce il diritto alla privacy coniugale, compreso l’uso di contraccettivi, Lawrence (2003) ha stabilito il diritto per gli adulti consenzienti di impegnarsi in intimità tra persone dello stesso sesso e Obergefell (2015) ha legalizzato il matrimonio gay.

”Nel mezzo di crisi reali come il catastrofico cambiamento climatico, un’inarrestabile pandemia, il totale collasso economico dallo Sri Lanka al Libano, guerre in corso e sfollamenti, per citare solo alcune delle criticità che richiedono un’attenzione urgente, stiamo assistendo a un  cambio di posizione che prende di mira i membri della società che maggiormente sostengono la vita, i sopravvissuti resilienti alla violenza strutturale, che sposano l’amore anziché l’odio.”

Per quelli di noi che si identificano, o semplicemente sostengono, i diseredati, è fondamentale capire che la frammentazione non ci servirà e che attaccare i più emarginati è il peggior tipo di capro espiatorio.

Misoginia, omofobia e xenofobia sono mali globali, che colpiscono i membri più vulnerabili della società e incitano alla violenza contro di loro. Sono essi che devono essere denunciati, non il diritto della donna all’autonomia corporea, né il diritto degli adulti consenzienti ad amare liberamente e apertamente.

 

Nada Elia è una studiosa palestinese della diaspora, scrittrice, oratrice pubblica e membro del Collettivo femminista palestinese.

*Metras è un sito web che era divenuto fonte alternativa affidabile di notizie e analisi sulla Palestina e zone limitrofe da una prospettiva di sinistra e a sostegno della resistenza.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org