Il calcio sta plasmando le identità nazionali e la geopolitica regionale in Medio Oriente e Nord Africa, e gli enormi investimenti degli stati del Golfo nei club europei sono fondamentali per le loro strategie di soft power.
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Abdullah Al-Arian – 1 agosto 2022
Immagine di copertina: Tifosi algerini esultano in vista della semifinale di calcio della FIFA Arab Cup 2021 tra Qatar e Algeria allo stadio Al-Thumama di Doha, capitale del Qatar, il 15 dicembre 2021 (AFP)
Quest’estate la notizia principale del calcio mondiale riguarda la decisione del giovane fenomeno francese Kylian Mbappe di firmare il prolungamento del contratto di tre anni con il Paris Saint-Germain (PSG) a scapito del suo sogno di una vita, trasferirsi con i giganti spagnoli del Real Madrid.
Il PSG, che è di proprietà della Qatar Sports Investments (QSI), ha reso il 23enne Mbappe il calciatore più pagato al mondo e, secondo quanto riferito, alla firma del contratto gli ha persino elargito un bonus di 125 milioni di dollari, una somma inaudita per una squadra che sta ingaggiando un proprio giocatore.
Queste notizie mostrano quanto il calcio sia ormai onnipresente in Medio Oriente e, a loro volta, evidenziano l’impatto della regione sul calcio a livello globale
Una notizia molto meno condivisa, a fine maggio, è stata quella della nazionale di calcio argentina che ha annullato un’amichevole programmata contro Israele, aderendo alle richieste di ritirarsi dalla partita del club calcistico palestinese Al-Khader, il cui giocatore di 19 anni Mohammad Ali Ghoneim era stato ucciso a colpi di arma da fuoco dalle forze di occupazione israeliane ad aprile.
Nelle ultime settimane la nazionale di calcio egiziana si è trovata al centro di una grave crisi regionale. Dopo la scioccante sconfitta per 2-0 contro l’Etiopia nelle qualificazioni per la Coppa d’Africa del prossimo anno, gli animi si sono ulteriormente scaldati quando i tifosi e i funzionari politici non hanno potuto fare a meno di creare un collegamento tra le prestazioni della squadra in campo e la controversia dell’Egitto con l’Etiopia sulla costruzione della grande diga etiope, che gli egiziani considerano una minaccia esistenziale all’accesso alle acque del Nilo.
Altra notizia: Miguel Salgado, il figlio diciassettenne dell’ex difensore del Real Madrid e della Nazionale spagnola Michel Salgado, è stato recentemente chiamato a rappresentare la squadra under 20 del suo paese: quel paese sono gli Emirati Arabi Uniti, dove Salgado padre ha lavorato da quando si è ritirato dal calcio una decina di anni fa.
Insieme, queste notizie mostrano quanto il calcio sia ormai onnipresente in Medio Oriente e, a loro volta, evidenziano l’impatto della regione sul calcio a livello globale. Il calcio è stato a lungo lo sport più popolare in gran parte del Medio Oriente, catturando l’immaginazione di milioni di persone, incanalando le loro aspirazioni e coinvolgendo nel processo legioni di tifosi
Fenomeni più ampi all’opera
Più che un gioco però, il calcio è emerso anche come un indicatore cruciale delle leve del controllo politico ed economico, nonché uno strumento nelle mani di chi vorrebbe sfidare l’ordine regnante.
Da quando nel 2010 la Fifa sorprese i tifosi di tutto il mondo concedendo al Qatar i diritti di hosting per la Coppa del Mondo 2022, giornalisti, accademici, attivisti, leader politici e amanti del gioco di tutto il mondo hanno chiesto a gran voce di dare un senso alla decisione e valutare le implicazioni dell’aver assegnato a un piccolo stato arabo la sede dell’evento sportivo più popolare del pianeta.
E mentre le questioni riguardanti i diritti dei lavoratori, le politiche del soft power e il ruolo del denaro nel calcio incombono su gran parte del dibattito intorno alla Coppa del Mondo 2022, altri hanno visto come il calcio sia un mezzo per identificare fenomeni più ampi in atto nella regione.
È con questo spirito che ci siamo avvicinati a “Football in the Middle East: State, Society, and the Beautiful Game”, un nuovo libro in cui 12 studiosi offrono spunti su come il calcio sia diventato un’arena di gare e dispute per un’ampia gamma di problemi.
Una delle prime cose evidenziate è che l’eredità del calcio in Medio Oriente è di molto antecedente al momento in cui è stato deciso di assegnare al Qatar la Coppa del Mondo, o a quello in cui si è iniziato a investire la ricchezza petrolifera nel campo europeo.
In effetti, i funzionari coloniali europei introdussero il calcio nella regione più di un secolo fa, come parte degli sforzi per coltivare “individui adeguatamente obbedienti” tra i soggetti colonizzati.
A loro volta, le lotte nazionaliste guidate dalle élite locali sposavano la forte convinzione che gli sport organizzati fossero un indicatore del progresso culturale e di civiltà, con la creazione del campionato di calcio egiziano come esempio eclatante.
Come le prime iterazioni di squadre di calcio leggendarie, l’Al-Ahly e il Zamalek, dimostrarono, l’istituzione di una lega nazionale creò un nuovo terreno su cui si sarebbero giocate le questioni dell’identità nazionale, della classe sociale, della mobilità economica e della distribuzione del potere politico.
Il successo e il fallimento in campo avrebbero riflesso la forte competizione tra le nascenti istituzioni sportive per l’accesso alle risorse, ai giocatori promettenti e al cuore dei tifosi egiziani in tutto il paese.
Relazioni tese
Non sorprende, quindi, che all’indomani dell’ascesa al potere di Gamal Abdel Nasser, in un Egitto postcoloniale il calcio sia nuovamente servito come spazio di lotta politica, questa volta tra cittadini egiziani e un regime autoritario emergente che cercava di controllare la vita di milioni di fan appassionati. Man mano che la sua popolarità aumentava, Nasser fu nominato presidente onorario di Al-Ahly e procedette alla nomina di un fidato ufficiale a capo della Federcalcio egiziana.
Subito dopo, nel 1957 , Nasser guidò l’istituzione della Confederation of African Football e inaugurò la Coppa d’Africa in un momento in cui l’Egitto stava affrontando l’isolamento internazionale a causa della sua situazione di stallo con le ex potenze coloniali Gran Bretagna e Francia. L’Egitto vinse il trofeo nel primo torneo e ad oggi ha vinto più coppe d’Africa (sette) di qualsiasi altro paese.
Col tempo, gli stati avrebbero sempre più frequentemente proiettato le loro agende politiche sulle squadre nazionali di calcio. Alla Coppa del Mondo del 1998, una partita della fase a gironi tra Iran e Stati Uniti, offrì un palcoscenico su cui rappresentare anni di ostilità tra le due nazioni, risalenti alla rivoluzione iraniana del 1979.
L’attesa della partita, che l’Iran vinse 2-1, fu caratterizzata da un intensa copertura mediatica e da forti sentimenti politici espressi dai fan di entrambe le parti, mentre i capi di stato americano e iraniano tentarono di cogliere l’occasione per offrire gesti concilianti in mezzo a relazioni altrimenti tese.
Per inciso, Iran e Stati Uniti si incontreranno allo stadio Al Thumama del Qatar entro la fine dell’anno. Sulla scia di una crescente rivalità regionale e dei tentativi bloccati di riavviare l’accordo sul nucleare iraniano, la partita assumerà sicuramente un significato molto più grande del risultato sul campo.
Mobilitazione popolare
Oltre ai tentativi di sostenere governanti autoritari o sfidare stati rivali, la passione per il calcio è stata invocata anche nel corso della mobilitazione popolare.
Durante le rivolte arabe del 2011, gruppi di tifosi come gli appartenenti all’Al-Ahlawy Ultras, al Cairo, svolsero un ruolo importante nelle proteste di massa contro il regime di Hosni Mubarak, apportando una vasta esperienza nell’affrontare le forze di sicurezza e nello sfidare il potere statale.
Più recentemente, il movimento di protesta di Hirak, in Algeria, che ha cercato di impedire al dittatore Abdelaziz Bouteflika di candidarsi per il quinto mandato presidenziale consecutivo, ha incorporato nelle sue proteste di strada contro il regime gli slogan, le canzoni popolari chaabi e le coreografie solitamente riservate alle partite.
Durante le rivolte arabe del 2011, gruppi di tifosi di calcio appartenenti all’Al-Ahlawy Ultras, al Cairo, hanno svolto un ruolo importante nelle proteste di massa contro il regime di Hosni Mubarak
Così anche il movimento Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni (BDS), lanciato dalla società civile palestinese, ha colto l’appello globale del calcio per invitare tifosi, club, squadre nazionali e i loro sponsor a osservare il boicottaggio culturale di Israele in risposta alla sua continua occupazione della terra palestinese e delle violazioni dei diritti umani contro i palestinesi.
Ispirandosi al boicottaggio sportivo contro l’apartheid in Sud Africa, il movimento BDS è riuscito a mettere in luce la difficile situazione dei palestinesi attraverso campagne come la riuscita cancellazione della partita Argentina-Israele e l’invito a squadre e tifosi di boicottare Puma fino alla cessazione della sua sponsorizzazione di squadre con sede in insediamenti illegali israeliani.
Come sostengono diversi studiosi in “Football in the Middle East”, osservare gli elementi del ruolo del calcio nella società può essere un utile strumento per esaminare questioni più profonde che colpiscono le popolazioni, al di là dei giocatori e dei tifosi.
I rifugiati fuggiti nel vicino Libano in seguito all’espulsione forzata da parte di Israele di centinaia di migliaia di palestinesi indigeni nel 1948, continuano a vivere come residenti apolidi, a cui sono negati molti diritti fondamentali e l’accesso a dozzine di professioni specifiche.
La lega di calcio libanese ha istituzionalizzato queste pratiche discriminatorie ponendo quote sul numero di giocatori palestinesi ammessi in ogni club e negando loro persino l’opportunità di giocare come portieri.
Discriminazione di genere
Allo stesso modo, il calcio può fornire un mezzo attraverso il quale esporre e sfidare la discriminazione di genere. In Turchia, ad esempio, il calcio femminile è stato soggetto a disparità di trattamento, con il risultato che le calciatrici hanno sperimentato elevate disparità salariali, cure mediche inadeguate, accesso limitato alle strutture e maggiore precarietà della carriera rispetto ai giocatori maschi.
In Iran, il divieto alla presenza di tifose donne negli stadi è stato contestato non solo dalla Fifa e dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani, ma dagli stessi spettatori, in una serie di pesanti scontri.
Inoltre, il periodo che precede la Coppa del Mondo 2022 ha contribuito a far luce su una serie di questioni importanti per la regione del Golfo. I giocatori della nazionale del Qatar che daranno il via al torneo includono cittadini del Qatar a pieno titolo, residenti di lungo periodo nati nel paese e cittadini naturalizzati venuti da altrove.
Tuttavia, che si tratti di interviste ai media, post sui social o celebrazioni sul campo, la performance dell’identità nazionale da parte dei membri della squadra spesso sfida le nozioni preconcette su identità e cittadinanza negli stati del Golfo.
Sulla questione dei diritti del lavoro dei migranti, i preparativi per la Coppa del Mondo hanno rivelato a un pubblico globale gli abusi insiti nel sistema della kafala, che regola i rapporti di lavoro nel Golfo.
Mentre le autorità statali, le imprese di costruzione globali e le agenzie di reclutamento hanno supervisionato grandi progetti, dagli stadi e dalle strutture di formazione agli hotel e al sistema metropolitano in tutta la città, una campagna di pressione internazionale ha esortato il Qatar a riformare le sue pratiche di lavoro.
Nel 2017 il governo annunciò una serie di riforme e l’anno successivo l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO)aprì un ufficio a Doha, riportando i cambiamenti nelle condizioni dei lavoratori migranti.
Ascesa degli Stati del Golfo
La Coppa del Mondo 2022 è diventata il simbolo del ruolo che gli stati ricchi di liquidità svolgono spostando il baricentro del calcio mondiale. In effetti, gli ultimi due decenni hanno assistito a trasformazioni significative nello sport, con la crescente globalizzazione e mercificazione del gioco.
L’acquisto nel 2008 del Manchester City FC da parte di un gruppo di investimento degli Emirati, seguito subito dopo dall’acquisizione del PSG da parte di QSI, ha inaugurato una nuova era in cui gli stati del Golfo sono diventati i principali attori nei principali campionati europei. Al di là dei risultati sul campo, questi stati hanno sfruttato le loro prestigiose partecipazioni nel perseguimento della diplomazia del soft power e degli interessi geopolitici.
Nel 2015, ad esempio, il Guardian riferì che i membri del front office di Man City avevano fatto pressioni sul governo britannico affinché avviasse un’indagine sulla Fratellanza Musulmana, come estensione della repressione a livello regionale del governo degli Emirati contro il movimento. La recente acquisizione del Newcastle United da parte del Fondo di Investimento Pubblico Saudita ha suscitato accuse secondo cui il regime era impegnato in sportwashing, in particolare alla luce del suo recente torrente di violazioni dei diritti umani sia in patria che all’estero.
Altrove, la guerra per i diritti di trasmissione del calcio è stata al centro della scena durante il blocco del Qatar da parte di un quartetto di paesi vicini iniziato nel 2017. Un segnale satellitare pirata con sede in Arabia Saudita chiamato “beoutQ” ha operato per due anni, danneggiando la rete sportiva qatariota “beIN”, che detiene i diritti di trasmissione delle competizioni calcistiche più seguite al mondo.
Guardando in avanti, è probabile che il futuro del calcio in Medio Oriente sarà ancora più intrecciato con i più ampi sviluppi politici, culturali e socioeconomici nella regione. Man mano che la portata del gioco si espande sempre più nella società e diventa più profondamente invischiata negli interessi statali e aziendali, solleverà sicuramente nuove domande riguardanti il consumismo e la sostenibilità, gli interessi nazionali e i diritti del lavoro, la stabilità del regime e le libertà politiche.
Poiché gli alti e bassi di questo sport risuonano ben oltre il campo, diventa chiaro a tutti che il calcio è più di un semplice gioco.
Abdullah Al-Arian è professore associato di storia alla Georgetown University, School of Foreign Service in Qatar e autore di Answering the Call: Popular Islamic Activism in Sadat’s Egypt.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org