L’umiliazione dell’altro è una parte inscindibile della violenza burocratica, mortificante dell’anima, del tempo e della speranza, che noi ebrei israeliani, essendo gli espropriatori di un popolo dalla sua terra, abbiamo trasformato in una forma d’arte.
Fonte: english version
Di Amira Hass – 2 agosto 2022
Immagine di copertina: Gli uffici dell’Amministrazione Civile, a El-Bireh, in Cisgiordania, a marzo. L’organizzazione avrebbe dovuto essere smantellata, secondo gli accordi di Oslo. Credito: Amira Hass
Poco dopo le tre del mattino, il telefono squilla nella sala operativa dell’Ufficio di Coordinamento e Collegamento per la Sicurezza palestinese. L’assonnato funzionario in servizio sente la voce del suo omologo, un’assonnato funzionario dell’Amministrazione Civile israeliana, che annuncia che l’esercito sta per fare irruzione in questa o quella località palestinese. Ciò significa che tutta la polizia palestinese deve rientrare immediatamente nei propri uffici. Nel gergo interno dell’Amministrazione Civile, questo compito è noto come “ripiegare SHOPIM”, con SHOPIM che sta per l’acronimo ebraico di “poliziotti palestinesi”. L’avviso telefonico e il “ripiegamento” sono una prassi che entrambe le parti si assicurano, perché “nessuno vuole che una parte spari all’altra”, come ha detto ad Haaretz un ex soldato dell’Amministrazione.
Ricorda che il lasso di tempo concesso ai palestinesi per “ripiegare” era di circa mezz’ora. Una ex soldato donna nell’Amministrazione ricorda 45 minuti. Un altro veterano ricorda che i palestinesi si adeguavano immediatamente; lei invece li ricorda indugiassero. Tutti ricordano che gli era stato proibito rivelare l’obiettivo e lo scopo (arresto, mappatura, ricerca di armi, confisca di fondi, dimostrazione di “governabilità”) dell’operazione.
Questi sono tre delle dozzine di ex soldati che hanno prestato servizio nell’Amministrazione Civile e hanno reso testimonianza a Breaking the Silence nel suo nuovo opuscolo, “Military Rule” (Regole Militari), pubblicato lunedì. Questa organizzazione ribelle continua a denunciare il governo militare sui palestinesi, smascherando la menzogna della “sicurezza” e la falsità della “moralità”.
I soldati in servizio non hanno detto ai loro colleghi palestinesi che c’erano “poliziotti che ripiegavano”, piuttosto che c’era “attività” in corso. Nel gergo delle forze di sicurezza palestinesi, il ritiro dei poliziotti dalle strade a causa di un imminente incursione è chiamata “Zero-Zero”. Una fonte della sicurezza palestinese non conosceva il termine “ripiegare SHOPIM” e ha detto che era umiliante. Ma la realtà, in cui i poliziotti palestinesi si affrettano a nascondersi nelle loro roccaforti poco prima che i soldati israeliani irrompano nella casa di una famiglia, puntando fucili contro donne e bambini tirati giù dai loro letti, è più umiliante. Umiliante e mortificante è vietare alla sicurezza palestinese di difendere il proprio popolo non solo dai soldati, ma anche dai civili israeliani che lo attaccano nei loro campi e frutteti, a casa e quando sono fuori a pascolare le loro mandrie. Il rispetto da parte dell’Autorità Palestinese di questo divieto è umiliante.
Ed è umiliante anche l’opposto: quando la parte palestinese ha bisogno di chiedere l’approvazione israeliana affinché i suoi poliziotti possano passare da una determinata città a un villaggio vicino che si trova nell’Area B, sotto il controllo palestinese, perché la strada tra di loro attraversa l’Area C, sotto il controllo israeliano. “Non possono presentarsi senza il nostro permesso. Anche se non sono coinvolti coloni, anche se non indossano le uniformi o non portano armi, o devono indagare solo su un incidente d’auto: devono comunque coordinarsi con la brigata”, afferma una delle testimonianze dell’opuscolo.
Il fattore dell’umiliazione, altro mezzo del dominio oppressivo di un regime militare, si legge dentro e tra le righe dell’opuscolo: nell’arabo stentato parlato dai soldati nelle strutture di accoglienza per i palestinesi, nel trattamento sprezzante anche di coloro che potrebbero essere i loro nonni e nonne, nell’assegnare acqua ai coloni a spese di una comunità palestinese, nella revoca totale dei permessi di viaggio. L’umiliazione dell’altro è una parte inscindibile della violenza burocratica, mortificante dell’anima, del tempo e della speranza, che noi ebrei israeliani, essendo gli espropriatori di un popolo dalla sua terra, abbiamo trasformato in una forma d’arte. Usiamo il potere degli editti che abbiamo sancito, le leggi, le procedure e le sentenze di onorevoli giudici per abusare continuamente delle altre persone. L’Amministrazione Civile non ha inventato il sistema, ma è la punta di diamante, l’avanguardia di questa violenza burocratica.
Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro “Bere il mare di Gaza”. Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org