Le parole sembrano perdere il loro significato tra i capi di Stato occidentali quando si parla di Palestina.
Fonte: english version
Di Ivar Ekeland – 16 agosto 2022
Immagine di copertina: Sven Khun Von Burgsdorff , rappresentatne dell’UE , delegati europei e Thomas White, direttore di UNWRA di Gaza, visitano il campo profughi di Shati a Gaza il 16 agosto 2022 (FotO : Ashraf Amra- APA )
Ci sono momenti in cui mi chiedo se capisco ancora il francese. Israele ha lanciato un’offensiva aerea “come misura preventiva” contro Gaza, provocando 46 morti, tra cui 16 bambini. Preventiva? Davvero? Per settimane non c’erano stati attacchi in Israele, né erano stati lanciati razzi contro il suo territorio. Nel frattempo, Israele ha moltiplicato le sue incursioni nei Territori Palestinesi Occupati; l’ultima, nel campo profughi di Jenin, ha provocato la morte di un adolescente di 16 anni e l’arresto di Bassam al-Saadi, attivista palestinese. Il comunicato ufficiale del Ministero degli Affari Esteri francese non ha condannato i bombardamenti aerei della popolazione civile, ma piuttosto il “lancio di razzi contro il territorio israeliano” sparati per rappresaglia, e ha ricordato il suo “impegno incondizionato per la sicurezza di Israele”. La sicurezza di Israele? Davvero? Negli ultimi 15 anni, con la complicità dell’Egitto e delle potenze occidentali, Israele ha tenuto sotto stretto assedio oltre due milioni di persone, arrivando a misurare le razioni di cibo a cui hanno diritto. Gaza è una prigione a cielo aperto, i cecchini israeliani sparano senza preavviso su chiunque si avvicini alle sbarre della loro gabbia e droni israeliani sorvolano Gaza in ogni momento. L’esercito israeliano è entrato nella gabbia cinque volte, seminando morte e distruzione, ed è la sicurezza di Israele ad essere minacciata?
Non sono l’unico ad avere problemi con la lingua. Cosa possono aver pensato gli ospiti locali di Emmanuel Macron dopo aver sentito il Presidente francese rimproverarli come “ipocriti” durante la sua visita ufficiale in Camerun, per non sapere, a differenza delle potenze occidentali, “che nome dare a una guerra, che è una guerra, e non sapendo dire chi l’ha iniziata?”. È vero che parlava non di Gaza, ma dell’Ucraina! Senza dubbio stavano pensando che sarebbe partito bene ripulendo il proprio cortile. E quando leggo che Nancy Pelosi, sbarcando a Taiwan accolta da una spettacolare parata senza precedenti di forze militari aeree e marittime, ha dichiarato all’arrivo di essere venuta come messaggera di pace, mi chiedo se potrei avere difficoltà a capire anche l’inglese.
La storia si ripete. Come scrisse Goethe nel Faust: “auch hier geschieht, was längst geschah”; anche qui sta accadendo ciò che è accaduto tanto tempo fa. La perversione della lingua era già stata denunciata da Karl Kraus all’inizio del 20° secolo, e in quella perversione aveva visto le basi per le guerre che avrebbero insanguinato il mondo e accelerato il declino dell’Europa. Le parole non sono altro che i rulli di tamburi che accompagnano l’assalto, il loro scopo è coprire il rumore degli spari e delle esplosioni. Non significano più niente, le persone non cercano più di convincersi, tanto meno di capire; per citare le parole immortali di Manuel Valls, il nostro ex presidente del Consiglio, “spiegare è già giustificare”.
Le parole sono semplici epiteti che si usano per segnalare contrarietà o approvazione, i semafori che si piazzano nelle strade per indicare se si può andare avanti o meno. I palestinesi, per definizione, sono “terroristi”, dal più grande al più piccolo; questo significa non che abbiano fatto qualcosa, ma piuttosto che bisogna diffidare di loro e che è meglio tenerli sotto chiave.
Al contrario, lo Stato di Israele è, per definizione, “democratico”; questo significa che non può essere assolutamente colpevole del crimine di Apartheid, anche se la sua Costituzione prevede che solo gli ebrei hanno il diritto all’autodeterminazione. Chiunque trovi questo sconvolgente, come i parlamentari francesi che hanno presentato una proposta di risoluzione per condannare l’Apartheid israeliano è, per definizione, “antisemita”, come ha osato insinuare il Ministro della Giustizia, in completo conflitto di interessi.
Lo Stato di Israele nonostante si avvantaggi di armi nucleari, programmi spia e il supporto incondizionato dell’unico impero del mondo, è comunque “minacciata”, e se la sua aviazione bombarda una popolazione che ha solo fucili e razzi per difendersi, è necessariamente per il bene della sua sopravvivenza.
Tutto questo è così ben rodato che sarebbe grottesco se non servisse a giustificare abusi sempre più violenti contro milioni di esseri umani sempre più disperati, e per motivi sempre più futili: sembra che per il governo israeliano inviare i suoi aerei da guerra a bombardare Gaza, faccia parte dei preparativi per le prossime elezioni, dove ogni fazione vuole dimostrare la propria intransigenza nei confronti dei palestinesi. I bambini muoiono a Gaza perché gli israeliani diano il voto giusto?
La perdita di significato, la morte delle parole, per così dire, è la guerra di tutti contro tutti. Secondo un antico detto: si legano i buoi per le corna e gli esseri umani con le parole. Se gli esseri umani sono privati delle parole, non resta che la forza. Restituire significato alle parole fa avanzare il binomio incomparabile, pace e giustizia. Ecco perché la lotta per la Palestina è così importante: non si tratta solo del destino dei milioni di abitanti di quella terra, musulmani, ebrei o cristiani; si tratta anche di dare un significato a parole importanti, come terrorismo, democrazia, colonizzazione, antisemitismo, che vengono usate in altri contesti, e molto più vicini a noi.
Ma per il momento la priorità è un’altra: il blocco di Gaza e la continua costruzione di insediamenti in Palestina devono essere fermati. Ciò che è stato fatto per l’Ucraina dimostra che l’Europa può agire. L’Unione Europea ha sanzionato la Russia per un’aggressione durata sei mesi e che rischia di trasformarsi in un’annessione; perché non sanziona Israele per una colonizzazione che dura da 55 anni? Il crimine non scompare con il passare del tempo; piuttosto attecchisce e diventa più difficile da estirpare, e per combatterlo è necessaria molta più energia.
Ivar Ekeland è il presidente di AURDIP – Associazione degli Accademici per il Rispetto del Diritto Internazionale in Palestina
Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org