Perché Israele sta riaprendo le tombe dei bambini Mizrahi?

Dopo anni di pressioni, Israele sta adottando misure per svelare il destino dei bambini, per lo più yemeniti, scomparsi negli anni ’50. +972 ha parlato con due attivisti del lungo cammino delle famiglie verso la giustizia.

Fonte: english version

Ben Reiff – 24 agosto 2022

Il 27 luglio, una squadra forense del ministero della Salute israeliano è arrivata al cimitero di Nahalat Yitzhak a Tel Aviv per estrarre il DNA da un corpo sepolto in una tomba chiusa da 74 anni. Il nome sulla lapide era Yosef Melamed, un bambino yemenita portato all’ospedale Hadassah di Tel Aviv dalla madre nel 1948 dopo che si era ammalato all’età di un anno e mezzo. La mattina dopo, la madre venne informata dal personale dell’ospedale che suo figlio era morto durante la notte e che era già stato sepolto. Già sospettosa, quando 15 anni dopo la madre di Yosef ricevette un ordine di leva dall’esercito israeliano per il figlio, iniziò a dubitare che dopotutto il figlio potesse non essere morto.

Yosef Melamed è uno degli oltre 2.000 casi di bambini scomparsi dopo essere stati allontanati forzosamente dai genitori da agenzie affiliate allo stato, principalmente durante gli anni ’50. In ogni caso, ai genitori – che vivevano prevalentemente in campi di transito per i nuovi immigrati – venne detto che il loro bambino era morto, ma non venne loro mostrato alcun cadavere, né un certificato di morte e spesso nemmeno una tomba. Più di due terzi dei bambini scomparsi in quello che oggi è noto come lo “Yemenite, Mizrahi e Balkan Children Affair” erano nati da genitori yemeniti; durante quegli anni, si stima che in Israele un bambino yemenita su otto sia scomparso. Le restanti scomparse furono per lo più bambini di altre origini mizrahi [letteralmente “orientali”], come bambini nordafricani e iracheni, mentre un piccolo numero proveniva da famiglie immigrate dai Balcani.

La vicenda venne indagata da comitati statali di vario grado di autorità negli anni ’60, ’80 e ’90, nel corso dei quali molte delle famiglie colpite presentarono testimonianze. Alcune ricordarono  come il loro bambino non fosse nemmeno malato quando le autorità statali lo portarono via; altre riferirono di essere state informate che il loro bambino era morto ancora prima di andare a trovarlo quando era ancora in vita.. Ma lo stato continua a negare qualsiasi illecito intenzionale, sostenendo che le sparizioni sono state il risultato delle difficoltà associate all’immigrazione di massa in quegli anni e che la stragrande maggioranza di quei bambini è semplicemente morta per malattie. Nel frattempo, gli ex operatori sanitari e assistenziali continuano a testimoniare il loro ruolo nel dare in adozione bambini appena usciti dagli ospedali.

L’Associazione Amram, fondata nel 2013, è in prima linea nella lotta per il riconoscimento, la giustizia e la guarigione delle famiglie colpite dalla vicenda. Il loro sito web ospita quasi 1.000 testimonianze di famiglie, rapiti ed ex membri del personale delle istituzioni statali, che fanno luce sul razzismo sistemico sperimentato dagli ebrei mizrahi per mano dell’establishment ashkenazita dello stato durante quegli anni – razzismo che continua ancora oggi con la negazione della questione.

Israeliani protestano contro l’Affare dei bambini yemeniti a Gerusalemme il 21 giugno 2018. (Yonatan Sindel/Flash90)

+972 Magazine ha parlato con Tom Mehager e Naama Katiee, rispettivamente direttore esecutivo e presidente del consiglio di Amram, degli ultimi sviluppi legali e politici e della lunga strada delle famiglie verso la giustizia. L’intervista è stata tradotta e modificata per lunghezza e chiarezza.

Perché lo stato ha iniziato ad aprire le tombe dei bambini Mizrahi, decenni dopo che si presumeva fossero stati sepolti lì?

Tom Mehager: Dovrei chiarire, prima di tutto, che questa non è una mossa che noi [come Amram] stiamo guidando — è guidata da altri avvocati. È il risultato della legislazione della Knesset: grazie alle pressioni delle famiglie, alla Knesset c’è una legge temporanea [approvata nel 2018] che consente alle famiglie a cui è stato detto che il loro bambino è stato sepolto in un determinato luogo di richiedere un procedimento legale per aprire la tomba alla presenza di un rappresentante del Ministero della Salute.

Naama Katiee: È una richiesta che risale al comitato investigativo statale degli anni ’90 [noto come Commissione Kedmi]. All’epoca, circa 100 famiglie dissero: “Va bene, ci stanno dicendo che nostro figlio è morto ed è stato sepolto, quindi vogliamo aprire la tomba e verificare ciò che dice lo stato”. Ma lo stato si rifiutò di farlo, quindi le famiglie intrapresero una battaglia legale. Alla fine negli anni ’90 furono aperte dieci tombe, ma per la maggior parte di esse fu impossibile effettuare un test del DNA per verificare il legame familiare. Un tale test fu possibile solo per un corpo, che produsse una “plausibile corrispondenza del DNA”.

Crediamo che sia diritto di ogni famiglia aprire la tomba del proprio figlio; lo Stato deve fornire finanziamenti e consentire alla famiglia di farlo secondo le proprie condizioni e in totale trasparenza. Questo è uno strumento nelle mani delle famiglie per ottenere tutte le informazioni possibili per il loro caso specifico. Ma non è una soluzione universale di tutta la faccenda, sia perché i risultati non sono mai del tutto chiari – ancora oggi sappiamo che testare i corpi riesumati è molto complesso – sia perché nella maggior parte dei casi non c’è nemmeno una tomba: solo un terzo delle famiglie informate dallo Stato che il loro bambino era morto hanno una tomba con il nome del bambino su di essa.

Naama Katiee di Amram (a sinistra) e Tom Mehager (a destra). (Oren Ziv)

Né è [come qualcuno potrebbe suggerire] uno strumento per determinare se la questione fosse vera o meno;  il fatto che i bambini siano stati sottratti ai genitori è indiscutibile. Anche se su un corpo viene effettuato il test e dovesse risultare  essere davvero il figlio della famiglia, un’ingiustizia è stata comunque commessa, per il fatto stesso che la famiglia ha ricevuto risposte solo 50 o 60 anni dopo. Quindi, per questo motivo, stiamo dicendo che prima di tutto lo Stato deve scusarsi e prendere provvedimenti perché la questione venga riconosciuta.

TM: Stiamo parlando solo di una manciata di famiglie, mentre la vicenda nel suo insieme riguarda migliaia di bambini. Pertanto, testare i corpi non è una risposta sistematica a qualcosa che consideriamo parte della storia del razzismo istituzionalizzato nella società israeliana. Non si tratta solo di una soluzione tecnica specifica per una famiglia, ma dello Stato che riconosce ciò che è successo qui, si scusa e rende giustizia alle famiglie.

L’anno scorso, in parte grazie alla campagna di Amram, furono resi pubblici i risultati di un rapporto che indagava sul razzismo nel sistema sanitario israeliano. Il rapporto, commissionato dallo stesso Ministero della Salute, riportava molte delle affermazioni centrali fatte nelle testimonianze che Amram ha raccolto negli ultimi dieci anni, ovvero che durante i primi anni dello stato i bambini furono separati dai genitori a causa degli atteggiamenti razzisti delle autorità; che gli operatori sanitari  presero decisioni mediche sui bambini senza il consenso dei genitori; che i genitori furono informati che il loro bambino era morto senza che fosse mostrato un corpo, una tomba o un certificato di morte; e che il sistema sanitario  venne coinvolto nella mediazione per l’adozione privata. Allora perché il Ministero della Salute rifiuta le conclusioni del rapporto?

TM: Il ministero della Salute [che nell’ultimo anno è stato guidato da Nitzan Horowitz, presidente del partito di sinistra Meretz] sta cercando di mascherare il contenuto del rapporto. Nel 2017 il ministero ha istituito il “Comitato per l’eliminazione del razzismo, la discriminazione e l’esclusione nel sistema sanitario”, incaricato di indagare non solo sulla vicenda, ma sul razzismo nel sistema sanitario in generale. Eravamo parte di quel processo: gli autori del rapporto [il professor Itamar Grotto e il dottor Shlomit Avni, due figure di spicco del ministero della Salute] hanno parlato con noi nel corso della loro indagine. Ma proprio quando il rapporto venne pubblicato, il Ministero della Salute decise il riesame della parte relativa alla vicenda.

La squadra forense del Ministero della Salute ha aperto la tomba di Yosef Melamed per prelevare un campione di DNA al cimitero di Nahalat Yitzhak a Tel Aviv, il 27 luglio 2022. La famiglia di Melamed, immigrata dallo Yemen, è sicura che sia stato rapito come centinaia di bambini da Paesi mediorientali e nordafricani negli anni ’40 e ’50. (Oren Ziv)

Hanno rimosso completamente l’intero team di autori e l’esperto che hanno scelto per il riesame è stata lal professoressa Shifra Schwartz, già nota per aver espresso molte smentite riguardo alla vicenda (“frutto dell’immaginazione”, secondo lei). Il parere ufficiale della Schwartz [presentato dopo il riesame] è davvero pessimo: contiene errori di fatto sulla vicenda, e rifiuta la logica stessa della commissione, che diceva: “Sì, qui c’era razzismo, parliamone e ripariamo il danno che è stato fatto”. Quindi siamo ancora impegnati in una lotta su questo; abbiamo presentato richieste di maggiore libertà di informazione riguardo al processo di nomina di Schwartz, ad esempio, con molti altri accademici che hanno offerto disponibilità a lavorare sul rapporto di Grotto e Avni.

Mentre ci avviciniamo a un’altra elezione, come valuteresti la performance del “governo del cambiamento” uscente nell’affrontare la questione?

NK: Questo governo, in particolare Horowitz, si è comportato in modo davvero vergognoso: ignorando completamente i nostri tentativi e quelli delle famiglie di entrare in contatto con loro, come se non esistessimo; si sono impegnati in una profonda negazione, che ci ha davvero portati indietro rispetto al discorso pubblico; ha incaricato persone come Schwartz, le cui opinioni erano già note. Onestamente, devo dire che il governo precedente [sotto l’allora primo ministro Benjamin Netanyahu, che nel 2016 declassificò migliaia di documenti dalle precedenti indagini dello Stato sulla vicenda] ha fatto di più a beneficio delle famiglie. Si può discutere su quanto fosse autentico, sulle intenzioni dietro di esso, ma la linea di fondo è che sentivamo che il governo precedente è stato più sincero nei confronti delle famiglie.

Penso che questa vicenda metta in discussione l’idea di chi sta effettivamente combattendo per i diritti umani. Perché è una questione di diritti umani, è indiscutibile, eppure abbiamo visto come negli anni la sinistra sia riuscita più e più volte a pasticciarla, anche quando ha avuto gli strumenti per affrontarla. Quindi per me, al di là dell’importanza di lottare per una soluzione di questa vicenda, insegna anche molto sulla politica israeliana, sulla “destra” e sulla “sinistra” e sul fatto che non ci sono davvero “destra” e “sinistra” in Israele.

Un membro della famiglia di Yosef Melamed mostra una sua foto da bambino il giorno in cui una squadra forense israeliana del Ministero della Salute ha aperto la tomba di Melamed per un campione di DNA, cimitero di Nahalat Yitzhak, Tel Aviv, 27 luglio 2022. La famiglia di Melamed, immigrata dallo Yemen, è sicura che sia stato rapito come centinaia di bambini dai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa negli anni ’40 e ’50. (Oren Ziv)

TM: Hanno avuto un’opportunità storica lo scorso anno, con il rapporto commissionato dallo stesso Ministero della Salute, i cui autori hanno detto loro: “Prendetela, iniziate il processo di guarigione e chiedete scusa”. Anche Naftali Bennett [allora primo ministro e capo del partito di destra Yamina] semplicemente non si è occupato affatto della questione, anche se in passato aveva  parlato di quanto fosse terribile l’ingiustizia dei bambini sottratti ai loro genitori. Il rapporto stava ricevendo molta attenzione da parte dei media e ci siamo rivolti diverse volte all’ufficio di Bennett, ma anche lui non se ne è occupato. Quindi, sebbene questo governo abbia vinto con la promessa di essere contro la corruzione e di essere un “governo di guarigione”, quando si tratta dei Mizrahi, semplicemente non ci vede.

NK: C’è negazione sia a sinistra che a destra, ma di solito viene da persone che si sentono minacciate da una narrativa che rifiuta la nozione tradizionale sionista della “bella terra d’Israele” e dei pionieri che sono venuti per fare fiorire il deserto. La vicenda racconta una storia diversa, che non è piacevole per molte delle persone che ricoprono posizioni di potere in Israele.

Allo stesso tempo, il 21 giugno il presidente Isaac Herzog ha ospitato un evento nella sua residenza ufficiale per commemorare la vicenda, con alcune delle famiglie colpite. Cosa dice di come la copertura mediatica e l’opinione pubblica sono cambiate negli ultimi anni, tanto che un evento del genere sia oggi possibile?

NK: L’evento alla residenza del presidente è stato sicuramente un riconoscimento, come abbiamo chiesto. Non si è scusato però con le famiglie a nome dello Stato di Israele, che era quello che ci aspettavamo. Ma il fatto che il presidente abbia invitato le famiglie, questo era il nostro obiettivo quando abbiamo istituito la Giornata della Consapevolezza [nel 2013]: dare un palcoscenico alle famiglie per raccontare le loro storie. E l’evento è stato costruito davvero esattamente come abbiamo indicato: non ci sono stati discorsi di politici, e nemmeno di attivisti; c’erano semplicemente le famiglie e le loro testimonianze, e il presidente che parlava loro direttamente.

So che dal punto di vista delle famiglie è stato un evento davvero toccante, significativo. E anche per noi: il fatto che un giorno che abbiamo stabilito noi, sia diventato un evento ufficiale presso la residenza del presidente, è sicuramente un passaggio verso la  costruzione della fiducia, ed è merito del presidente. È giàin contatto con noi da diversi anni, dal 2016, quando cercò  di presentare alla Knesset un disegno di legge affinché lo Stato riconoscesse la vicenda.

TM: Di recente è stato presentato un altro disegno di legge alla Knesset, proposto dai parlamentari Na’ama Lazimi del Labour e Moshe Arbel dello Shas, che tratta in modo più esplicito del riconoscimento e della responsabilità dello Stato nella vicenda, ed è basato sul precedente disegno di legge di Herzog. Se la Knesset non fosse stata divisa, penso che sarebbe passato. Quindi penso che ci saranno sviluppi più positivi nei prossimi anni per quanto riguarda il riconoscimento e l’assunzione di responsabilità da parte dello Stato.

A conference at the President's Residencein honor of Awareness Day for the Disappearance of Children from Yemen, the Middle East, and the Balkans, Jerusalem, June 21, 2022. (Olivier Fitoussi/Flash90)
La conferenza presso la Residenza del Presidente in onore della Giornata di sensibilizzazione sulla scomparsa dei bambini dello Yemen, del Medio Oriente e dei Balcani, Gerusalemme, 21 giugno 2022. (Olivier Fitoussi/Flash90)

All’evento, Herzog ha detto alle famiglie che stiamo parlando di una faccenda seria e inquietante e che ai suoi occhi c’erano sistemi che avevano fallito, alcuni anche intenzionalmente. Queste sono cose davvero drammatiche ed eccezionali da dire sulla vicenda, da parte di un alto rappresentante dello stato. Quindi ora si può davvero dire che c’è un ampio consenso all’interno della società israeliana sul fatto che sia avvenuta una grave ingiustizia, e che questo è avvenuto grazie al lavoro delle famiglie e delle organizzazioni; nessuno ci ha fatto alcun favore: abbiamo dovuto smuovere la situazione. Ma si limita a ribadire quanto sia stato  grave il comportamento del ministero della Salute.

NK: Ci troviamo ora in una fase in cui il modo in cui i diversi rami dello stato che si relazionano alla vicenda è molto connesso alla persona specifica presente al vertice: abbiamo chi ci appoggia nella casa del presidente, ma abbiamo Horowitz nel Ministero della Salute, e la differenza nell’approccio si vede chiaramente.

Il fenomeno dei bambini appartenenti a un determinato gruppo etnico che scompaiono per mano delle autorità statali, e addirittura vengono dati in adozione senza il consenso dei genitori, non è unico in Israele: fatti simili sono accaduti in Australia (le “Generazioni rubate”) e Canada (lo “Scoop degli anni Sessanta”), per citare alcuni paesi. Cosa possiamo imparare da questi altri casi, sia per quanto riguarda la vicenda in sé, sia per come riparare l’ingiustizia?

NK: Possiamo imparare molto dagli  altri avvenimenti; sono strettamente imparentati con i nostri. Ciò che è chiaro, prima di tutto, è che nessuna istituzione politica riconoscerà volontariamente l’ingiustizia: è sempre un processo che inizia con una lotta guidata dalle famiglie e da altri che si uniscono a loro. Qualcos’altro che vediamo in comune è che spesso quando c’è un gruppo più debole e un gruppo più potente che si uniscono [ad es. come risultato dell’immigrazione all’interno di un contesto coloniale-colonialista], appare il fenomeno dell’allontanamento dei bambini dai genitori, sia che si tratti di dire ai genitori che i loro figli sono morti dandoli poi in adozione, sia di separarli culturalmente come in Canada e Australia, dove i bambini sono stati sottratti ai loro genitori per renderli parte della “società illuminata”.

Spesso assistiamo anche alla difficoltà di un gruppo emarginato nel dimostrare le proprie affermazioni in una forma efficace, come attraverso le prove documentali. I gruppi emarginati non hanno sempre accesso alla documentazione, mentre l’establishment ha sempre la possibilità di documentare tutto ciò che vuole e  celare i documenti per tutto ciò che non vuole. Quindi quella difficoltà, l’onere della “prova”, la si trova sempre in  questioni simili.

TM: Il campo della giustizia di transizione — o riparatrice —, utilizzando testimonianze orali si è sviluppato molto, a partire dalla consapevolezza che le vite delle popolazioni emarginate non sono documentate; nessuno ha chiesto loro di registrare le ingiustizie che hanno dovuto affrontare. Ma c’è un nuovo movimento in tutto il mondo che lavora sulla questione della giustizia riparativa utilizzando conoscenze di tipo diverso e, dal nostro punto di vista, siamo in prima linea.

Infine, che aspetto ha effettivamente la giustizia? Cosa deve succedere per poter dire che la lotta è riuscita e il tuo lavoro è finito?

An Israeli demonstrator holds up a photo of a Yemenite child who was disappeared during the early years of the state, July 31, 2019, Jerusalem. (Oren Ziv/Activestills.org)
Un manifestante israeliano tiene in mano la foto di un bambino yemenita scomparso durante i primi anni dello stato, 31 luglio 2019, Gerusalemme. (Oren Ziv/Activestills.org)

NK: Dal punto di vista di Amram, lo stato deve prima di tutto riconoscere la sua responsabilità indiretta e diretta per la vicenda e chiedere scusa ufficiale alle famiglie, come è successo in situazioni  simili in tutto il mondo. Dopodiché, deve stabilire un meccanismo affinché le famiglie ricevano tutte le informazioni su ciò che è accaduto al loro bambino: se è vivo o morto, le circostanze in cui è morto o è stato trasferito altrove, nonché poter aprire la tomba, se la famiglia lo desidera. Naturalmente, lo Stato deve riconoscere la grande sofferenza e il danno che ha causato alle famiglie e offrire loro un adeguato compenso. Inoltre, la vicenda dovrebbe essere inserita nel curriculum scolastico e contrassegnata con una Giornata ufficiale della sensibilizzazione – come una vicenda che è il risultato dell’atteggiamento razzista e condiscendente nei confronti dei nuovi immigrati – con l’obiettivo di curare la malattia del razzismo nella società israeliana .

TM: Noi chiamiamo questo “riconoscimento, giustizia e guarigione”. Vogliamo anche che lo stato costruisca un sito commemorativo con informazioni sulla vicenda, che le famiglie e gli altri possano visitare. E infine, lo stato deve riabilitare il nome del rabbino Uzi Meshulam*, e dichiarare che era un uomo di giustizia.

*Eminente attivista morto nel 2013, dopo aver scontato cinque anni di carcere negli anni ’90 per le sue attività volte a ottenere il riconoscimento della vicenda in un momento in cui la maggior parte ancora la negava, attività che inclusero anche barricarsi armato con molti dei suoi sostenitori all’interno della sua abitazione. Ogni anno nel giorno della sua morte si ricorda la questione dei bambini scomparsi.

Ben Reiff è uno scrittore e attivista del Regno Unito

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org