Il Centro ricreativo dove i bambini palestinesi si prendono cura l’uno dell’altro

Supportati da DCI-Palestine, gli adolescenti del campo profughi di Dheisheh stanno creando uno spazio in cui, in mezzo alla violenza dell’occupazione, i loro coetanei possano creare legami e imparare .

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Di Fatima Abdul Karim – 3 ottobre 2022

Immagine di copertina: L’ingresso del Centro Laylak, campo profughi di Dheisheh. (Fatima Abdul Karim)

A pochi passi dagli stretti vicoli del campo profughi di Dheisheh a Betlemme, affacciato sulla strada che da Gerusalemme porta a Hebron, si trova un piccolo e singolare Centro ricreativo chiamato Laylak. Vecchie sedie di plastica e metallo sono state trasformate in altalene improvvisate e pallet di legno sono stati uniti per formare un tavolo da picnic accanto a un grande trampolino elastico.

La modesta installazione del Centro è il progetto improvvisato di un gruppo di 14 bambini palestinesi di Dheisheh, tutti di età compresa tra i 12 e i 16 anni, che desideravano un luogo che potesse essere un Centro ricreativo volto a incoraggiare i loro coetanei ad allontanarsi dalle abitudini preoccupanti che stanno dilagando tra i bambini nel campo profughi, come fumare, comportamenti aggressivi o giocare a videogiochi violenti. Nel locale, i bambini trovano uno spazio per incanalare le ansie della loro vita quotidiana in attività positive e interazioni sociali.

“Quando esco dal campo verso la strada principale, non ci penso due volte”, ha detto Sedra, 14 anni, uno dei partecipanti al progetto. “Mi dirigo direttamente al Centro Laylak, perché è li che mi trovo più utile alla mia comunità”.

Laylak è uno dei numerosi centri sociali in tutta la Cisgiordania occupata che si rivolge ai giovani “difensori dei diritti dell’infanzia” che compongono il Consiglio Palestinese per l’Infanzia, un’iniziativa nazionale istituita da Defense for Children International – Palestine (Difesa Internazionale per l’Infanzia – Palestina. DCI-P), che organizza anche seminari speciali sui diritti umani nei locali.

DCIP è una delle sette ONG palestinesi per i diritti umani i cui uffici sono stati chiusi dalle forze israeliane ad agosto dopo che il Ministro della Difesa Benny Gantz le ha designate come “organizzazioni terroristiche”, una decisione che è stata presa senza prove sostanziali a sostegno di tali affermazioni. DCI-P fa parte dell’organizzazione più ampia Defense for Children International, che ha sede a Ginevra, e lavora in Palestina dal 1991 per monitorare le violazioni dei diritti commesse dalle autorità israeliane e palestinesi.

Bambini e supervisori che riparano un’altalena al Centro Laylak, campo profughi di Dheisheh. (Fatima Abdul Karim)

Mohammad, un altro quattordicenne residente a Dheisheh, imputa la propria frustrazione e ansie alla realtà della vita sotto il regime militare israeliano, comprese le ripetute incursioni e arresti nel campo e il generale disprezzo per le vite dei residenti. Allo stesso tempo, Mohammad riconosce che la comunità si sente sottomessa e impotente.

“L’occupazione è responsabile di tanti problemi che i giovani devono affrontare oggi, così come la negligenza della comunità locale”, ha affermato.

La stessa vita di Mohammad è stata influenzata dagli incontri diretti con l’esercito israeliano. Suo fratello maggiore è stato imprigionato all’età di 17 anni per sette anni e in tre occasioni negli ultimi anni i soldati israeliani hanno usato Mohammad come scudo umano durante le incursioni nel campo per evitare di essere lapidati dai residenti del campo. Queste esperienze sono state la molla che ha mosso il suo desiderio di capire ciò che l’esercito israeliano fa ai bambini che arresta e cosa si potrebbe fare per fermarli.

“Il mio obiettivo personale ora è documentare casi di arresti di bambini e il loro uso come scudi umani da parte delle forze israeliane nel campo, che condividerò con gli avvocati della DCI-P per aiutarli”, ha aggiunto. “Ho sentito da molti dei miei coetanei che sono stati arrestati dai soldati israeliani di come sono stati costretti a confessare cose che non hanno mai commesso”.

Ayham, 13 anni, è stata l’ultimo ad aggiungersi alla squadra di Laylak quest’estate. È lì per il gusto di farlo, ammette, ma vuole anche aiutare i bambini della sua età a usare il loro tempo in modo più saggio che passare lunghe ore davanti allo schermo del computer.

“Non pensavo potessimo essere in grado di difendere i nostri diritti sotto le incursioni dell’esercito israeliano in corso e gli arresti diffusi nel campo”, ha detto Ayham. “Ma ho imparato che possiamo aiutare gli avvocati e le persone che fanno luce sulla nostra difficile situazione”.

Un bambino palestinese passa con la sua bicicletta davanti a un murale che simboleggia la difficile situazione dei rifugiati, nel campo profughi di Dheisheh, nella città di Betlemme, in Cisgiordania, il 10 maggio 2007. (Anne Paq/Activestills)

Nel frattempo, la squadra del Laylak si riunisce nel Centro mentre un gruppo di coetanei volontari locali mira a “creare un ambiente sociale accogliente” affinché i bambini del campo affrontino i loro problemi urgenti. Dipingono le pareti del locale, disegnando immagini di figure palestinesi come la giornalista Shireen Abu Akleh e il fumettista Naji al-Ali, illustrazioni di modelli che aspirano a essere.

Sedra spiega che la pressione imposta sulla società palestinese in generale porta a un senso collettivo di incertezza e disperazione. “Non abbiamo spazi che ci consentano di giocare e condividere ciò che stiamo attraversando, o di apprendere nuove abilità”, ha detto, prima di raccontare una storia dopo l’altra su quanto fosse importante per lei consolidare le sue amicizie cercando di aiutare  le sue coetanee attraverso varie sfide sociali.

“Una delle mie amiche ha attraversato un periodo difficile perché era vittima di bullismo a scuola e sentiva di non essere compresa dalla sua famiglia”, ha raccontato Sedra. “Così l’ho ascoltata e ho riferito il suo caso al consulente scolastico, e l’ho aiutata a ritrovare la sua autostima. Non avrei saputo di farlo se non fosse stato per un film informativo che ho visto durante uno dei seminari della DCI-P sul bullismo e la creazione di fiducia tra gli adolescenti”.

“Parte integrante dell’occupazione”

Una caratteristica fondamentale del lavoro di DCI-P è stata quella di migliorare il contesto giuridico e l’ambiente psicosociale per i bambini palestinesi in tutti i Territori Occupati, sperando di alleviare l’impatto della violenza quotidiana e strutturale. Oltre ai seminari e alla documentazione, l’organizzazione è stata in prima linea nella richiesta di un cambiamento della struttura giuridica che si occupa dei bambini.

“Nella fase iniziale dell’istituzione dell’Autorità Palestinese, era impensabile parlare di tribunali minorili specializzati, ma ora è una realtà ampiamente supportata”, ha affermato il direttore esecutivo della DCI-P Khaled Quzmar. “Sono orgoglioso di dire che ora abbiamo una legge che si chiama ‘Legge sulla protezione dei giovani’ ed è una delle migliori nella regione araba”.

Foto: Donne palestinesi camminano per i vicoli del campo profughi di Dheisheh, nella città di Betlemme, in Cisgiordania, il 30 agosto 2018. (Miriam Alster/Flas90)

Un avvocato della DCI-P che rappresenta i minori all’interno del sistema dell’Autorità Palestinese e che ha chiesto l’anonimato per timore delle autorità israeliane, ha detto che la visione fondamentale dei tribunali minorili si è trasformata dal vedere i giovani “come teppisti bisognosi di punizione a considerarli vittime bisognose di aiuto”. DCI-P ha guidato un lungo processo, anche con la polizia, la magistratura e il Ministero degli Affari sociali, per modificare le leggi palestinesi sui minori, dando la priorità ai loro interessi e impedendo ai giovani autori di reati di reiterare.

Quzmar crede che ci sia ancora molto da fare con l’Autorità Palestinese in questo campo. Il problema più grande, tuttavia, risiede all’interno del sistema israeliano, “dove non c’è giustizia per i minori, solo piccoli spazi di manovra per cercare di ridurre al minimo l’esposizione del minore all’ingiustizia”.

Dall’inizio del 2022, 40 bambini palestinesi sono stati uccisi, secondo DCI-P, di cui 22 assassinati dalle forze israeliane e dai coloni in Cisgiordania, un netto aumento rispetto agli ultimi anni. Attualmente ci sono circa 180 bambini nelle carceri israeliane, con centinaia di altri detenuti per svariati periodi di tempo. È stato costantemente riportato che i tribunali militari israeliani, che presiedono sia ai casi dei minori che degli adulti, hanno un tasso di condanna dal 95 al 99%.

“Il sistema dei tribunali militari è parte integrante degli strumenti di dominio dell’occupazione israeliana”, ha continuato Quzmar. “Da un lato, è fatto per punire ogni palestinese, e dall’altro, per legittimare i crimini contro di loro”.

Con ciò, la difesa internazionale è diventata una componente essenziale del lavoro di DCI-P, ha spiegato Quzmar, con la speranza che la pressione dall’esterno possa aiutare a creare responsabilità. E sul campo, “attraverso il Consiglio Palestinese per l’Infanzia, cerchiamo di mostrare ai bambini la speranza per il loro futuro, di sostenerli nei momenti più difficili fino all’adolescenza e di salvare le loro vite”, ha aggiunto.

Murales che commemorano i martiri nel campo profughi di Dheisheh, Betlemme, Cisgiordania, 29 aprile 2018. (Activestills)

Il Consiglio lavora per consapevolizzare e responsabilizzare i bambini non solo attraverso corsi di formazione, ma anche facilitando loro incontri con rappresentanti di Stati esteri e organizzazioni internazionali, inclusi ministri, diplomatici e capi delle agenzie delle Nazioni Unite.

Come parte degli sforzi di DCI-P, gli assistenti sociali si concentrano sull’assistenza ai bambini a rischio per quanto riguarda l’istruzione e il benessere personale, attraverso un programma di psicodramma designato e diverse attività per tenerli impegnati. (Lo psicodramma è una forma di psicoterapia e un metodo d’azione, dove i partecipanti esplorano emozioni e vissuti personali o collettivi attraverso una messa in scena improvvisata che trasforma il discorso in rappresentazione).

“Cerchiamo di creare una rete sicura per i bambini vittime, poiché quei circoli diventano un efficace supporto sociale e psicologico che ha fatto emergere nuove opportunità per moltissimi bambini”, ha affermato uno specialista psicologico che collabora con l’organizzazione e ha chiesto l’anonimato per motivi di timore delle autorità israeliane. “Ma questo ora rischia di scomparire se DCI-P è costretta a chiudere”.

Fatima AbdulKarim è una giornalista con sede a Ramallah.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org