Perché i bambini palestinesi lanciano pietre? Sulla morte di Rayan Suliman e la sua paura dei mostri

La verità è che i bambini palestinesi lanciano pietre contro i soldati israeliani, né a causa del loro presunto odio intrinseco verso gli israeliani, né come atti puramente politici. Lo fanno perché è il loro unico modo per affrontare le proprie paure e fare i conti con la propria umiliazione quotidiana.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 13 ottobre 2022

Immagine di copertina: Il bambino palestinese, Faris Odeh, lancia una pietra contro un carro armato israeliano.

I bambini del mio campo profughi di Gaza raramente avevano paura dei mostri, ma dei soldati israeliani sì. Questo è tutto ciò di cui parlavamo prima di andare a letto. A differenza dei mostri immaginari nell’armadio o sotto il letto, i soldati israeliani sono reali e potrebbero presentarsi in qualsiasi momento: alla porta, sul tetto o, come spesso accade, fare irruzione in casa.

La recente tragica morte di un bambino di 7 anni, Rayan Suliman, un ragazzino palestinese del villaggio di Tuqu vicino a Betlemme, nella Cisgiordania occupata, ha suscitato tanti ricordi. Il bambino con la pelle olivastra, il viso innocente e gli occhi luminosi è caduto a terra mentre veniva inseguito dai soldati israeliani, che hanno accusato lui e i suoi coetanei di lanciare sassi. Ha perso i sensi, il sangue gli usciva dalla bocca e, nonostante gli sforzi per rianimarlo, ha smesso di respirare.

Questa è stata la fine improvvisa e tragica della vita di Rayan. Tutte le cose che avrebbe potuto essere, tutte le esperienze che avrebbe potuto vivere, tutto l’amore che avrebbe potuto dare o ricevere, tutto è finito all’improvviso, mentre il ragazzo giaceva a faccia in giù sul selciato di una strada polverosa, in un povero villaggio, senza mai vivere un solo momento di vera libertà, o addirittura di sicurezza.

Rayan Suleiman, sette anni, è morto di infarto dopo essere stato inseguito da soldati israeliani armati. Credito | Wafa

Gli adulti spesso proiettano la loro comprensione del mondo sui bambini. Vogliamo credere che i bambini palestinesi siano guerrieri contro l’oppressione, l’ingiustizia e l’occupazione militare. Sebbene i bambini palestinesi sviluppino una coscienza politica in giovane età, molto spesso la loro azione di protesta contro l’esercito israeliano-cantare contro i soldati invasori o persino lanciare pietre – non è spinta dalla politica, ma da qualcosa di completamente diverso: la loro paura dei mostri.

Questa associazione mi è venuta in mente quando ho letto i dettagli dell’esperienza straziante che Rayan e molti dei bambini del villaggio vivono quotidianamente.

Tuqu è un villaggio palestinese che, una volta, si trovava all’interno di un paesaggio incontaminato. Nel 1957, l’insediamento ebraico illegale di Tekoa fu fondato su terra palestinese rubata. L’incubo era iniziato.

Le restrizioni israeliane alle comunità palestinesi in quell’area sono aumentate, insieme all’annessione di terre, alle restrizioni di viaggio e all’intensificarsi dell’Apartheid. Diversi residenti, per lo più bambini del villaggio, sono stati feriti o uccisi dai soldati israeliani durante ripetute proteste: gli abitanti del villaggio volevano riavere la loro vita e la propria libertà; i militari volevano imporre un’oppressione costante su Tuqu in nome della salvaguardia della sicurezza di Tekoa. Nel 2017, un ragazzo palestinese di 17 anni, Hassan Mohammad al-Amour, fu ucciso a colpi di arma da fuoco durante una protesta; nel 2019 un altro, Osama Hajahjeh, rimase gravemente ferito.

I bambini di Tuqu avevano molto da temere e le loro paure erano tutte fondate. Il tragitto quotidiano per andare a scuola, percorso da Rayan e da molti dei suoi coetanei, ha accentuato queste paure. Per arrivare a scuola, i bambini dovevano attraversare il filo spinato militare israeliano, spesso presidiato da soldati israeliani armati fino ai denti.

A volte, i bambini hanno tentato di evitare il filo spinato per evitare l’incontro terrificante. I soldati lo avevano previsto. “Abbiamo provato a ovviare attraversando il campo di ulivi vicino al sentiero, ma i soldati si nascondono tra gli alberi e ci prendono”, raccontava Mohammed Sabah, un bambino di 10 anni di Tuqu citato in un articolo di Sheren Khalel, pubblicato anni fa.

L’incubo dura da anni. Rayan ha vissuto quel viaggio terrificante per oltre un anno, con i soldati in attesa dietro il filo spinato, creature misteriose che si nascondono dietro gli alberi, mani che afferrano piccoli corpi, bambini che urlano chiamando i loro genitori, implorando Dio e correndo in tutte le direzioni.

Dopo la morte di Rayan il 29 settembre, il Dipartimento di Stato americano, il governo britannico e l’Unione Europea hanno chiesto un’indagine, come se il motivo per cui il ragazzino ha ceduto  alle sue paure paralizzanti fosse un mistero, come se l’orrore dell’occupazione e della violenza militare israeliana non fosse una realtà quotidiana.

La storia di Rayan, sebbene tragica al di là delle parole, non è unica, ma una ripetizione di altre storie vissute da innumerevoli bambini palestinesi.

Quando Ahmad Manasra è stato investito dall’auto di un colono israeliano e suo cugino, Hassan, è stato ucciso nel 2015, i media e i sostenitori di Israele  alimentarono le fiamme della propaganda, sostenendo che Manasra, all’epoca 13 anni, era una rappresentazione di qualcosa di più grande. Israele ha affermato che Manasra era stato colpito per aver tentato di accoltellare una guardia israeliana e che tale azione rifletteva il profondo odio palestinese per gli ebrei israeliani, un’altra comoda prova dell’indottrinamento dei bambini palestinesi da parte della loro cultura presumibilmente violenta. Nonostante le ferite riportate e la giovane età, Manasra è stato processato nel 2016 ed è stato condannato a dodici anni di carcere.

Manasra proviene dalla città palestinese di Beit Hanina, vicino a Gerusalemme. La sua storia è, per molti versi, simile a quella di Rayan: una città palestinese, un insediamento ebraico illegale, soldati, coloni armati, pulizia etnica, furti di terre e veri mostri, ovunque. Niente di tutto ciò aveva importanza per il tribunale israeliano o per i principali media. Hanno invece trasformato un ragazzo di 13 anni in un mostro, e hanno usato la sua immagine come un manifesto del terrorismo palestinese insegnato in giovane età.

La verità è che i bambini palestinesi lanciano pietre contro i soldati israeliani, né a causa del loro presunto odio intrinseco verso gli israeliani, né come atti puramente politici. Lo fanno perché è il loro unico modo per affrontare le proprie paure e fare i conti con la propria umiliazione quotidiana.

Poco prima che Rayan riuscisse a sfuggire alla furia dei soldati israeliani e fosse inseguito fino alla morte, si era svolta  una discussione tra suo padre e i soldati. Il padre di Rayan ha detto all’Associated Press che i soldati avevano minacciato che, se Rayan non fosse stato consegnato, sarebbero tornati di notte per arrestarlo insieme ai suoi fratelli maggiori, di 8 e 10 anni. Per un bambino palestinese, un’incursione notturna dei soldati israeliani è  la prospettiva più terrificante. Il giovane cuore di Rayan non poteva sopportare il pensiero. Ha ceduto.

I medici del vicino ospedale palestinese di Beit Jala hanno dato una convincente spiegazione medica del motivo per cui Rayan è morto. Uno specialista pediatrico ha parlato di livelli di stress aumentati, causati da “eccessiva secrezione di adrenalina” e di aumento del battito cardiaco, che ha portato a un arresto cardiocircolatorio. Per Rayan, i suoi fratelli e molti bambini palestinesi, il colpevole è qualcos’altro: i mostri che tornano di notte e terrorizzano i bambini nel sonno.

È probabile che i fratelli maggiori di Rayan tornino per le strade di Tuqu, pietre e fionde in mano, pronti ad affrontare le loro paure dei mostri, anche se ne pagano il prezzo con la propria vita.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org