L’ascesa di questi nuovi gruppi di resistenza, che combinano una lotta armata e popolare, potrebbe rivelarsi più efficace e avere maggiori opportunità di crescere e continuare rispetto alle strategie precedenti
Fonte: Enlgish version
Hani al-Masri – 21 ottobre 2022
Immagine di copertina: Militanti di diverse branche militari di fazioni palestinesi partecipano alla parata militare in occasione del 35° anniversario della fondazione del movimento della Jihad islamica, nella città di Jenin, in Cisgiordania, il 6 ottobre 2022 (Reuters)
L’anno scorso, gli sfratti di Sheikh Jarrah a Gerusalemme innescarono una rivolta che si diffuse in tutta la Cisgiordania e nella Palestina storica, culminata nella guerra israeliana del maggio 2021 a Gaza, conosciuta dai palestinesi come la battaglia della “Spada di Gerusalemme”.
Ciò che distingue questa rivolta dalle altre è che unisce la lotta armata con altre forme popolari di resistenza
L’Intifada dell’Unità è stata seguita dalla fuga di sei prigionieri attraverso il “tunnel della libertà”, l’esecuzione di una serie di operazioni di resistenza armata in Cisgiordania e nei territori del 1948 e il recente lancio dell’operazione israeliana “Breaking the Waves” per fermare la rinascita della resistenza popolare che è arrivata a ondate dal 2004.
L’Autorità Palestinese (AP), sotto la direzione del presidente Mahmoud Abbas, non sostiene la resistenza in tutte le forme, preferendo appoggiare gesti simbolici e temporanei per compiacere i membri del movimento Fatah che desiderano rimanere collegati al “polso” delle strade e alla resistenza all’occupazione.
Quest’ultima rivolta è stata anche preceduta dall’annullamento delle elezioni da parte dell’Autorità Palestinese, in cui si prevedeva una sconfitta imbarazzante, con il pretesto della negazione da parte di Israele del diritto di voto ai palestinesi a Gerusalemme.
È stato ulteriormente alimentata della stessa campagna di repressione dell’Autorità Palestinese, inclusa l’uccisione dell’attivista politico Nizar Banat durante il suo arresto.
Durante questo periodo, gli Stati Uniti hanno fatto vaghe promesse all’Autorità Palestinese, compreso il suo sostegno a un “piano di pace economica” e al coordinamento della sicurezza, senza alcun risultato politico, sperando di poter preservare lo status quo.
Il contesto della formazione
Questo momento storico ha fornito il contesto per la formazione delle Brigate Jenin e di altri gruppi di resistenza, tra cui la popolare “Fossa dei Leoni” che, nel giro di pochi mesi, rappresenta un passaggio dalle precedenti ondate di intifada, basandosi principalmente sulla resistenza armata,.
Il gruppo cerca confronti diretti sia contro le forze di occupazione che contro i coloni armati, e spesso le sue richieste vengono ascoltate.
Quando le principali fazioni politiche erano ancora una volta impegnate in negoziati di riconciliazione in Algeria, senza raggiungere alcun accordo, la Fossa dei Leoni ha indetto uno sciopero generale di un giorno in Cisgiordania. Nonostante non abbia ricevuto alcun sostegno dai partiti tradizionali, l’appello è stato ampiamente implementato.
Ciò che distingue questa rivolta dalle altre è che unisce la lotta armata con altre forme popolari di resistenza. Inoltre, a differenza della “intifada del coltello”, portata avanti da singoli individui, questa rivolta è guidata da gruppi di persone in tutta la Cisgiordania.
E’ iniziata nella città settentrionale di Jenin e poi si è diffusa a Nablus, Gerusalemme e, in misura minore, a Ramallah ed Hebron.
Nelle loro dichiarazioni pubbliche, questi gruppi di ribelli hanno affermato di non rappresentare alcuna fazione e si rifiutano di avvolgere i corpi dei loro martiri nelle bandiere dei principali partiti politici.
Eppure hanno ricevuto il sostegno di gruppi come il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP) e persino finanziamenti da Hamas e dalla Jihad islamica.
Membri di tutti questi partiti politici palestinesi operano in queste nuove brigate, compresi membri del movimento Fatah che rifiutano l’approccio dell’Autorità Palestinese.
Tuttavia, i gruppi di Jenin e Nablus sono estremamente attenti a non confrontarsi direttamente con l’AP, poiché ritengono che il fucile dovrebbe essere puntato verso l’occupazione. Rappresentano un’unità nazionale in continua crescita e in coordinamento tra loro.
Opportunità di continuare
Il fenomeno di queste nuove strategie di resistenza può rivelarsi più efficace e avere maggiori opportunità di crescere e continuare per una serie di ragioni.
In primo luogo, l’aggressione di Israele è aumentata con un’intensità e un’escalation senza precedenti, compreso il processo di ebraizzazione, espansione degli insediamenti, demolizioni di case, arresti, discriminazione razziale e apartheid, nonché il continuo assedio della Striscia di Gaza.
Dall’inizio dell’anno sono stati uccisi più di 165 martiri, 114 dei quali provenivano dalla Cisgiordania e il resto da Gaza.
In secondo luogo, l’AP è più debole che mai e i partiti tradizionali non sono in grado di fornire un’alternativa, mancando di obiettivi politici. L’erosione delle istituzioni dell’Ap ha creato un vuoto politico e nuovi gruppi di ribelli stanno tentando di colmare questo vuoto.
Tre decenni di un cosiddetto “Processo di pace” in stallo e le vuote promesse degli Accordi di Oslo hanno permesso all’occupazione di creare questo vuoto politico in Cisgiordania e Gaza, aumentando le divisioni interne e avvantaggiando gruppi che non sono interessati a resistere all’ occupazione, né a raggiungere una posizione unitaria.
Un’intifada a tutto campo?
Resta da vedere se il nuovo movimento di resistenza si trasformerà in un’intifada completa. Ma la natura sporadica della rivolta – che esplode e si diffonde in varie località con la partecipazione di diversi settori sociali – e la varietà di agende politiche, significa che la probabilità che questa si diffonda è bassa, a meno che non ci siano sforzi coordinati regionali e internazionali per contribuire a convertirla in una rivolta globale.
Il popolo palestinese è unito nella sua resistenza e non si è arreso né ha acconsentito a farlo, ma deve porre fine alle divisioni, ripristinare l’unità e rilanciare le istituzioni nazionali nell’AP e nell’OLP
Dal 2004, l’Intifada è continuata a ondate, flussi e riflussi , poiché le condizioni richieste per una rivolta totale sono molto più difficili da raggiungere.
Dall’assassinio di Yasser Arafat nel 2004, le condizioni necessarie per una rivolta globale – un obiettivo e un programma centrali – non esistono più.
La strategia di resistenza delle Brigate è in gran parte locale, spontanea e nella maggior parte dei casi difensiva. Opera sullo sfondo dell’occupazione e degli squilibri di potere che provoca, e si limita a resistere a incursioni e raid, omicidi e arresti, sempre più difficili man mano che le operazioni si diffondono in aree più ampie.
Questo fenomeno non ha un’ideologia come solitamente si intende o una struttura politica o organizzativa, infatti è in gran parte dominato dai leader locali, con un’organizzazione decentrata e un’interdipendenza che utilizza i social media, creando i propri simboli, eroi e leadership.
Molti di questi simboli sono martiri, come Fathi Khazem, il padre dei martiri Raad e Abdelrahman. La Fossa dei Leoni si è autodefinita “la generazione del sacrificio”, pronta alla morte e alla lotta per il proprio popolo e la propria religione.
Quando le forze di occupazione israeliane fanno irruzione nella Città Vecchia di Nablus, per esempio, non rispondono al fuoco per poi scappare. Combattono invece fino al martirio, dimostrando la consapevolezza di non aspettarsi una vittoria rapida e decisiva, preannunciando invece una “generazione di numeri”, dopo la quale verrà una “generazione di liberazione”.
Attraversare le fasi
La Fossa dei Leoni e le Brigate Jenin esistono senza un ombrello nazionale completo. C’è chi ritiene che questo fenomeno sia destinato a morire a causa della velocità della sua militarizzazione e dello squilibrio di potere.
Ha infatti rapidamente attraversato le fasi di formazione, è diventato pubblico prima di fornire le strutture politiche, pubbliche, di leadership, organizzative in grado di proteggerlo e assicurarne la continuità.
C’è chi teme che possa prematuramente trascinare la resistenza di Gaza in una battaglia. C’è anche chi mette in guardia sull’influenza del salafismo e sulla sua tendenza all’estremismo, pur riconoscendo che le mani dei suoi membri rimangono pulite.
Non hanno nulla a che fare con le tensioni locali o regionali esistenti e non puntano le armi contro le proprie comunità. I proiettili sono diretti solo contro le forze di occupazione.
Sebbene questi nuovi gruppi possano non essere in grado di ottenere una vittoria decisiva, i loro sforzi sono significativi per mantenere viva la questione e sfidare l’occupazione israeliana.
Il popolo palestinese è unito nella sua resistenza e non si è mai arreso e non ha mai acconsentito a farlo, ma deve porre fine alle divisioni, ripristinare l’unità e rilanciare le istituzioni nazionali nell’AP e nell’OLP.
Deve anche fare appello al popolo per elezioni a tutti i livelli e in tutti i settori, combinando strategie e leadership unificate, prendendo decisioni appropriate e fornendo la volontà politica necessaria per affrontare le sfide future.
Hani Al-Masri è direttore generale di Masarat, il Centro palestinese per la ricerca politica e gli studi strategici. Ha fondato ed è stato direttore generale del Centro palestinese di media, ricerca e studi, Badael, tra il 2005 e il 2011. Ha pubblicato centinaia di articoli, ricerche e documenti politici su riviste e giornali palestinesi e arabi, tra cui Al-Ayyam e Al-Safir. In precedenza è stato direttore generale del dipartimento di pubblicazione presso il Ministero dell’Informazione e membro della Commissione del dialogo tenutasi al Cairo nel 2009. È membro del consiglio di fondazione della Fondazione Yasser Arafat.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org