Con i movimenti che in Messico si collegano alla lotta palestinese nella lotta alla militarizzazione, Erick Viramontes spiega che, dati i suoi violenti impatti globali, è urgente una più ampia mobilitazione transnazionale.
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Erick Viramontes – 21 ottobre 2022
Immagine di copertina: Una bandiera palestinese dipinta sotto il Monumento alla Rivoluzione a Città del Messico per manifestare contro gli attacchi di Israele a Gaza nel 2021. [GETTY]
Il 21 settembre 2022, nell’ambito delle numerose mobilitazioni organizzate in Messico alla ricerca di verità e giustizia riguardo la scomparsa forzata di 43 studenti durante la terribile notte di Iguala otto anni fa, si è svolta anche una manifestazione davanti all’ambasciata israeliana a Città del Messico.
Dopo la manifestazione, che chiedeva giustizia per i 43 studenti e le loro famiglie e denunciava l’occupazione illegale della Palestina da parte di Israele, uno dei muri esterni dell’ambasciata si presentava ricoperto di messaggi che sottolineavano quelle stesse richieste e denunce. Intervenendo davanti a uno dei messaggi, che recitava “morte a Israele”, l’ambasciatore israeliano Zvi Tal, pur esprimendo le sue condoglianze per le vittime di Iguala, condannava le manifestazioni e negava qualsiasi relazione tra loro e il caso di Ayotzinapa. Ciò ha spianato il terreno ad altre voci che attribuivano tali proteste all’ignoranza o, come spesso accade quando qualcuno osa criticare le politiche dello stato ebraico, all’antisemitismo.
”Il collocamento dei processi di militarizzazione in un contesto globale lega tra loro diverse forme di resistenza nel mondo, in un movimento transnazionale di solidarietà. Rende possibile la concezione della resistenza palestinese contro il colonialismo come parte delle lotte popolari, in particolare quelle guidate dai popoli indigeni, contro l’espropriazione di lunga data attraverso la militarizzazione in Messico, che è proseguita sotto il governo di sinistra di Andrés Manuel López Obrador.”
Sebbene l’ambasciatore abbia parlato in termini molto generali sull’argomento, il motivo delle manifestazioni è stata la riluttanza di Israele a collaborare con le indagini in corso sulla scomparsa dei 43 studenti.
Nel settembre 2021, il governo messicano aveva inviato una lettera al primo ministro israeliano, Naftali Bennet, chiedendo l’estradizione di Tomás Zerón de Lucio, capo dell’Agenzia investigativa criminale durante la presidenza di Enrique Peña Nieto, trasferitosi in Israele dopo aver lasciato l’incarico. Il signor Zerón, che era stato un elemento chiave nelle indagini del governo dopo la sparizione forzata degli studenti di Ayotzinapa, deve attualmente affrontare diverse accuse da parte del pubblico ministero messicano, alcune delle quali puntano alla sua partecipazione alla fabbricazione della “verità storica” che mira a coprire cosa è realmente accaduto durante la notte di Iguala, oltre che dell’acquisto illegale dello spyware israeliano Pegasus.
In quella che è vista come una mossa per proteggere un criminale, dopo più di un anno il governo israeliano non ha ancora risposto alle richieste di estradizione del Messico.
Mentre la ragione immediata delle proteste è l’ostruzione alla giustizia da parte di Israele nel caso di Ayotzinapa, la rabbia pubblica nei confronti di Israele è in Messico storicamente cresciuta. Ciò è dovuto a una approfondita lettura, da parte delle organizzazioni politiche, del ruolo del colonialismo in Palestina e dell’utilizzo delle tecnologie militari, come lo spyware Pegasus, da parte di regimi oppressivi che sostengono l’offensiva capitalista in corso contro l’umanità.
Inoltre, collocare i processi di militarizzazione in un contesto globale, lega tra loro diverse forme di resistenza nel mondo, in un movimento transnazionale di solidarietà. Rende possibile la concezione della resistenza palestinese contro il colonialismo come parte delle lotte popolari, in particolare quelle guidate dai popoli indigeni, contro l’espropriazione di lunga data attuata in Messico con la militarizzazione, politica che è proseguita sotto il governo di sinistra di Andrés Manuel López Obrador.
La solidarietà tra le lotte di resistenza in America Latina e in Medio Oriente non è però esclusiva del Messico. Nel 2015, gli studenti della Washington University organizzarono”Ferguson to Ayotzinapa to Palestine: Solidarity and Collaborative Action”, un evento che avrebbe dovuto tenersi al Missouri History Museum. Ciò provocò la rabbia del Jewish Community Relations Council che fece pressioni sulla direzione del museo affinché la Palestina venisse rimossa dalla discussione. Il museo chiese agli organizzatori di trovare un’altra sede. Infine l’evento fu cancellato
Quattro anni dopo, la solidarietà che l’evento cancellato nel Missouri voleva sottolineare, si manifestò nuovamente, questa volta oltre il confine meridionale degli Stati Uniti. Così, nel giugno 2019, diverse organizzazioni politiche in Messico iniziarono a mobilitarsi contro la crescente militarizzazione dei territori zapatisti nello stato meridionale del Chiapas e contro le minacce alla dissidenza politica rappresentata da un’alleanza tra spacciatori ed esercito nello stato di Guerrero. Una tavola rotonda intitolata “Da Guerrero alla Palestina: conversazioni sulla militarizzazione” si svolse al Café Zapata Vive a Città del Messico. Utilizzando uno spazio fornito dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), vi presero parte rappresentanti di diverse organizzazioni, tra cui i genitori degli studenti scomparsi di Ayotzinapa, “The Collective Decolonize This Place (DTP)” e le donne membri di “Colonia Roma’s Otomí”.
Una delle idee più ricorrenti emerse durante quelle discussioni fu che la militarizzazione è globale nella sua ambizione, perché fa parte degli interessi strategici del capitale e che alcune delle sue conseguenze più frequenti includono sparizioni forzate, sfollamenti, omicidi e gravi violazioni dei diritti umani.
Uno dei relatori era Melitón Ortega, noto anche come “Don Melitón”, portavoce dei genitori degli studenti scomparsi di Ayotzinapa. Identificandosi come parte dei popoli indigeni del Messico, iniziò sottolineando come la militarizzazione, spinta dall’imperialismo implicato nell’espansione del potere borghese, non conosca confini. Si concentrò anche sul caso del Messico e sulla sua lunga storia di uso della forza militare per reprimere i movimenti popolari, come le scuole degli insegnanti rurali (normales rurales) e i contadini che difendono i loro territori, il loro modo di vivere e la loro cultura.
Demonstration in Solidarity with Palestine on November 29 in Mexico City
¡Long live free Palestine! pic.twitter.com/fAy6hEOHVX— Palestina y México (@CORSOPAL) 30 novembre 2013
Don Melitón sottolineò inoltre che tale repressione è condotta in complicità con altri paesi, che hanno fornito all’esercito messicano tecnologie e attrezzature repressive, nonché addestramento e supporto. Di conseguenza, la militarizzazione in Messico dovrebbe essere intesa come parte della conservazione e dell’espansione del potere imperialista, e l’unico modo per uscire da una tale logica distruttiva è una resistenza concertata dal basso tra i popoli del mondo.
Un rappresentante del DTP – un movimento con sede a New York che si batte, in particolare, a favore dell’autodeterminazione palestinese, dei diritti indigeni, della liberazione dei neri e della de-gentrificazione – sottolineò che il colonialismo in Palestina è sostenuto dai 7 miliardi di dollari di aiuti che il governo degli Stati Uniti dà a Israele. Di conseguenza, l’appropriazione forzata delle terre palestinesi dovrebbe essere intesa come parte di uno sforzo più ampio che coinvolge interessi strategici di stati espansivi, alleanze tra élite transnazionali e trasferimento di tecnologie militari e repressive. Piuttosto che solo una lotta nazionale, la lotta palestinese per la liberazione costituisce, quindi, un percorso inevitabile per la maggior parte delle persone nel mondo.
Il rappresentante del DTP affermò che la resistenza contro il colonialismo israeliano è collegata alla resistenza contro la militarizzazione, specialmente nel sud del Messico, e che “la Palestina è il nostro futuro anche qui in Messico, perché combina neoliberismo, colonialismo, apartheid, corruzione, guerra, criminalità, tutto in nome della legge e dell’ordine per alcune persone contro altre”.
Proseguì citando le tendenze comuni a entrambi i casi, come le politiche di divisione, le violenze contro i connazionali, il genocidio, l’appropriazione della terra, l’espropriazione, l’avanzamento di mega-progetti che portano criminalità, droga e prostituzione e l’aumento della paura tra la popolazione per sostenere la militarizzazione .
Per il fine ultimo del processo di militarizzazione globale, anche la ricerca di giustizia nella sparizione forzata dei 43 studenti di Ayotzinapa è una parte fondamentale di una lotta di resistenza globale.
In effetti, il lungo processo di espropriazione attraverso il colonialismo in Palestina ha prodotto tecnologie militari e repressive, con l’aiuto del governo statunitense a spese dei propri contribuenti. Tali tecnologie repressive costituiscono un affare redditizio in quanto vengono trasferite in altri paesi sotto forma di contratti e assistenza militare. Quindi, mentre la riluttanza di Israele a cooperare con la giustizia messicana nel caso di Ayotzinapa suscita giustamente rabbia, le proteste davanti alla sua ambasciata a Città del Messico sono anche una manifestazione di un movimento transnazionale di solidarietà e resistenza. E quel movimento considera la liberazione palestinese e la lotta indigena in Messico come lotte locali collegate da una comune tendenza globale a cui partecipano anche i rinnovati regimi arabi.
Erick Viramontes è assistente professore di relazioni internazionali al Tecnológico de Monterrey a Querétaro, in Messico. La sua ricerca esamina le relazioni transregionali tra Medio Oriente e America Latina e i contributi del pensiero decoloniale alla teoria delle relazioni internazionali. Le sue pubblicazioni includono “Mettere in discussione la ricerca del pluralismo: quanto è decoloniale l’IR non occidentale?” sulla rivista Alternative e “Narrazioni globali, locali, politiche e competitive della modernizzazione: l’argomento dell’economia della conoscenza e i suoi doveri nazionali” sulla rivista Subjectivity.