Mentre i Paesi occidentali lanciano la teoria secondo cui la Russia potrebbe intensificare il suo conflitto con l’Ucraina in una guerra nucleare, molti di questi governi continuano a chiudere un occhio sulle capacità di armamento nucleare di Israele.
Fonte: English version
Di Ramzy Baroud – 28 novembre 2022
Immagine di copertina: Il Centro di ricerca nucleare Shimon Peres nel Negev, vicino alla città di Dimona, Israele, 22 febbraio 2021. (Foto AP)
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Mentre i Paesi occidentali lanciano la teoria secondo cui la Russia potrebbe intensificare il suo conflitto con l’Ucraina in una guerra nucleare, molti di questi governi continuano a chiudere un occhio sulle capacità di armamento nucleare di Israele. Fortunatamente, molti Paesi in tutto il mondo non aderiscono a questa endemica ipocrisia occidentale.
Tra il 14 e il 18 novembre si è tenuta la Conferenza delle Nazioni Unite sulla creazione in Medio Oriente di una zona libera da armi nucleari e altre armi di distruzione di massa. Aveva l’unico scopo di creare nuovi criteri di responsabilità che, come avrebbe dovuto essere, si applicano allo stesso modo a tutti i Paesi del Medio Oriente.
Il dibattito sulle armi nucleari in Medio Oriente non potrebbe essere più pertinente o urgente. Gli osservatori internazionali osservano giustamente che è probabile che il periodo successivo alla guerra Russia-Ucraina acceleri il riarmo nucleare in tutto il mondo. Considerando l’apparentemente perpetuo stato di conflitto in Medio Oriente, è probabile che anche la regione sia testimone di una rivalità nucleare.
Per anni, i Paesi arabi e altri hanno tentato di sollevare la questione che la responsabilità per quanto riguarda lo sviluppo e l’acquisizione di armi nucleari non può essere confinata a Stati che sono percepiti come nemici di Israele e dell’Occidente.
L’ultimo di questi sforzi è stata una risoluzione delle Nazioni Unite che invitava Israele a disfarsi delle sue armi nucleari e a porre i suoi impianti nucleari sotto il monitoraggio dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. La risoluzione, redatta dall’Egitto con il sostegno di altri Paesi arabi, è passata con un voto iniziale di 152 voti a favore e 5 contrari. Non sorprende che tra i cinque Paesi che hanno votato contro la bozza ci fossero gli Stati Uniti, il Canada e, ovviamente, lo stesso Israele.
Nonostante il cieco sostegno americano e canadese a Tel Aviv, cosa spinge Washington e Ottawa a votare contro una bozza intitolata: “Il rischio di proliferazione nucleare in Medio Oriente?” Tenendo presente i susseguitesi governi di estrema destra che hanno governato Israele per molti anni, gli Stati Uniti devono capire che esiste una reale possibilità che il loro alleato utilizzi armi nucleari con il pretesto di respingere una “minaccia esistenziale”.
Fin dalla sua nascita, Israele ha fatto ricorso e utilizzato la frase “minaccia esistenziale” innumerevoli volte. Vari governi arabi, in seguito l’Iran e persino singoli movimenti di resistenza palestinese furono accusati di mettere in pericolo l’esistenza stessa di Israele. Anche il movimento nonviolento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni BDS guidato dalla società civile palestinese è stato accusato nel 2015 dall’allora Primo Ministro Benjamin Netanyahu di essere una minaccia esistenziale per Israele. Netanyahu ha affermato che il movimento di boicottaggio “non è diretto alle nostre azioni; mira alla nostra stessa esistenza”.
Questo dovrebbe preoccupare tutti, non solo in Medio Oriente, ma il mondo intero. A un Paese con una fissazione così esaltata riguardo a immaginarie minacce esistenziali non dovrebbe essere consentito di acquisire il tipo di armi che potrebbero distruggere l’intera regione più volte.
Alcuni potrebbero obiettare che l’arsenale nucleare di Israele è intrinsecamente legato a paure reali derivanti dal suo conflitto storico con gli arabi. Tuttavia, non è questo il caso. Non appena Israele ha finalizzato la sua pulizia etnica dei palestinesi dalla loro Patria storica, e molto prima che qualsiasi seria resistenza araba o palestinese fosse portata avanti in risposta, Israele mirava già a possedere armi nucleari.
Già nel 1949, l’esercito israeliano trovò giacimenti di uranio nel deserto del Negev, portando all’istituzione, nel 1952, della segretissima Commissione Israeliana per l’Energia Atomica. Nel 1955, il governo degli Stati Uniti vendette a Israele un reattore nucleare per la ricerca. Ma quello non era abbastanza. Desiderosa di diventare una vera e propria potenza nucleare, Tel Aviv si rivolse alla Francia nel 1957. Parigi divenne uno dei principali cooperatori nelle sinistre attività nucleari di Israele quando aiutò il governo israeliano a costruire un reattore nucleare clandestino vicino a Dimona nel Negev.
Il padre del programma nucleare israeliano all’epoca non era altro che Shimon Peres, che, ironia della sorte, ricevette il Premio Nobel per la Pace nel 1994. Il reattore nucleare di Dimona è ora chiamato Centro di Ricerca Nucleare del Negev Shimon Peres.
Senza alcun monitoraggio internazionale, e quindi senza alcuna responsabilità legale, la ricerca nucleare di Israele continua ancora oggi. Nel 1963, Israele acquistò 100 tonnellate di Uranio grezzo dall’Argentina e, durante la guerra arabo-israeliana dell’ottobre 1973, Israele “si avvicinò a lanciare un attacco nucleare preventivo”, secondo un articolo del 2002 della United Press International scritto da Richard Sale.
Si ritiene che Israele abbia “abbastanza materiale fissile per fabbricare 60-300 armi nucleari”, secondo l’ex ufficiale dell’esercito americano Edwin S. Cochran.
Le stime variano, ma i fatti riguardanti le armi di distruzione di massa di Israele sono difficilmente contestabili. Lo stesso Israele pratica quella che è nota come “deliberata ambiguità”, inviando un messaggio ai suoi nemici del suo potere letale senza rivelare nulla che possa ritenerlo responsabile dell’ispezione internazionale.
Quello che sappiamo sulle armi nucleari israeliane è stato reso possibile in parte grazie al coraggio dell’ex tecnico Mordechai Vanunu, un informatore che è stato tenuto in isolamento per un decennio a causa del suo coraggio nell’esporre i segreti più oscuri del Paese.
Israele continua a rifiutarsi di firmare il Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari, approvato da 191 Paesi.
I leader israeliani aderiscono a quella che è nota come la dottrina Begin, in riferimento a Menachem Begin, il Primo Ministro israeliano di destra che ordinò l’invasione del Libano nel 1982, provocando l’uccisione di migliaia di persone. La dottrina è formulata attorno all’idea che, mentre Israele si concede il diritto di possedere armi nucleari, ai suoi nemici in Medio Oriente non deve essere permesso di fare lo stesso. Questo continua a guidare le azioni israeliane fino ad oggi.
Il sostegno degli Stati Uniti a Israele non si limita a garantire a quest’ultimo il “vantaggio militare” sui suoi vicini in termini di armi convenzionali, ma anche a garantire che Israele rimanga l’unica superpotenza della regione, sebbene ciò comporta fuggire alla responsabilità internazionale per lo sviluppo di armi di distruzione di massa.
Gli sforzi dei Paesi arabi e di altri Paesi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per creare un Medio Oriente libero dalle armi nucleari sono importantissimi. È necessario che tutti, Washington inclusa, si uniscano al resto del mondo per costringere finalmente Israele ad aderire al Trattato di non proliferazione, che sarebbe un primo, fondamentale passo verso una responsabilità a lungo ritardata.
Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), Università Zaim di Istanbul (IZU).
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
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