Dopo il fallimento della primavera araba, la regione è stata soffocata da nuovi regimi autoritari. Una disperata nostalgia per come stavano le cose riflette una profonda insoddisfazione, ma la possibilità della rivoluzione non è ancora morta, scrive Tareq Alnaimat.
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Tareq Al-Naimat – 1 dicembre2022
Immagine di copertina: Un graffito dei volti trasformati del deposto presidente egiziano Hosni Mubarak e del sovrano militare Hussein Tantawi vicino a piazza Tahrir al Cairo il 22 maggio 2012, recita: “Non ti darò mai la pace e non mi governerai per un altro giorno”. [Getty]
Il popolo arabo ha dimostrato più e più volte di potersi adattare molto bene al continuo deterioramento dei propri paesi. Questa resilienza deriva dal desiderio di sfidare condizioni difficili e di sopravvivere nonostante le terribili situazioni economiche e politiche che si sono abbattute su di loro.
Allo stesso tempo, questa resilienza riflette anche la disperazione per le difficili condizioni in cui vivono e la frustrazione per governi falliti e leader tirannici efficaci solo nella repressione. Questo risentimento spinge alcuni arabi a desiderare la guida di ex dittatori.
La capacità delle persone di adattarsi al deterioramento delle condizioni non è una questione di scelta, ma piuttosto una necessità di sopravvivenza e autoconservazione. Dopo il fallimento delle rivoluzioni arabe, la gente non può permettersi il lusso di pensare all’opposizione e alle diverse possibilità.
“La controrivoluzione è riuscita a peggiorare le condizioni economiche, politiche e di vita in diversi Paesi arabi, al punto che alcuni hanno invocato il dominio di ex leader dittatoriali come esempi di tempi migliori”
La controrivoluzione è riuscita a peggiorare le condizioni economiche, politiche e di vita in diversi paesi arabi, al punto che alcuni hanno invocato i regimi di ex leader dittatoriali come esempi di tempi migliori. Alcuni iracheni ricordano le virtù di Saddam Hussein, gli egiziani piangono l’era di Hosni Mubarak, i libici ricordano Gheddafi, i libanesi desiderano ardentemente il governo militare prima della guerra civile, e gli yemeniti ricordano Ali Abdullah Saleh.
Questa nostalgia per gli ex dittatori indica una diffusa insoddisfazione nei confronti dei nuovi dittatori. Non riflette un genuino sostegno di cui godevano i vecchi governanti, né suggerisce che le persone oppresse di oggi ammirino davvero i loro carnefici e dittatori.
Al contrario, riflette l’entità della disperazione vissuta dal popolo arabo più di dieci anni dopo lo scoppio della primavera araba. È una nostalgia disperata per un passato in cui era possibile vivere in una certa misura, soddisfacendo i bisogni primari ma senza diritti politici, a differenza di un presente in cui molti fanno fatica a vivere, e i diritti politici sono ancora inesistenti.
Le valute hanno perso un terzo del loro valore in Algeria e Tunisia, più della metà del loro valore in Libia ed Egitto, e molto di più in Libano, Siria, Yemen e Iraq. C’è una mancanza di sicurezza in molti di questi paesi, scarso accesso all’elettricità e all’acqua e scarsi servizi sanitari ed educativi.
Un sondaggio di opinione per The Guardian e YouGov mostra che la percentuale della popolazione della regione che sente che la situazione si sta deteriorando è più alta di quanto non fosse prima della rivoluzione, con il 75% in Siria, il 73% nello Yemen e il 60% in Libia. Lo stesso sondaggio d’opinione in Tunisia, Egitto, Sudan, Algeria e Iraq ha mostrato che la maggior parte ritiene che la situazione del proprio paese sia in continuo deterioramento.
I regimi arabi al potere sono contenti di questa situazione. Credono che la gente abbia accettato lo status quo come inevitabile e che continuerà a sopportare condizioni di vita precarie e repressione politica. Non c’è alcuna possibilità per le persone di sfidare queste condizioni attraverso la protesta o la rivoluzione, perché vivono in uno stato di totale esaurimento – completamente occupate a garantire i bisogni primari di cibo, acqua e servizi sanitari.
“È vero che molte di queste persone sono arrivate alla disperazione e hanno cominciato a desiderare l’era dei vecchi dittatori. Tuttavia, questo non impedirà che una nuova ondata di proteste possa scoppiare di nuovo”
Tali regimi credono che le persone abbiano imparato la lezione. Non fanno alcun tentativo di provvedere ai bisogni primari e allo stesso tempo si aspettano completa lealtà da una popolazione a cui sono negati i diritti politici fondamentali.
Tuttavia, la domanda rimane: i calcoli degli attuali regimi arabi sono corretti? Fino a che punto la situazione continuerà in questo modo? Il deterioramento della situazione basterà a scatenare di nuovo proteste e rivoluzioni?
Rispondere a queste domande non è facile, ma i calcoli e le ipotesi dei regimi repressivi possono essere miopi. È vero che le controrivoluzioni hanno avuto successo, almeno per il momento, e hanno ucciso i sogni democratici dei popoli ribelli. È vero che molte di queste persone sono arrivate alla disperazione e hanno cominciato a desiderare l’era dei vecchi dittatori.
Tuttavia, ciò non impedirà lo scoppio di una nuova ondata di proteste. Queste rivolte potrebbero non raggiungere necessariamente il loro obiettivo di cambiamento, ma renderanno almeno più difficile il compito dei regimi repressivi.
Il cambiamento politico e sociale è un processo complesso e che richiede tempo. Ma le rivoluzioni della primavera araba sono state una chiara indicazione che la consapevolezza e la comprensione del popolo arabo che lotta per un futuro migliore ha raggiunto uno stadio senza precedenti e che, nonostante i falliti tentativi di cambiamento politico, siamo ancora solo all’inizio.
Tareq Al-Naimat è un giornalista e ricercatore giordano specializzato in movimenti islamisti. Attualmente lavora come caporedattore presso al-Araby al-Jadeed, l’outlet gemello in lingua araba di The New Arab.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.oerg